Il neorealismo politico
Nell’opera Teoria della politica internazionale, K. Waltz tenta di definire una teoria sistemica della politica internazionale e di esaminare le sue possibilità applicative:
1. una teoria contiene almeno un assunto teorico; tali assunti sono sostanzialmente non empirici ⇒ non ci si deve chiedere se essi siano veri, ma soltanto se siano utili;
2. le teorie devono essere valutate in termini di ciò che esse pretendono di spiegare;
3. la teoria, come sistema esplicativo generale, non è in grado di spiegare le particolarità.
La teoria dei sistemi non è una novità introdotta da Waltz, ma era già diffusa negli anni ’50-’60. Si pensi ad esempio alla teoria dei regimi di Kaplan, risalente al 1957.
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Perché nel 1979 Waltz riformula una teoria sistemica?
La ragione è molto semplice: secondo Waltz, tutto ciò che riguarda i sistemi formulato in passato è sbagliato.
Le teorie si definiscono riduzioniste o sistemiche non a causa del soggetto studiato, ma secondo l’ordine che danno al proprio materiale:
− sono riduzioniste quelle teorie che spiegano i risultati internazionali attraverso elementi e combinazioni di elementi collocati a livello nazionale e sub-nazionale. La pretesa di tali teorie è, secondo Waltz, di spiegare delle conseguenze esterne attraverso il gioco delle forze interne. Il sistema internazionale, se viene in alcun modo preso in considerazione, lo è come una semplice conseguenza.
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Una teoria riduzionista è una teoria sul comportamento delle parti.
Se i risultati internazionali sono determinati dalle caratteristiche degli stati, dobbiamo quindi prendere in considerazione l’ordine interno ed internazionale di quelli più importanti, e, se necessario, fare qualcosa per cambiarli. Ad esempio, il Segretario di Stato H. Kissinger definiva “legittimo” l’ordine internazionale accettato da tutte le maggiori potenze e “rivoluzionario” quello rifiutato da uno o più di essi ⇒ la qualità di tale ordine dipende dalla disposizione degli stati che lo costituiscono: un ordine internazionale legittimo tende alla stabilità e alla pace, un ordine rivoluzionario all’instabilità e alla guerra.
In realtà, osserva Waltz, a volte gli ordini internazionali rivoluzionari possono essere stabili e pacifici, mentre in alcune occasioni sono proprio gli ordini internazionali legittimi ad essere instabili ed inclini alla guerra.
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Waltz giunge alla conclusione che non è possibile capire la politica mondiale considerando soltanto le caratteristiche interne degli Stati; infatti, se gli obiettivi, le politiche e le azioni degli Stati divengono materia di attenzione esclusiva siamo obbligati a scendere al livello di descrizione e non è dunque possibile trarre alcuna generalizzazione valida da semplici descrizioni. In pratica, possiamo descrivere ciò che si vede, ma non comprenderne il significato.
Ciò che si omette a livello di sistema viene recuperato attribuendo caratteristiche, motivazioni, responsabilità, ai singoli attori. L’effetto osservato viene trasformato in causa e questa viene poi attribuita agli attori. Non vi è, in ogni caso, nessun processo logico attraverso cui gli effetti prodotti dal sistema possano essere attribuiti alle unità.
Nella storia delle relazioni internazionali, afferma Waltz, raramente i risultati ottenuti corrispondono alle interazioni degli attori. La ragione apparente per cui le intenzioni sono ripetutamente frustrate è che esistono elementi causali che non hanno origine a livello di caratteri e motivazioni dei singoli stati, e che operano in modo efficace sugli attori come collettività ⇒ ogni Stato giunge alle proprie decisioni politiche attraverso processi interni, ma tali decisioni sono influenzate dalla presenza di altri Stati e dall’interazione con essi.
La trama delle politica internazionale resta assai costante, con modelli ricorrenti ed eventi che si ripetono senza fine. Le relazioni internazionali si modificano raramente per qualità o per tipo. Al contrario, esse sono contrassegnate da una costante persistenza; persistenza che occorre attendersi sino al momento in cui qualcuna delle unità in competizione sarà in grado di trasformare la natura del sistema internazionale da anarchico in gerarchico.
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Il perdurante carattere anarchico della politica internazionale spiega la sorprendente uguaglianza della qualità della vita internazionale attraverso i millenni. Continuità e ripetizioni determinano il fallimento del tentativo di spiegare la politica internazionale seguendo la ben nota formula del “rovesciamento”. I ripetuti fallimenti dei tentativi di spiegare in maniera analitica gli effetti internazionali, e cioè attraverso l’esame delle unità interagenti, segnalano la necessità di un approccio sistemico. Se gli stessi effetti sono prodotti da cause differenti, allora vi devono essere delle costrizioni che operano sulle variabili indipendenti in modo tale da influenzare gli effetti.
Come dovrà essere una teoria sistemica della politica internazionale?
Quale dovrà essere il suo scopo?
Cosa sarà in grado di spiegare?
Una teoria spiega la regolarità di comportamento, creando inoltre aspettative sui risultati prodotti dalle unità interagenti entro determinati campi di variazione.
TUTTAVIA, il comportamento degli Stati e degli uomini di Stato resta indeterminabile. Questa è la grande questione irrisolta degli studi politico-internazionali. Essa non può essere risolta da coloro che adottano un approccio riduzionista e comportamentista, cercando di spiegare la politica internazionale attraverso i suoi attori principali.
NB: l’approccio comportamentista dominante procede, attraverso l’elaborazione di proposizioni sul comportamento, le strategie e le interazioni degli Stati. MA le proposizioni a livello di unità non spiegano i fenomeni osservati a livello sistemico.
La struttura di un sistema agisce come limite e forza ordinatrice. Per questa ragione le teorie sistemiche sono in grado di spiegare e prevedere la continuità all’interno del sistema ⇒ una teoria sistemica mostra le ragioni per cui le trasformazioni a livello di unità producono una quantità minore di mutamenti di risultati rispetto a quella che ci si potrebbe aspettare in assenza di costrizioni sistemiche.
Una teoria deve avere capacità esplicative e predittive, ma anche eleganza = validità generale delle spiegazioni e delle predizioni.
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La teoria della politica internazionale sarà in grado di fornire spiegazioni sui motivi del ricorrere delle guerre, ma non potrà predire lo scoppio di guerre particolari.
Le strutture appaiono statiche a causa della loro lunga durata nel tempo. Ma anche quando le strutture non cambiano, esse sono pur sempre dinamiche, dato che sono in grado di alterare il comportamento degli attori e influenzare gli effetti delle loro interazioni.
Le strutture inoltre possono cambiare improvvisamente: una rivoluzione violenta o non violenta, può produrre un mutamento strutturale, causando nuove aspettative sulle conseguenze delle azioni e delle interazioni delle unità, la cui collocazione nel sistema muta con il mutamento della struttura stessa ⇒ una teoria spiega il cambiamento da un sistema all’altro.
Quello che la teoria non può fare è dire in che misura le unità di un sistema risponderanno a tali pressioni e possibilità. Una teoria sistemica della politica internazionale considera le forze che sono in gioco a livello internazionale, non a quello nazionale.
Le teorie sistemiche spiegano le ragioni della diversità di comportamento di unità differenti malgrado la loro posizione simile nel sistema.
Una teoria sulla politica estera è una teoria che si applica a livello di nazione e comporta delle aspettative sulle risposte alle pressioni esterne prodotte da politiche diverse.
Una teoria della politica internazionale considera invece le politiche estere degli stati soltanto per spiegarne certi aspetti, limitandosi ad illustrare il tipo di situazione internazionale che tali politiche nazionali devono affrontare.
Concentrarsi sulle grandi potenze non significa perdere di vista i paesi minori. Ma l’attenzione al destino di questi impone l’analisi puntuale delle influenze esercitate dai primi ⇒ una teoria generale della politica internazionale è necessariamente basata sullo studio delle grandi potenze, ma una volta scritta si applica anche agli stati minori, nella misura in cui le loro interazioni sono isolate dall’intervento delle grandi potenze, per la relativa indifferenza di queste ultime o per difficoltà di comunicazione o di trasporto.
Nel considerare le strutture come cause è utile distinguere fra 2 definizioni:
1. dispositivo che opera per produrre un’uniformità di effetti a dispetto della varietà degli input: queste strutture mettono in gioco processi livellatori e coloro che ne subiscono gli effetti non hanno bisogno di essere consapevoli della struttura o di come essi sono prodotti. Le strutture di questo tipo sono agenti o apparati in funzione all’interno dei sistemi; esse operano per contenere gli effetti entro un ristretto campo di variazioni. Esse differiscono invece per il fatto di essere designate dalla natura o dall’uomo per operare per scopi particolari entro sistemi più larghi.
2. un insieme di condizioni di costrizione: anche questa struttura agisce come selettore, ma non può essere vista, esaminata e osservata al lavoro. Poiché le strutture selezionano, premiando alcuni comportamenti e punendone altri, i risultati non possono essere dedotti dalle intenzioni e dai comportamenti.
Agenti e organizzazioni agiscono in modo diverso dai sistemi, ma le loro azioni sono influenzate dalla struttura del sistema. Una struttura di per sé non produce direttamente un risultato piuttosto che un altro. Le strutture influenzano in modo indiretto il comportamento all’interno del sistema. Gli effetti sono prodotti in 2 modi, che hanno luogo nella politica internazionale come nelle società di tutti i tipi:
1. attraverso la socializzazione degli attori: le coppie e i gruppi forniscono esempi microcosmici e transitori della socializzazione che ha luogo nelle organizzazioni e nelle società a più larga scala e in più lunghi periodi. La società stabilisce norme di comportamento in modo informale e spontaneo; l’opinione del gruppo esercita un controllo sui suoi membri; emergono eroi e leader che vengono emulati.
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La socializzazione porta i membri di un gruppo ad agire in conformità con le sue norme.
Alcuni membri del gruppo troveranno tutto questo repressivo e saranno pertanto inclini a comportarsi in modo deviante. In caso contrario, la ridicolizzazione riporterà in linea i devianti o ne causerà l’uscita dal gruppo.
Ad ogni modo, verrà mantenuta l’omogeneità del gruppo.
2. attraverso la competizione fra gli attori: la competizione genera un ordine a cui le unità adeguano le loro relazioni attraverso atti e decisioni.
Nei settori sociali organizzati in modo poco rigido o segmentato, la socializzazione avviene all’interno dei singoli segmenti, mentre la competizione ha luogo fra essi. Sia la socializzazione che la competizione incoraggiano le similarità di attributi e di comportamento.
Non è possibile dedurre dall’uniformità dei risultati che gli attributi e le interazioni delle parti di un sistema sono rimasti costanti. “Cause” differenti possono produrre effetti identici; le stesse “cause” possono avere conseguenze differenti. A meno di non conoscere l’organizzazione del sistema, difficilmente si potranno distinguere le cause dagli effetti.
Se la struttura influenza senza determinare, ci si deve allora chiedere come e in che misura la struttura di un sistema spieghi i risultati, e come e in che misura li spieghino le unità ⇒ la struttura, come le unità, deve essere studiata di per sé.
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