L'estetica pratica di Luca Pacioli
Questa tendenza all'estetica pratica sbocca in Luca Pacioli nella speculazione vera e propria. La sua dottrina dei cinque corpi regolari (tetraedro, ottaedro, esaedro, icosaedro, dodecaedro), come guida alla perfezione che culmina nella sfera, che rappresenta Dio stesso, testimonia il salto mortale compiuto dalla matematica al campo teologico – filosofico, e l'incipiente influsso che aveva Platone, che col suo Timeo rappresenta il punto di partenza. È importante l'applicazione pratica nell'arte figurativa che Pacioli ne ricava con piena coscienza nel suo aneddoto dello scalpellino a Roma.
Leon Battista Alberti, nel suo De Pictura, formula i requisiti che deve possede l'espressione facciale, determinando che il movimento più espressivo è quello “verso l'aere”, poi abbondantemente utilizzato dalla pittura patetica del pieno Rinascimento e che ha un valido esempio classico nel gruppo dei Niobidi.
Alberti tocca anche un tema di straordinaria importanza per l'estetica rinascimentale: il concetto di decorum, derivato dalla retorica antica. Fa anche esempi in contrario, e lo fa trattando di arte contemporanea, quando ad esempio biasima l'inserzione di figure troppo grandi in spazi rappresentati prospetticamente; era una reminiscenza medievale ormai contraria al nuovo ideale di spazio. Alberti poi si avvicina alle norme della severa composizione del pieno Rinascimento quando afferma, rivolgendosi ai piani quattrocenteschi sovraccarichi, che nove o dieci figure devono essere sufficienti all'azione. Anche la pretesa di coprire parti spiacevoli o indecorose (pensiamo al busto di Pericle, con l'elmo che nasconde il cranio deforme) è contraria all'acerba ingenuità del Quattrocento: pensiamo al ritratto del nonno del Ghirlandaio, ora al Louvre.
Alberti infine spregia l'elemento meccanico e tecnico, che in seguito condurrà a quella distinzione di arte e mestiere, a quel virtuosismo degli artisti anche socialmente elevati da cui deriva la distinzione tra arte pura ed arte applicata. È chiara l'aspirazione a trasferire l'arte dalla schiera delle artes mechanicae a quella delle arti liberali.
E l'interesse per la psicologia dell'arte e dell'artista? È notevolmente inferiore. Ne parla più diffusamente solo il Filarete. Nella sua polemica contro l'arco acuto gotico aggiunge obiezioni estetiche come il senso penoso di resistenza che prova l'occhio nel percorrere la linea spezzata, a differenza di quanto accade nel vedere un arco tondo. Dello stesso genere sono le sue osservazioni sull'effetto spaziale delle chiese antiche, basse perchè corrispondono ad una determinata intenzione artistica: l'umiltà verso Dio. Delle chiese più moderne ne spiega l'altezza col desiderio di elevazione spirituale. È originale l'osservazione sull'impiego dello specchio e dei mezzi di costruzione prospettica, che erano ignoti agli antichi come a Giotto e alla sua scuola. Filarete ritiene, tuttavia, che forse essi ne ebbero conoscenza ma che non vollero servirsene, forse, aggiunge, per la fatica che avrebbero richiesto. Nel Filarete è poi molto forte la convinzione che la personalità dell'artista passi automaticamente nella sua opera (nel Medioevo si avvertiva impersonalmente), così forte da presagire il metodo “morelliano”. Come dai tratti del manoscritto si riconosce lo scrittore, così dalle forme artistiche si può riconoscere l'autore.
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia della critica d'arte
- Docente: Valter Pinto
- Titolo del libro: La letteratura artistica
- Autore del libro: Julius Schlosser Magnino
- Editore: Nuova Italia
- Anno pubblicazione: 2006
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