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Il Don Quijote di Cervantes

Il Don Quijote di Cervantes


Il romanzo di Cervantes fu pubblicato da Juan De La Cuesta in due parti, a Madrid: una prima parte nel 1605 e una seconda parte nel 1615. Nonostante la pausa intercorsa tra le due pubblicazioni, non sono state avanzate serie teorie filologiche su una possibile interpolazione, anche perché è fuori dubbio che entrambe le parti siano della stessa penna. Il Don Quijote nasce dalla critica al genere del romanzo cavalleresco, che nel 1500 aveva spopolato. Occorreva naturalmente una giustificazione al comportamento del suo personaggio, e la follia era la scusante più verosimile, come necessaria e consequenziale era la sua investitura a cavaliere, che paradossalmente lo abilita alle sue follie. Oggi probabilmente il motivo della follia sarebbe stato accennato qua e là tra le righe, ma per un uomo come Cervantes, nato a cavallo tra ‘500 e ‘600 la cosa era impensabile, tenuto tra l’altro conto del suo italianismo letterario che lo portava ad una strenua difesa del criterio di verosimiglianza, difesa disseminata in tutto il libro. È quindi impensabile leggere il romanzo considerando come base l’improvvisazione: il Don Quijote è invece un libro calibratissimo nella composizione testuale. Spia di questo atteggiamento è la cerimonia di investitura di Don Alonso: Alonso avrebbe potuto fare il cavaliere anche senza investitura, ma la coerenza di Cervantes è tale da impedirgli un cavalierato a metà (in fondo anche la sua pazzia così sarebbe stata a metà); e sempre spia di questa coerenza è che non si trova in situazioni cavalleresche prima dell’investitura: la precettistica letteraria della cavalleria, infatti, non ammetteva avventura di cavalieri non investiti. Innegabile infine la precisa struttura chiastica e parallela della prima parte, classica delle commedie barocche. Il termine centrale è la locanda – castello, un deus ex machina condensatorio che fissa al centro le due acme della vicenda: l’investitura e la consumazione dell’inganno. Nel dettaglio: la prima delle due parti saldate dalla locanda va dall’azione centrifuga che proietta Don Quijote e Sancio lontani dal paese e da quella centripeta  che porta il curato e il barbiere alla ricerca del Cavaliere, fino all’incontro tra i due e Sancio alla locanda; la seconda  quando il curato e il barbiere e Sancio incontrano Dorotea sulla Sierra Morena e dopo aver convinto il cavaliere ad una pericolosa missione per salvarla, finiscono nuovamente alla locanda.  I personaggi di Cervantes non hanno suscitato grande interesse nella loro soggettività se non con il Romanticismo, propenso però a idealizzazioni sicuramente esaltanti ma spesso troppo generiche. Esempio ne è Miguel de Unamuno, che nel suo Vida de Don Quijote y Sancho, livella e attenua gran parte delle sfumature dei due personaggi, collocandoli in un allegorismo ieratico che li contrappone fin troppo emblematicamente (Don Quijote sinonimo di idealismo, Sancho sinonimo di realtà e di pragmaticità). Sancho è una figura molto più complessa di quanto non sia stata intesa: il suo seguire Don Alonso non nasce da una stupidità mentale, né dalla seduzione di promesse inconsistenti, bensì da un’affinità elettiva profonda e da un bisogno di elevazione sociale e di crescita morale che solo il viaggio con Don Quijote può assicurargli. Anche Don Quijote non è un pazzo totale, e specialmente nella seconda parte, specialmente ma non unicamente, tradisce molti barlumi di profonda lucidità, persino nel disquisire, paradossalmente, della stessa follia.

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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