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La cultura politica del PCI

 La cultura politica del PCI

Anche per i comunisti i primi anni '50 furono un periodo difficile. Con lo scoppio della guerra di Corea essi temerono pesanti ripercussioni e solo dopo la sconfitta ellettorale della DC del 1953 iniziarono a riprendere fiato, raggiungendo nel 1954 il picco di tesserati. Questi dati, però, nascondevano il reale isolamento del partito nella società italiana, dove l'intensa propaganda della guerra fredda aveva portato a bollare i comunisti come la lebbra della nazione. Sconfitte e isolamento, comunque, non demoralizzarono gli attivisti del partito, che al contrario contribuirono a sviluppare una ricca rete di organismi e attività che legarono gli iscritti fra loro, invogliandoli a fare nuovi proseliti.
Una delle più importanti istituzioni non strettamente partitiche in cui lavorarono assieme comunisti e socialisti furono le Case del Popolo. L'espressione Casa del Popolo compare per la prima volta in Italia tra l'8 e il 10 settembre 1893 durante il secondo congresso socialista a Reggio Emilia, in occasione del quale fu inaugurata la nuova sede della cooperativa di Massenzatico, un paese nei pressi di Reggio Emilia. Le Case del Popolo hanno radici anche nelle esperienze europee della Maison du peuple francese, belga e svizzera (la prima Casa del Popolo svizzera sorse nel 1899 a San Gallo), della Volkshaus tedesca e della Volkshuis olandese. La Casa del Popolo risponde ad esigenze di sviluppo ed funzionamento di cooperative di lavoro e di consumo e di un complesso di servizi culturali, assistenziali, mutualistici e ricreativi. Culturalmente rappresenta la visibilità del movimento, la sua stabilità, l'unità e la solidarietà popolari, la dimostrazione pubblica della propria capacità etica e tecnica, il senso di un profondo radicamento sul territorio, la conservazione della memoria. Infine, essa simboleggia il centro coordinatore dell'insieme associativo socialista, il modello della futura società, il nucleo di un socialismo che si sarebbe gradatamente allargato fino a comprendere il comune, la vita economica e l'intera società civile. In questo senso, la Casa del Popolo contiene la speranza della società futura e dell'uomo nuovo socialista.
Nel 1952, però, l'allora ministro delle Finanze Ezio Vanoni, decise che gli edifici che erano sedi delle CdP erano proprietà governativa e dovevano essere messi immediatamente all'asta. Gli attivisti locali, allora, risposero raccogliendo sottoscrizioni per i nuovi edifici, che essi stessi costruirono. Un'altra forte componente della cultura comunista erano le Feste dell'Unità. Infine il partito contava su organizzazioni collaterali come l'Anpi e l'Udi – Unione donne italiane.
In questo modo il partito sviluppò una subcultura molto forte, che rafforzava l'unità tra gli iscritti ed esaltava i valori dell'egualitarismo e della solidarietà. C'erano comunque molte zone di silenzio, di ambiguità e di mistificazione. Un tema fondamentale su cui si manteneva il silenzio era quello della famiglia. I comunisti non seppero elaborare mai un modello di famiglia che fosse realmente concorrente con quello democristiano. Il modello di famiglia sovietica non era sufficiente e l'iperattivismo dei militanti comunisti, che per tale motivo non riuscivano a contemperare le esigenze partitiche con quelle familiari, non andava certo a loro vantaggio.
Un atteggiamento di aperta mistificazione fu invece quello dei rapporti con l'URSS. Il partito ebbe sempre la tendenza a rappresentare Stalin come una figura paterna di proporzioni sovrumane, e l'anno della sua morte, il 1953, vide un generale e cerimonioso lutto in tutte le sezioni italiane del partito. Del resto l'URSS era additata come società in cui i problemi della democrazia e della giustizia sociale erano stati risolti definitivamente. Gli aspetti più insidiosi dello stalinismo non erano però i giudizi aberranti su Stalin e la dittatura sovietica, ma quelli che permeavano la vita e l'attività del PCI. La tradizione di adulazione acritica dei dirigenti fu trasposta con molta leggerezza in Italia, dove Togliatti godeva degli assurdi omaggi che i compagni di grado inferiore gli rivolgevano nonché delle ricostruzioni fantasiose ed esagerate sul suo fondamentale ruolo nei primi anni di vita del PCI. Si diffuse l'abitudine malsana di citare gli scritti dei dirigenti storici del partito – Gramsci e Togliatti – come se fossero testi biblici, intoccabili, da prediche domenicali; nell'errore indulsero persino i cervelli più lucidi del partito, come Ingrao e Amendola.
Un altro enorme aspetto negativo fu la diffusione della menzogna politica da parte della dirigenza e la sua pedissequa accettazione da parte della base. Ad esempio Gramsci e Togliatti diventarono gli unici veri fondatori del partito, cancellando Bordiga dagli annali. Infine il PCI prese dallo stalinismo la medesima tendenza all'antidemocrazia interna. Il centralismo democratico togliattiano elogiava a parole il controllo operaio, la democrazia diretta, l'ideale dei soviet, ma nei fatti il potere era nelle mani del segretario del partito e le decisioni passavano dal vertice alla base e non viceversa. Ogni opposizione organizzata nel partito era vietata e si compì ogni sforzo possibile per accentuarne il carattere monolitico.


Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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