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Gli attori della R&S: L’industria


Il quadro relativo all'industria è fornito dall’Istat: nel 2001 le 2367 imprese censite hanno speso 6661 milioni di euro per attività di R&S. Le imprese di grandi dimensioni (più di 500 dipendenti) rappresentano i ¾ della spesa. Il settore manifatturiero rappresenta il 77.5% (apparecchiature radio-tv e telecomunicazioni, prodotti chimico-farmaceutici, autoveicoli), i servizi il 21.6%. La spesa per R&S extramuros (commissionata a imprese terze) rappresenta ¼ di quella svolta al proprio interno. La spesa per R&S delle imprese, rapportata al Pil, è dello 0.5% in Italia (1.3% la media europea, con Usa 2% e Giappone 2.1%). Il numero di imprese italiane ad alta tecnologia è storicamente modesto, con pochi progetti innovativi e di ricerca di base: negli anni 50 e 60 vi fu rapido sviluppo (Olivetti, Lepetit (farmaceutica), Infn, Montedison (chimica)); negli anni 70 si punta più a minimizzare i costi, con innovazioni di processo piuttosto che di prodotto; negli anni 80 vi è la sola esperienza di Olivetti nel pc; negli anni 90 continua il disimpegno: crisi dei settori ad alta tecnologia e privatizzazioni favoriscono il passaggio delle nostre imprese ad alta tecnologia a imprese straniere. Vediamo i fattori per cui gli investimenti in R&S delle imprese italiane sono così ridotti: la specializzazione settoriale (sono maggiori i settori che privilegiano innovazione tecnologica non basata sulla R&S rispetto a quelli basati sulla scienza e per cui la R&S è necessaria per la sopravvivenza), la dimensione d’impresa (moltissime piccole, che non possono farsi carico della R&S (e per cui, comunque, è di difficile stima in quanto non contabilizzata come tale) e poche grandi), l’articolazione territoriale (i distretti industriali producono fuga di informazioni e mobilità interaziendale dei tecnici, con imitazione e riduzione dei costi per i concorrenti, e conseguente disincentivo ad investire in R&S).

Tratto da TECNOLOGIA, PRODUZIONE E INNOVAZIONE di Moreno Marcucci
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