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Teorie sul rapporto cinema/teatro

Teorie sul rapporto cinema/teatro


Le scoperte, le certezze, l’arroganza dei precursori
Tutti i tentativi di normazione del linguaggio cinematografico convergono agli esordi sul tema della visività; sotteso al tema della visività sta il rapporto del cinema con l’arte che più gli si avvicinava: il teatro. Ne citiamo alcuni.
Louis Delluc fu teorico e regista negli anni Venti. Diresse sette film, il migliore dei quali fu senza dubbio L’inondation (1924) che riassumeva e traduceva nella concretezza dell’immagine la sua idea di cinema come arte basata essenzialmente sulla visività, che sola riesce a rivelare l’intima bellezza dei corpi, dei volti, delle cose e della natura, la loro fotogenia. La fotogenia era concetto allora piuttosto ambiguo, definibile come qualità determinata dal rapporto tra immagine in movimento e oggetto riprodotto.
Hugo Murstenberg analizzò le differenze tra teatro e cinema da un punto di vista strutturale e psicologico. Il cinema dà un taglio degli eventi drammatici che, a differenza del teatro, si forma sulla base degli impulsi della mente. Il cinema sacrifica i valori lineari e concreti dello spazio e del tempo, permettendoci, ad esempio, di portarci al passato dell’azione in ogni momento. Il cinema è il trionfo della mente sulla realtà immutabile del mondo esterno.
Sebastiano Luciani sostiene che il teatro si basa su elementi che svolgendosi senza soluzione di continuità giungono ad un punto culminante; il cinema è, invece, un insieme di punti essenziali e culminanti.
Gyorgy Lucaks fu il tipico intellettuale arroccato nella propria torre d’avorio, incapace di sforzarsi di comprendere la vera novità del cinema, considerata dall’ungherese come arte puramente visiva e superficiale.
I Futuristi che vedevano nella visività il fulcro dell’arte cinematografica, che pur doveva staccarsi dalla realtà. L’idea di cinema futurista è espressamente anti realista e anti narrativa, propensa a forme visive più astratte, come il disegno animato, i film di pupazzi, le manipolazioni ottiche. Non desideravano leziosità teatrali e pedisseque imitazioni del reale, ma costrutti visivi polisemantici.
Fino ad ora abbiamo parlavo della visività come criterio sufficiente e necessario alla definizione di partenza di una poetica cinematografica. In realtà altro criterio imprescindibile è quello della narratività. In ogni immagine, in ogni inquadratura, oltre allo spazio esiste il tempo, dunque una narrazione. Agli albori della teoria cinematografica, il rapporto spazio – tempo che Bachtin aveva individuato nel campo della letteratura, non veniva ancora considerato all’interno del mondo del cinema. Non ci si rendeva conto che le pellicole narrano storie, e che le storie hanno un tempo, e che questo tempo provoca mutamenti nell’immagine anche quando nulla sembra muoversi nella scena. Ciascun movimento, poi, produce un nuovo potenziale significato, oltre a quello visibile. Basti vedere l’esempio della signora col cappello del primo film dei Lumiere.

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