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Il Romancero di F. G. Lorca

Il Romancero di F. G. Lorca


Tra il 1924 e il 1927 pubblica il Romancero gitano, uno dei libri di poesia più famosi del nostro tempo e il primo grande successo di mass di un libro di poesia dopo il Buch der Lieder.
Romancero perché fa riferimento al filone più ricco della tradizione poetica spagnola; gitano perché costruito su un mondo di marginali, ribelli, separati dalla società, un mondo considerato da Lorca come portatore di un moderno senso dell’eroico e del tragico. Ne nasce una galleria di personaggi e di storie che dal livello zero dell’esperienza quotidiana, attraverso il sogno, il sangue, l’amore, la morte, acquisiscono un significato universale, paradigma di modi di vivere e di morire che esprimono il destino di tutti gli uomini, e in cui tutti gli uomini si possono riconoscere, anche il più comune.  Come? Lorca lo spiega in una serie di lettere a Jorge Guillèn, cercando di definire il come di questo processo di trasfigurazione, e quindi il linguaggio che stava inventando. Era un linguaggio che cercava di armonizzare l’elemento mitologico gitano e i fatti assolutamente banali della vita presente, al fine di creare una strana, nuova bellezza. In questa definizione notiamo due coppie oppositive: quella tra elemento gitano mitologico e fatti banali della vita presente, e quella tra stranezza e bellezza nuova. In tutti i romances in effetti si parte da un aneddoto banale che è però dotato di una fortissima forza interna di trasfigurazione mitica. Questa la spiegazione della prima coppia, ma la seconda? I personaggi del Romancero, e le immagini in generale, in queste storie si somigliano tutte, un po’ come accade nei sogni. Attraverso una lunga serie di metafore e sinestesie, e ad un sapiente alternarsi tra registri lirico, epico e drammatico, cosmico e umano sembrano fondersi e archetipizzarsi, trasformando le immagini in visioni del mondo concrete dei personaggi che le vivono.  Questo perché il racconto non viene fatto con l’occhio di chi vede e col linguaggio di chi riferisce un evento, ma con quello di chi sogna e col linguaggio di chi lo riferisce come lo ha sognato (un cavallo verde allora è normale nel Romancero).
Il Romancero è un riuscito tentativo di simbolizzazione di quella frontiera magica tra sonno e veglia che gli uomini hanno sempre vissuto come momento di attese indecifrabili e sorgente di divinizzazione e presagi. Come diceva Breton, il compito della poesia è trovare il punto in cui la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto e il basso cessano di essere percepiti contraddittoriamente. Lorca c’è riuscito.
Lorca lavorando nella solitudine, al margine del surrealismo, di cui non condivise mai l’incontrollato abbandono all’onirismo, scrisse il libro più ricco scritto in quell’epoca, una geniale scoperta dell’inconscio collettivo, rivelazione di quella storia individuale e collettiva che sta nelle paure e nelle speranze sepolte degli uomini.È questa l’ottica in cui va letta l’opera, e non i quella della corrente popolaristica con protagonisti i gitani, ottica di cui Lorca intravedeva subito i limiti.
Il Romancero esce nel 1927, ed è un anno centrale nella vita di Lorca, anno di dolore e apoteosi. Si consuma il rapporto con i Dalì e la rottura con Salvador, ormai diretto verso una adesione estremistica al surrealismo che Lorca avverserà sempre, diffidente verso il salto totale nell’irrazionalismo onirico. È un anno di intensa riflessione poetica, i cui frutti saranno inseriti in Imaginaciòn, inspiraciòn, evasiòn, dove ribadisce la propria apertura all’irrazionalismo visionario, al mondo della poesia appassionata, al di là dell’esperienza gongorina, anche se amorevolmente compresa e condivisa.


Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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