La presenza europea in Africa
La presenza europea in Africa
Già nella premessa abbiamo avuto modo di citare come la presenza europea fino alla seconda metà dell’ottocento, fosse rimasta molto limitata e circoscritta alla coste. Abbiamo detto che le popolazioni non costiere (e quindi la stragrande maggioranza degli abitanti dell’Africa nera), non subirono in maniera apprezzabile l’influenza degli europei e se non fosse stato per la tratta degli schiavi (peraltro portata avanti dalle stesse popolazioni africane impegnate nella vendita di schiavi agli europei), la presenza dei bianchi lungo le coste non avrebbe prodotto nessun mutamento nelle secolari strutture economiche e sociali delle popolazioni dell’interno.
Se un evoluzione anche presso le popolazioni dell’interno vi è stata, in seguito all’arrivo degli europei, essa è stata trasmessa loro dalle popolazioni africane stanziate lungo le coste, le sole che avessero potuto apprendere qualcosa dagli europei. Vale quindi la pena di soffermarsi sul rapporto fra queste popolazioni “costiere” e gli europei che con esse interagivano, vuoi per il commercio dell’oro, vuoi per quello degli schiavi.
Secondo il nostro eminente libro, il rapporto fra europei ed africani fu di sostanziale parità e rispetto reciproco dall’antichità fino al seicento-settecento; tanto che sarebbe più coretto parlare di una società costiera africana che includeva in se anche gli europei che vivevano presso di essa, piuttosto che di poche centinaia di europei stanziati affianco ai villaggi delle popolazioni africane lungo la costa. Ovvero non di due comunità distinte che dialogano reciprocamente, ma di una sola comunità, composta per la quasi totalità da neri, ma nella quale vivono e trovano un loro posto e ruolo, anche i pochi bianchi arrivati dall’Europa. In una comunità di questo tipo ognuno impara dall’altro, gli africani apprendono la tecnologia europea e gli europei i riti e la cultura africane, o, perlomeno, ne subiscono l’influenza. A sostegno di questa tesi anche la considerazione che fra cinquecento al seicento, il modo di vivere di un contadino europeo e di uno nero africano, non erano ancora incolmabili, nel senso che erano entrambi assolutamente analfabeti e vivevano in grande povertà. Invero le abitazioni africane venivano chiamate case dagli europei fino al 17° secolo circa, dopo saranno viste dispregiante solo come capanne.
La notevole evoluzione sociale, economica e culturale che caratterizzò l’Europa del settecento e più ancora dell’ottocento, unita alla visione misera e priva di dignità che ispiravano gli africani deportati come schiavi nelle stive delle negriere agli occhi degli spettatori europei, contribuirono a produrre l’idea di un salto di civiltà fra i due continenti. Il nero non fu più visto come un uomo diverso, infedele, arretrato tecnologicamente, ma comunque uomo al pari del bianco, ma come l’esponente selvaggio e rozzo, lo schiavo sporco, di una subcultura umana arretrata e spregevole. Questa fu effettivamente la visione che s’impadronì del discernimento europeo fra settecento, ottocento ed inizio novecento.
Quindi in definitiva è facile supporre che almeno fino al settecento fra i due gruppi che abitavano le coste del continente nero vi sia stato un certo interscambio culturale reciproco, mentre nei secoli successivi, tale interscambio sia progressivamente diventato a senso unico, per tradursi, a partire dalla seconda metà dell’ottocento, in una imposizione forzata agli africani della cultura, della religione, della lingua.. in pratica dei modelli europei. Sull’entità dell’interscambio fra cinquecento e ottocento è difficile esprimersi: gli europei erano molto pochi e mancano fonti precise; tuttavia possiamo ritenere che se anche esso fu limitato nella maggior parte dei casi, almeno in due zone esso assunse proporzioni significative: in sud Africa con i boeri e nella zona del golfo di Guinea, dove più numerosa era la presenza europea per via del commercio dell’oro e degli schiavi.
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