Anfipoli
Anfipoli
Ad Anfipoli si studia un complotto per consegnare la città agli Spartani. Tuttavia, la maggior parte della popolazione non è convinta di voler fare tale passo ⇒ ostacola la defezione ⇒ interviene Tucidide in persona (cap.104). Quando Brasida si accorge dell’arrivo degli Ateniesi, propose alla città un disegno d’accordo molto moderato, in base al quale tra gli Anfipolitani e gli Ateniesi attualmente in città, a chi lo desiderava, era concesso rimanervi… con assoluta, inalterata equità di diritti. A chi non era disposto, si assegnava la facoltà di sgomberare (cap.105).
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Questo proclama, diffuso, mutò per lo più lo stato d’animo della popolazione, che si contentava di godere inalterato il possesso della propria città (cap.106).
Anfipoli defeziona.
Gli Ateniesi cominciano a preoccuparsi per tutte queste defezioni: la conquista di Anfipoli allarmò profondamente Atene, perché si teme che questo sia l’inizio di una lunga serie di defezioni ⇒ si temeva, di ora in ora, le voci di città alleate in rivolta. Brasida per giunta, in ogni suo atto, manteneva un contegno mite e nei suoi discorsi, dovunque li pronunciasse, insisteva a ricordare che la sua missione significava la libertà della Grecia (cap.108).
Segue anche il giudizio, piuttosto acuto, di Tucidide su tutte queste defezioni: la politica spartana ha successo e molte città decidono di defezionare da Atene, ritenendolo il momento più propizio, ma sottovalutando la potenza ateniese: una gara insomma per essere i primi a staccarsi. Neppure si profilava, a loro avviso, lo spettro di un castigo: traviati da una stima di tanto errata della potenza ateniese, di quanto, più tardi, essa spiegò la sua concreta ampiezza (cap.108). Questo errore di valutazione sarà gravissimo, dal momento che Atene scatenerà una pesante rappresaglia contro alcune di esse: è il tratto caratteristico della mente umana: abbandonarsi in ciò che si sogna, a fantasie avventurose e accantonare con analisi sbrigativa, senza appello, ciò che ci disgusta.
Sicché le città fremevano d’entusiasmo, colme di fede in un’impunità assoluta.
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La situazione si è capovolta ed è ora particolarmente favorevole per Sparta. MA anche in questo caso si rivela il carattere passivo ed eccessivamente prudente degli Spartani che non sfruttano a pieno (come dovrebbero) questo momento favorevole. Infatti, alla richiesta di Brasida di inviare un altro contingente a rinforzo, Sparta non soddisfece le richieste di Brasida: ormai la sua figura ispirava un geloso rancore alle personalità più influenti, inoltre si preferiva operare per il recupero degli uomini di Sfacteria e per la fine delle ostilità (cap.108) ⇒ da una parte si è gelosi, invidiosi, o forse timorosi, della popolarità che Brasida sta acquisendo, dall’altra, c’è il desiderio di pace separata, per liberare così gli spartiati ancora prigionieri ad Atene.
Dunque, Tucidide in qualche modo dimostra come anche quel sistema politico che nel Libro I aveva elogiato per la sua stabilità (Libro I, cap.18), in realtà non è perfetta, perché lascia spazio alle gelosie tra i capi, il che può portare a non prendere la decisione giusta.
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