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Il metodo dei passi paralleli in letteratura


Il metodo dei passi paralleli è la più ampia testimonianza della resistenza, anche presso i più scettici, di una certa fede nell'intenzione d'autore. Quando un passo o un testo rappresenta un problema, perchè difficile, oscuro o ambiguo, cerchiamo un passo parallelo, nello stesso testo o in un altro, allo scopo di chiarire il senso del passo controverso. Del resto capire, interpretare un testo significa sempre produrre inevitabilmente differenza a partire da identità, da qualcosa d'altro con cose uguali tra loro: cogliamo differenze su uno sfondo di ripetizioni.
Il metodo dei passi paralleli è molto antico, e già ne parlava san Tommaso d'Aquino nella Summa theologica: nihil est quod occulte in aliquo loco sacrae Scripturae tradatur, quod alibi non manifeste exponatur. Era una messa in guardia contro gli eccessi dell'allegoresi, che Tommaso sottomette al controllo del contesto. Vale a dire: bisogna essere prudenti quando si interpreta in
senso metaforico un termine di poesia o prosa se un altro passaggio della medesima non spiega e conferma la metafora tramite un paragone o una definizione. Uno dei primi ad avere formulato la teoria dei passi paralleli è stato, secondo Peter Szondi, Georg Friedrich Meier (1718 – 1777) nel suo Saggio generale dell'interpretazione (1757). Egli distingue il parallelismo di parole e il parallelismo di cose: il primo è luogo simile al testo in considerazione delle parole; il secodno è luogo simile al testo in considerazione del significato, del senso o di entrambi. Parallelismo di cose e di parole si contrappongono nel testo come l'omonimia e la sinonimia. Il primo descrive l'identità della parola in contesti diversi e serve a fissare gli indici e le concordanze; è dunque un indice, dunque una probabilità, non una prova: la parola non deve necessariamente avere lo stesso significato in due passi paralleli. Il secondo è quello in cui l'oggetto è designato con una parola diversa. Meier dà al parallelismo della cosa addirittura la sua preferenza come principio ermeneutico. E in realtà è forse il più soggettivo dei due, specie dopo che la filosofia del linguaggio ha sollevato forti dubbi sulla effettiva qualità di equivalenza assoluta della sinonimia: dire in modo diverso significa dire qualcos'altro.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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