Coprire e scoprire il corpo
Alla pelle gli uomini ne hanno sempre aggiunto un’altra, fatta di stoffe, corteccia, foglie, pelli, per coprire, esaltare e disegnare le forme. L’abito, infatti, non serve solo a riparare dal freddo, dai raggi del sole o da altri eventi naturali, ma anche per ridisegnare il corpo coprendone certe parti e lasciandone intravedere altre. Oltre a tutto ciò, il coprirsi è collegato al senso del pudore, che è sempre esistito, anche quando in certe popolazioni si andava in giro nudi: era considerato infatti sconveniente soffermarsi a guardare i genitali. Presso molte popolazioni africane il seno non è considerato oggetto erotico, quindi non è da coprire, mentre invece le cosce devono essere sempre coperte. Nella maggior parte delle società umane si è restii a mostrare i genitali in pubblico, ma non è la nudità in sé ad essere considerata oscena: è l’atteggiamento morboso che si ha verso di essi che viene condannato o sanzionato. In ogni caso, ogni cultura ha deciso quali parti erano da coprire e quali no, con regole che, essendo legate alla storia, possono anche mutare, soprattutto quando interviene anche la religione.
L’hijab, il velo che incornicia il volto di molte donne musulmane, rappresenta un segno di pudore, diffuso in tante altre società: anche in Italia, prima, si recavano a messa a capo coperte, come fanno tutt’ora le suore. Più drastico il burqa, che annulla totalmente qualsiasi forma femminile.
Tutto l’opposto certi abbigliamenti occidentali, molto aderenti, o del reggiseno push up, che tendono a evidenziare le forme.
Per quanto riguarda gli uomini, ci sono tendenze opposte: in chiesa si devono togliere il cappello, in sinagoga non possono entrare a capo scoperto.
L’utilizzo del corpo come espressione morale è reso in modo evidente dalla diversità di attribuzione alle diverse parti di esso di una valenza morale ed estetica, che definisce i confini etici di una società. In certe popolazioni del Sudafrica, per esempio, l’esperienza sessuale prematrimoniale è considerata molto importante, purché la ragazza non rimanesse incinta: la ragazza doveva tenere le gambe unite e strette in modo che ci fosse contatto con il pene ma non con le parti intime. Tale pratica si diceva comportasse una buona padronanza dei muscoli delle gambe e del sedere: avere natiche forti e sode era interpretato come segno di innocenza e di alta moralità, e veniva esibito non perché fossero prive di morale, ma perché andavano fiere del proprio corpo, simbolo del loro rispetto dell’ordine morale stabilito dalla loro cultura.
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Autore:
Elisabetta Pintus
[Visita la sua tesi: "L'individuazione di nuovi segmenti turistici: ''il turismo danzante''"]
- Università: Università degli Studi di Cagliari
- Facoltà: Economia
- Esame: Demoetnoantropologia - A.A. 2010/2011
- Docente: Felice Tiragallo e Tatiana Cossu
- Titolo del libro: Il primo libro di antropologia
- Autore del libro: Marco Aime
- Editore: Einaudi
- Anno pubblicazione: 2008
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