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Dante Alighieri – Così nel mio parlar vogli'esser aspro


Il componimento si apre, eccezionalmente, in forma metapoetica, giustificando perentoriamente un atteggiamento stilistico che all'autore stesso appare del tutto nuovo. Il Così iniziale non è infatti necessario, ma si trova lì proprio a rimarcare la sicurezza quasi da sentenza dell'affermazione. La dichiarazione di stilistica è abbozzata secondo lo schema tipico dell'estetica medievale, improntato al principio del conveniens: dato un tema o contenuto esso va espresso in un linguaggio ad esso congruente. Essendo la donna di inaudita crudezza, il linguaggio non può che essere aspro. Che questa dichiarazione di poetica fregi l'incipit della canzone è un fatto notevole, ma più notevole è il fatto che sia l'autore stesso a definire il carattere stilistico di ciò che va a scrivere attraverso un aggettivo, aspro, evidenziato in posizione di rima e stretto al suo oggetto, la pietra. Senza contare il fatto che aspro è un vero e proprio termine tecnicistico della tradizione retorica, che comparirà nel De Vulgari Eloquentia, nel Convivio e nel canto XXXII dell'Inferno. Sino ad allora la lirica italiana aveva sì accolto testi ricchi di definizioni stilistiche, ma si era trattato sino ad allora di attacchi di poeti alle composizioni di altri: Orbicciani e Guinizzelli, Cavalcanti e Guittone, Onesto e Cino.
Altro punto notevole, ancor di più, è il significato di quel parlare. Nell'esperienza poetica che precede le petrose, e ne è anzi l'antitesi, vale a dire lo stilnovismo, la lingua – il parlare – era qualcosa di dato, di ricevuto dall'alto, coerentemente al carattere assoluto e religioso di quell'esperienza. Il parlare dunque non era nulla di cercato; cadeva dall'alto e l'io poetico si “limitava” a trascrivere. Lo testimonia benissimo Dante stesso nel canto XXIV del Purgatorio («io mi son uno che quando / Amor mi spira, noto, ed a quel modo / ch'ei ditta dentro vo significando»). Adesso che la poetica è capovolta, la lingua non è più ricevuta dall'alto ma diviene cercata; a sottolineare il concetto Dante pone quel voglio, più forte e meno fedele a devo, vicino invece alla poetica del conveniens.
L'aggettivo aspro è l'antitesi precisa di dolce, aggettivo – etichetta dello stilnovismo e l'asperità si esterna nelle rime del componimento, dure, consonantiche, ricercate: aspro – diaspro (1 – 5), induca, traluca (termini poetici) con manduca e bruca (termini non poetici), squatra, latra, atra. Sono insomma l'opposto delle rime piane e usuali del Dante stilnovista.
Le rime aspre e difficili tendono a concentrarsi nella fronte della stanze e nel verso di collegamento con la sirma, mentre vanno facendosi più semplici e normali nelle sirme, che in effetti contengono anche immagini meno inusuali rispetto alle fronti. Gianfranco Contini ha osservato che le fronti ospitano l'elemento oggettivo, mentre le sirme quello soggettivo mentre De Robertis ha fatto presente che spesso la fronte sovrasta nettamente per numero di versi la sirma, come non è normale che sia; in qualche modo una prevalenza del momento oggettivo.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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