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"Storie" di Tucidide ultima parte V Libro: dialogo tra Meli ed Ateniesi

Melo è una colonia degli Spartani, per nulla disposta ad inchinarsi, imitando gli altri isolani, alla grandezza di Atene. Nelle fasi iniziali del conflitto i Meli si mantenevano in sapiente equilibrio tra gli Stati in lotta: ma in seguito, sforzati dagli Ateniesi che ne devastavano il territorio, ruppero la propria neutralità e fu guerra aperta (cap.84). Non bisogna tuttavia lasciarsi ingannare da questa frase: Melo, infatti, è già parte dell’impero ateniese, ma è uno degli ultimi alleati autonomi, ai quali viene proposto di diventare un alleato tributario. 

È un dialogo di filosofia politica ⇒ ha un significato molto più generale dei fatti storici a cui si riferisce, fatti storici del tutto marginali nella cornice della guerra del Peloponneso: il fatto che Atene, nel 416 a.C. assoggetti l’isola di Melo non modifica per niente gli equilibri di potere in gioco. Tuttavia, Tucidide costruisce attorno a questo episodio un vero e proprio trattato filosofico, in cui si toccano altri temi, oltre a quello generale che percorre tutta l’opera, ossia l’imperialismo ateniese: 
− il ruolo dei neutrali; 
− il ruolo della speranza; 
− il ruolo dell’intervento divino nelle vicende umane; 
− principi di base dell’azione umana, 

tanto che secondo alcuni studiosi, questo dialogo rappresenta un vero e proprio trattato metafisico, in cui il caso di Melo viene visto come l’insieme di problemi e principi eterni. 
L’episodio di Melo è una situazione idealtipica, perché rappresenta il caso di una grande potenza che esercita la sua piena forza nei confronti di un piccolo stato neutrale, nella sostanziale indifferenza dell’altra grande potenza. 
Tucidide vuole spiegare le leggi che regolano l’imperialismo ateniese, ponendosi dal punto di vista di Atene; nel caso specifico, l’imperialismo viene osservato in rapporto con la giustizia, con i sudditi, con gli dei, con i rivali ⇒ è una visione a tutto tondo dei temi trattati in tutte le Storie. 
È anche uno dei pochi casi in cui gli oratori ateniesi sono anonimi, ma è la città intera che parla, riportando la posizione ufficiale di Atene e, come tale, non riducibile ad un partito, ad un capo o ad una singola fazione. 
Così quella dei Meli di fronte ad Atene diventa una situazione stereotipa, della quale si possono anche riconoscere dei precedenti. In particolare, sono gli argomenti che vengono sviluppati in un passo della Bibbia, nel Secondo libro dei Re, in cui si descrive il dialogo tra i legati di Sennacherib, re di Assiria, ed i legati di Ezechia, sovrano di Gerusalemme, nel racconto antico-testamentario dell’assedio assiro di Gerusalemme nel 701 a.C.: 
Il re d’Assiria mandò il tartan, il capo delle guardie e il gran coppiere da Lachis a Gerusalemme, al re Ezechia, con un grande esercito. Costoro salirono e giunsero a Gerusalemme; si fermarono al canale della piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio. 
Essi chiesero del re e incontro a loro vennero Eliakìm, figlio di Chelkia, il maggiordomo, Sebna lo scriba e Ioach figlio di Asaf, l’archivista. Il gran coppiere disse loro: “Riferite a Ezechia: Dice il gran re, il re d’Assiria: Che fiducia è quella su cui ti appoggi? Pensi forse che la semplice parola possa sostituire il consiglio e la forza nella guerra? Ora, in chi confidi ribellandoti a me? Ecco, tu confidi su questo sostegno di canna spezzata, che è l’Egitto, che penetra nella mano, forandola, a chi vi si appoggia; tale è il faraone re d’Egitto per chiunque confida in lui. Se mi dite: Noi confidiamo nel Signore nostro Dio, non è forse quello stesso del quale Ezechia distrusse le alture e gli altari, ordinando alla gente di Giuda e di Gerusalemme: Vi prostrerete soltanto davanti a questo altare in Gerusalemme? Ora vieni al mio signore, re d’Assiria; io ti darò duemila cavalli, se potrai procurarti cavalieri per essi. Come potresti fare retrocedere uno solo dei più piccoli servi del mio signore? Eppure tu confidi nell’Egitto per i carri e i cavalieri. Ora, non è forse secondo il volere del Signore che io sono venuto contro questo paese per distruggerlo? Il Signore mi ha detto: Va’ contro questo paese e distruggilo”. 
I temi avanzati dagli assiri sono gli stessi presenti nel dialogo dei Meli e degli Ateniesi: 
− il ruolo della speranza 
− la svalutazione della superiorità militare altrui 
− l’illusione di poter contare sull’aiuto della grande potenza rivale 
− l’estrema risorsa di confidare nella divinità. 

È difficile sostenere che Tucidide fosse a conoscenza di questo antecedente storico, anche se, forse, non lo si può neanche escludere. Di certo, però, Tucidide conosce un altro precedente molto più vicino e oltremodo pertinente: quello dell’assedio posto da Temistocle all’isola di Andro, episodio narrato con una certa ampiezza da Erodoto, nel Libro VIII delle sue Storie, dove riassume: Temistocle si era presentato loro (i Comitati di Andro) col seguente discorso: diceva che gli Ateniesi erano giunti recando con sé due divinità, Persuasione e Costrizione, e che perciò essi erano assolutamente tenuti a versare il denaro ⇒ Temistocle offriva un’alternativa agli Andri: o lasciarsi convincer o subire, o la sottomissione pacifica o la sottomissione con la forza. Che è appunto la stessa alternativa dinanzi alla quale vengono ora posti i Meli. 
Il dialogo è strutturato in 3 parti: 
1. parte preliminare (capp. 85-91), nella quale vengono esposte alcune tesi fondamentali sul diritto e la forza; 
2. parte centrale (capp. 92-99), in cui gli Ateniesi presentano le loro richieste, affermando che è nell’interesse di entrambi che Melo ceda senza combattere ⇒ il tema centrale è che Atene ha bisogno di Melo, deve conquistarla; è questa la parte più interessante, dato che può trovare applicazione pressoché generale, non solo specifica all’episodio di Melo; 
3. parte finale (capp. 100 e successivi), in cui gli Ateniesi argomentano che Melo non ha alcuna possibilità di successo ⇒ la tesi centrale è che Atene può conquistare Melo. 

Atene ha bisogno di conquistare Melo, apparentemente insignificante nella lotta contro Sparta; l’idea di fondo è che Atene teme l’ostilità dei suoi soggetti e, per tenerli sotto controllo, deve dare una dimostrazione di forza (cap.95) ⇒ non può permettere a nessuno, soprattutto se isole (cap.99), di sottrarsi alla sua autorità. 
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La conquista diventa una misura di sicurezza (= motivazioni di un impero in espansione). 
La neutralità di Melo non è possibile, dato che i soggetti restano sotto Atene solo per la paura che essa suscita loro ⇒ Atene è costretta a usare la forza. 
Si crea una sorta di circolo vizioso, in cui chi conquista è costretto a continuare a conquistare, malgrado questo lo ponga in una situazione sempre più pericolosa; e gli Ateniesi ne sono ben consapevoli. 
L’argomento della sicurezza dell’impero non è nuovo. Era già stato enunciato da Pericle (la guerra deve essere fatta per la sicurezza dell’impero; abbandonare l’impero è pericoloso), da Cleone (la sua ossessione per le defezioni e la necessità di punirle severamente), sarà enunciato da Alcibiade nel VI Libro (vuole prevenire ogni possibile minaccia ⇒ la spedizione in Sicilia viene giustificata in questi termini). 
Attraverso questi 3 personaggi, Tucidide traccia anche una ricostruzione storica dell’impero e delle sue necessità. 
Nel dialogo dei Meli, però, questa necessità è del tutto astratta, perché la politica adottata è frutto puramente di una necessità (non di una deliberazione da parte degli uomini), fine a se stessa, che si impone nel ragionamento degli Ateniesi. 
Gli Ateniesi seguono una logica che può anche non essere approvata, infatti Tucidide non dà segni di approvazione, ma è comunque una logica molto coerente con se stessa: se si vuole la sopravvivenza dell’impero, bisogna evitare lo scandalo della neutralità di un’isola e, più in generale, di un soggetto politico in un’area sotto stretto controllo ateniese. Questo permetterà di mandare un messaggio agli altri alleati, perché soltanto quando si è temuti si può essere rispettati. 
I Meli hanno un sentimento molto vivo per la loro indipendenza, agiscono secondo giustizia, sono coraggiosi, ma da un punto di vista politico e razionale, essi sbagliano in pieno, perché si affidano fondamentalmente alla speranza, già duramente condannata nelle pagine precedenti in varie occasioni: 
− Pericle condanna la speranza nel Libro II, cap.62: e non urge vivo il bisogno di affidarsi alla speranza, il cui potere s’impone quando gli eventi sono ambigui, problematici: si sfrutta il calcolo razionale dei fattori in campo per poter contare su un più certo presagio; 
− Diodoto nella sua replica a Cleone nel Libro III, cap.45: su tutto il dominio della speranza e del desiderio: questo di guida, quella di scorta; l’uno fantastica e stilla i particolari del colpo, l’altra riscalda con la suggestione di una lieta fortuna: onde perdite incalcolabili; 
− Ermocrate nel Libro IV, cap.62: la potenza non assicura il trionfo, anche se l’accompagna la speranza; 
− Tucidide nei suoi commenti all’atteggiamento ateniese, a quello degli alleati, nel Libro IV, cap.65: la fortuna… appannava le loro menti… ne erano responsabili i clamorosi trionfi che sorprendendoli avevano dato ali alle loro speranze; e nel Libro IV, cap.108: è il tratto caratteristico della mentalità umana: abbandonarsi, in ciò che si sogna, a fantasie avventurose e accantonare con analisi sbrigativa, senza appello, ciò che ci disgusta. 

Lo stesso vale per gli dei: essi non aiuteranno Melo ⇒ è vano contare su di loro; l’idea di una ricompensa divina a chi agisce in modo pio è del tutto estranea allo spirito razionalista del tempo. Il Fato, il Destino è cieco ⇒ nessuno pensa che ci sia un qualche intervento divino per premiare chi lo merita. 
Infine, i Meli contano sull’aiuto di Sparta, potenza terrestre, lenta ad agire, pronta ad agire solo in base ai propri interessi ⇒ le attese dei Meli sono vane. 
Anche se Atene può conquistare Melo, sa comunque di correre un rischio, evocato ben 3 volte nel corso del dialogo: 
− cap.90: i Meli prospettano l’ipotesi di una disfatta ateniese: nell’eventualità di una disfatta vi scolpireste esempio eterno nella memoria dei popoli; 
− cap.98: i Meli mettono in guardia Atene dall’atteggiamento di coloro che potrebbero trovarsi nella stessa situazione di Melo: tutti gli stati che attualmente non sono iscritti a nessuna lega, credete voi che non prepareranno ostili le armi, quando riflettendo sul nostro destino temeranno di ora in ora che vibriate loro il primo assalto?; 
− cap.110: i Meli ipotizzano l’intervento di un nuovo Brasida, che possa provocare defezioni all’interno dell’impero ateniese: potrebbero offendere il vostro paese e il resto della vostra lega: quegli alleati cui la spada di Brasida non giunse. 

Ogni volta gli Ateniesi ammettono l’esistenza di tali rischi, ma 
− una volta discutono quanto serio sia tale rischio; 
− la seconda volta specificano quali popoli debbano essere maggiormente temuti (gli isolani); 
− la terza volta rispondono con una minaccia. 

Queste 3 risposte possono essere identificare alla fine di ciascuna delle 3 parti in cui è stato diviso il dialogo e, mentre nel primo e nel terzo intervento la sconfitta ateniese viene vista come una semplice possibilità, nel secondo la sconfitta ateniese è posta in rapporto con l’imperialismo: gli isolani, piuttosto ci fanno tremare, quelli sì! … Poiché costoro, in uno scatto folle e senza speranza, potrebbero coinvolgerci in una caduta verso ben prevedibili abissi (cap.99). Da qui la necessità di conquistare, per conservare l’impero. 
Il dialogo, capitolo per capitolo 
− cap.85: discussione procedurale: la discussione viene impostata con un dialogo per semplificare le cose. 
− cap.86: i Meli si lamentano per la pressione militare sotto la quale i negoziati vengono condotti e sono anche consapevoli del fatto che anche se avessero ragione, questo non li salverà: se trionferanno le nostre ragioni di giustizia, ispirandoci fermezza, ci toccherà la guerra. Cedendo, la schiavitù. 
− cap.87: il dibattito verte sulla salvezza di Melo: se la salvezza della vostra gente vi sta a cuore, apriamo pure il dibattito. 
− cap.88: brusco cambiamento di tono da parte dei Meli che hanno esordito lamentandosi della loro condizione e adesso accettano di discutere, senza ulteriori lamentele. 
− cap.89: gli Ateniesi rinunciano (e chiedono ai Meli di fare altrettanto) di fare ricorso ai soliti argomenti, anche se quelli ufficiali (il ruolo benemerito di Atene nelle guerre contro i Persiani; il fatto che Atene viene danneggiata dalla politica di Melo) e pretendono che i Meli non tentino di giustificare la loro condotta con vincoli etici o per il fatto di essere colonia di Sparta. Considerazioni di giustizia sono del tutto fuori luogo, perché siete consapevoli quanto noi che i concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda: i più potenti agiscono, i deboli si flettono. 
− cap.90: anche solo ragionando in termini di interesse, non di giustizia, ad Atene non conviene distruggere ogni senso di giustizia, perché un domani potrebbe trovarsi nella condizioni in cui adesso si trova Melo. 
− cap.91: Atene non teme Sparta in questo momento. Alcuni studiosi commentano questo punto dicendo che “un tiranno non teme un altro tiranno”. Il principale pericolo per Atene adesso sono i suoi soggetti. Gli Ateniesi ribadiscono di essere lì per garantire la sicurezza dell’impero e la soluzione che propongono è vantaggiosa per entrambi. 
− cap.93: la repressione violenta dei Meli sarebbe un danno per l’impero, perché si priverebbe di un alleato che potrebbe versare utili tributi nel corso degli anni ⇒ per Atene, sottomettere Melo senza distruggerla sarebbe più vantaggioso; viceversa, per i Meli sarebbe più vantaggioso aver salva la vita, piuttosto che essere uccisi. 
− cap.95: l’odio è il collante dell’impero ⇒ se Atene accettasse la neutralità di Melo, gli agli soggetti non la temerebbero più e, senza avere più timore, non vorrebbero più restare sotto l’impero. 
− cap.97: gli alleati che non vengono aggrediti sono quelli di cui Atene ha paura ⇒ in questo caso, il reciproco rispetto è basato sul reciproco timore. Nel caso di Melo, però, questo timore non esiste, in quanto forza isolana non certo tra le più potenti. Inoltre, la conquista di Melo metterebbe fine alla sfida lanciata dalla neutralità dell’isola nei confronti della supremazia ateniese: gli isolani devono per forza essere sottomessi. 
− cap.99: Atene è consapevole dell’odio che suscita, soprattutto negli isolani che, esacerbati, già mordono il freno del nostro impero. 
− cap.100: i Meli evocano il tema dell’onore: sarebbe disonorevole, vergognoso, prova di spirito vile, cedere di fronte a questa richiesta. 
− cap.101: secondo gli Ateniesi, ha senso parlare di onore solo quando lo scontro è alla pari. Ma poiché tra Atene e Melo il rapporto non è alla pari, non c’è spazio neanche per considerazioni legate all’onore. 
− cap.102: svalutazione della forza militare: è il “mito di Maratona” = il fatto che in certe circostanze un rapporto di forza non favorevole non preclude il successo. NB: è un mito, che in certe occasioni può verificarsi, ma di norma no e il più forte prevale ⇒ vana speranza su cui i Meli indugiano. 
− cap.103: la speranza conduce al baratro e induce all’irrazionale, a vedere cose che non esistono ⇒ rientra tra quelle passioni umane da evitare se si vuole evitare un esito disastroso. 
− cap.104: Melo confida nell’aiuto divino, perché giusta ed innocente, e in Sparta, per i legami etnici e per il senso dell’onore che Sparta dovrebbe avere. 
− cap.105: Atene risponde che anche tra gli dei si applica le legge del più forte. È una legge universale, che riguarda anche il mondo divino e che sarà sempre valida ⇒ Melo non ha validi motivi per sperare nelle divinità. 
Quanto a Sparta, essa applica l’onore solo in casa sua, ma non certo nei rapporti con gli altri Stati. Quanto all’interesse, nei loro ideali onesto equivale a gradito e giusto a utile. 
− cap.107: in politica, l’utile va d’accordo con la sicurezza dello Stato ⇒ Melo non può certo sperare nell’aiuto Spartano solo per elementi di affinità etnica. 
− cap.108: i Meli insistono su 3 elementi, che spingeranno Sparta a correre in loro aiuto: siamo prossimi, come teatro d’operazioni, al Peloponneso e, per concezioni politiche, la comunanza di stirpe ci rende più degni di fiducia degli estranei. 
− cap.109: gli Ateniesi rispondono che gli allineamenti e le alleanze prescindono da legami, affinità o contrasti di tipo ideologico ⇒ non ci si può illudere che la sicurezza assuma il volto dell’affinità politica ⇒ quando è in gioco la sicurezza, gli allineamenti vengono dettati dalla disponibilità dei mezzi militari. 
− cap.110: i Meli avanzano delle ipotesi “fantapolitiche” su quanto potrebbe accadere a danno degli Ateniesi. 
− cap.111: gli Ateniesi cominciano a perdere la pazienza e rispondono in modo secco: non avete voluto pronunziare una parola sola cui ci si possa umanamente affidare. Il vero disonore consiste nel provocare la rovina dello Stato, non certo cedere ad una potenza ben più forte, diventando un alleato con l’obbligo di versare il tributo. L’attacco all’onore è un topos della filosofia sofistica: chi insiste, nonostante l’enorme squilibrio di forze, a basarsi sull’onore è un folle, perché non ha alcuna speranza di successo ⇒ provoca la sua rovina con le sue stesse mani. 
− cap.112: i Meli replicano in modo alquanto deludente, e propongono ancora una volta la neutralità, che gli Ateniesi non possono accettare. 

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Gli Ateniesi passarono per le armi tutti i Meli adulti che caddero in loro potere, e misero in vendita come schiavi i piccoli e le donne (cap.116). 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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