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Studio antropologico: pensare e mangiare


Esiste un dato universale, e cioè che dobbiamo assumere circa 2.000 calorie al giorno per evitare il deperimento fisico e la morte; altro dato è che in natura ci sono molte sostanze velenose per l’uomo; per il resto, l’umanità si nutre di una lista di alimenti, vegetali e animali, ma non tutti mangiano tutto e non solo per mancanza di disponibilità: scelte legare ad abitudini o a regole culturalmente costruite. Gli inglesi non mangiano carne di coniglio o di cavallo; nell’Europa del nord non si mangiano funghi; noi occidentali non mangiamo insetti; in certe parti dell’Africa mangiare insalata è ritenuto più per capre che per uomini. In molti casi l’alimentazione è legata a convinzioni di tipo ideologico, ma a livello individuale e non collettivo, come nel vegetarianesimo, oppure legato a tabu religioso, un divieto in senso lato, come nel caso della carne suina per ebrei e musulmani, della carne bovina per gli induisti e del vegetarianesimo per le filosofie orientali. Esistono quindi molti aspetti legati al cibo: quello nutrizionale (che dipende dall’aspetto biologico degli esseri umani, da fattori di tipo ecologico e di carattere economico – politico), quello legato al gusto (è importante differenziare le preferenze individuali da quelle di una determinata società: il gusto collettivo non nasce da un’attitudine innata, ma è il prodotto di una costruzione culturale che finisce per rendere accettabili o meno alcuni alimenti) e quello legato a eventuali divieti. Il cibo dev’essere principalmente buono da pensare; sul piano simbolico, inoltre, cucinare significa sottomere la natura alla cultura: è la cottura che separa l’uomo dallo stato di selvatichezza naturale e lo porta nel mondo civile. Inoltre, certe proibizioni alimentari sono fondate sul concetto di impurità, che rimanda all’idea di sporcizia: ciò che noi definiamo sporco è un giudizio culturale e relativo, in quanto lo sporco è il sottoprodotto di una classificazione che definisce ciò che è pulito e puro, dimostrato dall’interesse sempre maggiore verso il biologico, che però alimentano anche un immaginario che si contrappone al modello vigente di società.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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