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Le lotte difensive al Nord e al Centro - 1955 -


Sono anni in cui la sinistra sindacale deve soprattutto giocare in difesa, pressata e minacciata a più riprese dalla destra imprenditoriale. Nel settore dell'industria pesante gli imprenditori, dopo avere annunciato licenziamenti in massa puntualmente rifiutati dalla CGIL, fecero ricorso alla serrata, alla quale gli operai risposero con l'occupazione, generando una serie di battaglie in loco rimaste memorabili.
Queste occupazioni differivano da quelle precedenti e furono molto meno conosciute perché avvennero in un momento di estrema difficoltà per il movimento operaio. La determinazione mostrata dagli imprenditori, l'ostilità della polizia, la divisione tra i sindacati, pesarono sensibilmente sulla sinistra operaia.
Del resto, sul terreno dell'analisi economica, il sindacato fu debole e impreparato. L'intera sinistra italiana era convinta che l'industria del paese si trovasse in una condizione di decadenza e che dovesse essere salvata dal comportamento irresponsabile del capitalismo monopolistico. Stereotipi in realtà, che impedirono al sindacato di scorgere la crescita vertiginosa dell'industria privata, Fiat e Olivetti in testa.
L'altro elemento ideologico che limitò in questo periodo la risposta della CGIL, fu la costante subordinazione al modello di costruzione socialista dell'URSS. Nelle riunioni politiche o durante le occupazioni si proiettavano documentari sull'URSS e si diffondevano così le immagini familiari del realismo socialista. Questi modelli politici e culturali servirono a incoraggiare l'idea che fosse la produzione e non il controllo l'essenza del socialismo.
Sconfitta e autocritica
Dal 1953 in poi furono anni durissimi per la CGIL. Gli operai si stavano stancando di appelli rituali alla solidarietà politica, mentre il loro senso di impotenza cresceva man mano che si succedevano le sconfitte. Molti tra i nuovi assunti in fabbrica venivano dalle campagne o dal Veneto e si iscrivevano all CISL, mentre gli organi direttivi della CGIL non erano per nulla in sintonia con i bisogni e i sentimenti della base.
In questi anni i padroni delle fabbriche ripresero potere e autorità, instaurando all'interno enormi limitazioni ai rappresentanti sindacali, che persero rapidamente terreno di fronte ai capireparto, liberi adesso di risolvere i problemi quotidiani. La mazzata finale arrivò nel 1954, quando l'ambasciatrice americana Clare Boothe Luce incontrò a Roma l'amministratore delegato della Fiat Vittorio Valletta lamentando il progresso del comunismo in Italia e la forza perdurante della CGIL nelle fabbriche. Queste lamentele, unite alle offensive padronali, ebbero effetti mostruosi nelle elezioni delle commissioni interne alla Fiat del 1955, quando la CGIL perse la maggioranza assoluta. È questa una data spartiacque nella storia del sindacalismo italiano.
Eppure il sindacato mostrò di avere fatto tesoro della lezione e dalla contrattazione centralizzata, in cui tutti gli aumenti salariali venivano decisi a livello nazionale, si passò alla contrattazione articolata, con accordi decisi settore per settore e azienda per azienda. Era una prassi nelle industrie inglesi ma una novità per quelle italiane. Novità mal accolta, naturalmente, dagli imprenditori. Lo sciopero all'Ilva di Bagnoli è significativo: la Cisl cercò un accordo separato, rifiutato dagli operai, così l'impresa dovette accordare la sovvenzione della mensa operaia. Fu la prima realizzazione della tattica sindacale basata sulla contrattazione articolata.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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