L’evoluzione politica ad Atene
L’evoluzione politica ad Atene
Come è già spiegato, l’aumento demografico rese la quantità di terra insufficiente e nonostante la valvola di sfogo dell’emigrazione, l’impoverimento dei contadini divenne un problema sempre più allarmante. Per tutto l'Ottavo secolo un numero sempre maggiore di contadini schiacciati dai debiti fu costretto a diventare servo dell’aristocrazia, i cui latifondi si ingrandirono proporzionalmente. A questo punto però iniziò quel processo di sviluppo economico che rese l’arti-gianato e soprattutto il commercio attività sempre più redditizie, proprio allorquando l’introduzione del sistema dalla fanteria oplitica privava l’aristocrazia della sua principale giustificazione sociale.
Atene divenne lo scenario di conflitti sociali sempre più esplosivi. Da una parte l’aristocrazia arroccata sulla difesa dei propri privilegi, dall’altra un demos di contadini ridotti alla miseria e commercianti diventati ricchissimi che cominciavano ad esigere dal governo cittadino la considerazione dei propri interessi e della propria opinione.
Fra scontri gravi e meno gravi la vita ad Atene proseguì così tormentata fino a circa il 620, quando il legislatore Dracone emanò la sua legge sull’omicidio che è considerata l’origine del moderno diritto penale. Anche se è passato alla storia come un uomo severissimo (tanto che ancor oggi l’aggettivo draconiano mantiene questo significato), Dracone in realtà tentò di rendere la vita della sua polis meno crudele e violenta, opponendo ai soprusi dell’aristocrazia un corpo di leggi uguali per tutti i cittadini.
Per qualche tempo le leggi di Dracone riuscirono a normalizzare la vita politica, ma ben presto i problemi non risolti e anzi posticipati troppo a lungo, ricominciarono ad agitare Atene con una brutalità addirittura accresciuta. Paventando uno scontro vero e proprio l’aristocrazia si risolse allora ad affidare ad suo membro, dotandolo di poteri eccezionali, il compito di scrivere una nuova costituzione che pacificasse la città. Serviva un uomo probo, moderato, saggio ed apprezzato da tutti, dall’aristocrazia come dall’alto demos: fu scelto Solone.
SOLONE e la TIMOCRAZIA (594 - 572)
Solone fu eletto “Arbitro e legislatore” nel 594 a.C.; il suo primo provvedimento fu la cancellazione dei debiti e delle ipoteche e una nuova legge che proibiva la riduzione in schiavitù per indebitamento. Secondariamente egli procedette all’espropriazione dei terreni pubblici illegalmente occupati dall’aristocrazia nel corso del tempo, ridistribuendoli ai contadini. Quindi si dedicò all’ag-giornamento della legislazione già elaborata da Dracone, rivisitando il diritto di famiglia, legalizzando la prostituzione, punendo l’ozio.. solo per fare alcuni esempi. Ma la sua vera rivoluzione fu l’introduzione del sistema timocratico (governo dei ricchi).
A questo scopo egli suddivise la cittadinanza in quattro classi sulla base del reddito agrario: i pentacosiomedimni (coloro che avevano una rendita annuale di 500 medimni di cereali; i triacosiomedimni, la cui rendita ammontava a 300 medimni; gli zeugiti (200 medimni); e infine i teti, nullatenenti. Inoltre riformulò il sistema fiscale in senso progressivo (come nei sistemi odierni): per cui i pentacosiomedimni erano tenuti ad un contributo fiscale maggiore ma in cambio avevano accesso ai ruoli più importanti sia in pace che in guerra.
Questa ripartizione coinvolgeva solo i diritti politici: i cittadini rimanevano uguali fra loro ed egualmente sottoposti alle stesse leggi, ma la loro possibilità di essere eletti e di votare, anziché basarsi sulla nascita venivano ora basate sul contributo fiscale che essi versavano allo stato. In questo modo solo gli appartenenti alle prime tre classi godevano del diritto di voto ed erano tenuti a prestare servizio nell'esercito. Le cariche amministrative più delicate, inoltre, erano riservate ai soli pentacosiomedimni, meno corruttibili perché già ricchi e in grado di rispondere in solido delle eventuali irregolarità; alla carica di arconte potevano invece accedere anche i triacosiomedimni. L’unica concessione veramente democratica fu l’istituzione dell’eliea, un tribunale popolare i cui componenti venivano estratti a sorte fra tutti i cittadini di età superiore ai trent’anni. Nel complesso la riforma non mutava radicalmente la situazione, perché essendo il censo calcolato solo in base alla ricchezza fondiaria, l’aristocrazia si trovava sempre in vantaggio (anche i mercanti più ricchi, pur possedendo della terra, non avevano ancora avuto il tempo di costituire latifondi paragonabili a quelli delle grandi famiglie nobili); tuttavia è indubbio che essa allargò notevolmente le basi della partecipazione politica e, soprattutto, costituì la fine del diritto al monopolio politico sulla base della mera nascita. Essa fu un’importante tappa verso la democrazia ed un modello presto imitato da diverse altre polis.
La TIRANNIDE di PISISTRATO (594 - 528)
Pisistrato salì al potere sfruttando il riaccendersi delle tensioni sociali che la riforma timocratica di Solone aveva potuto solo chetare temporaneamente. Un giorno, si presentò all’areopago ferito, chiedendo il permesso di assoldare una guardia del colpo di 50 uomini che lo proteggesse dagli attacchi dei suoi nemici politici (Pisistrato era un aristocratico ma militava dalla parte del demos). Non essendoci ad Atene alcuna forza di polizia o un esercito permanente, la creazione di una guardia del corpo mercenaria era un grande pericolo, tanto che Solone, che di Pisistrato era cugino, sebbene già vecchio e ritirato, volle avvertire i suoi concittadini: “Sono più saggio di coloro che non vedono la malizia di quest’uomo e i suoi secondi fini; e più coraggioso di quelli che, pur vedendola, fanno finta di non vederla per evitare le grane e vivere in pace.” Ma accorgendosi che non c’era modo di convincerli si rassegnò “Siete sempre i soliti: ognuno di voi, individualmente, agisce con la furberia di una volpe. Ma collettivamente siete un branco di oche. ” E tornato a casa appese alla porta le armi e lo scudo, a simboleggiare il suo definitivo abbandono della politica.
Aveva ragione: anziché 50 uomini Pisistrato ne armò 400 e grazie ad essi si impadronì dell’acro-poli, proclamando la dittatura per il bene del popolo (556 a.C.). Tuttavia i settori alti della società ateniese, forse sentendosi in colpa per non aver dato retta a Solone o forse preoccupati per la scaltrezza di Pisistrato, seppero coordinarsi in fretta e riuscirono a costringere il dittatore alla fuga in quello tesso anno. Egli però non si perse d’animo e nel 546 tornò ad Atene, che forse perché ancora una volta stanca degli scontri politici, gli aprì le porte della città, permettendogli di salire di nuovo sull’acropoli, rimanendoci questa volta fino alla morte, che lo raggiunse nel 528, dopo 18 anni di governo.
Nonostante il pronostico di Solone e la maniera illegale con cui salì al potere, Pisistrato si rivelò un ottimo statista; dal punto di vista economico e politico la sua tirannide fu una fortuna per Atene (vedi 3.6). Anche il suo consolidamento al potere avvenne senza alcuno spargimento di sangue, non vi furono ritorsioni contro i sui nemici politici e solo coloro che si accanivano contro di lui furono costretti all’esilio. Non modificò neppure la costituzione che Solone aveva dato alla città e rispettò i voti popolari nelle elezioni per gli arconti e gli altri magistrati. Fu insomma un governate intelligente, ed anche quando imponeva di forza il suo pensiero non mancava mai di spiegarne le motivazioni a coloro che erano contrari, sfruttando la sua simpatia ed abilità oratoria (che evidentemente non dovevano essere di scarso rilievo).
Come tutti i tirannidi tipici di questa fase della storia greca [3.6] si preoccupò di conquistare il consenso e la fiducia di tutti gli strati del demos, dai ricchi mercanti, alla classe media degli artigiani e dei piccoli commercianti, agli strati plebei, dei contadini, dei marinai, dei disoccupati. Varò subito un ampissimo programma di sussidi economici e di lavori pubblici: Atene, da cittadina di importanza secondaria si trasformò in un grande cantiere, dove si erigevano nuovi templi e palazzi con l’obiettivo di raggiungere lo status delle città vicine, fino ad allora economicamente ed architettonicamente molto superiori alla piccola capitale dell’Attica. Allo stesso tempo colpì al cuore gli interessi delle grandi famiglie, approvando una riforma agraria che segnò la fine del latifondo, permettendo a migliaia di contadini di diventare piccolo proprietari, e legando i loro interessi a quelli della sua permanenza al potere.
Ma ancora più grandiosi erano i suoi disegni politici. Comprendendo che il destino di Atene era sul mare egli iniziò un piano di lavori pubblici ammodernando ed ingrandendo il porto e allestendo una flotta moderna e numerosa (ed in questo modo si assicurò l’appoggio dei grandi commercianti come dei piccoli e medi armatori). Quindi organizzò la fondazione di colonie nel Nord della Grecia e sui Dardanelli, mentre le sue navi iniziavano a scorrazzare un po’ dappertutto, fino ad assumere la protezione dell’isola di Delo, considerata il centro sacro dell’Egeo. Ma l’espansione politica nel mare avvenne silenziosamente: due erano infatti le priorità di Pisistrato: fuggire in ogni caso la guerra, ed evitare che le altre polis si accorgessero che Atene stava assumendo, per mare, quel ruolo egemonico che Sparta aveva assunto per terra nel Peloponneso.
Infine, conscio che intellettuali ed artisti, se corteggiati, sono più un arma che una minaccia, distribuì così tante sovvenzioni che Atene divenne il centro culturale più vivo del mondo Greco. Per prima cosa fece trascrivere i poemi omerici (fino ad allora tramandati oralmente), quindi istituì le feste Dionisie, ruotanti attorno ad un concorso di testi teatrali che divenne celeberrimo e segnò la nascita del grande teatro greco.
DA PISISTRATO A CLISTENE (528 - 508)
L’unico grande insuccesso di Pisistrato fu quello di cedere il ‘trono’ ai suoi figli quando la morte lo colse. Essi infatti si rivelarono inadatti al grande compito. Si chiamavano Ippia e Ipparco. Il primo era appassionato di politica, il secondo invece si interessava solo di poesia e di avventure amorose; tuttavia fu proprio Ipparco ad innescare la serie di eventi che travolse entrambi i fratelli, già odiati dal popolo per le loro maniere di governo, che, a differenza di quelle del padre, erano arroganti e dispotiche. Pare che Ipparco si fosse innamorato di un bel giovane di nome Armodio, già concubino di un ricco aristocratico quarantenne, Aristogitone. Accadde che quest’ultimo, mosso dalla gelosia ma fingendo di avere un intento politico, organizzò un complotto assieme ad altri aristocratici con lo scopo di assassinare i due fratelli. Tuttavia il complotto riuscì solo a metà: Ipparco fu ucciso ma Ippia riuscì a salvarsi e sentendosi accerchiato intensificò ulteriormente la repressione.
Per il popolo di Atene era troppo (si pensi che Aristogitone fu acclamato come un dispensatore di libertà per il suo assassinio), mentre l’aristocrazia, sapendo che Ippia era odiato ormai anche dagli strati bassi del demos, ritenne che fosse ormai giunto il tempo di spodestarlo e di riprendersi tutti quei privilegi che il regime di Pisistrato aveva cancellato. Alleandosi con l’ultraconservatrice Sparta, che inviò alcuni contingenti di truppe, una folta cerchia di aristocratici cinse d’assedio l’acropoli e costrinse Ippia all’esilio.
Il comandante dei ribelli era un certo Clistene, un aristocratico di idee progressiste (come Pisistrato). Secondo logica avrebbe dovuto assumere egli il potere, tuttavia il consesso aristocratico sentendosi ormai sicuro penso bene di scalzarlo e candidare al suo posto Isagora, un aristocratico di idee assai conservatrici. Il gioco riuscì, ma per poco tempo: appena quattro anni, nel 508, dopo una rivolta popolare contro la quale neanche gli spartani - nuovamente accorsi ad Atene per difendere il sistema oligarchico - poterono nulla. Clistene, che aveva guidato la rivolta, divenne il nuovo tiranno.
CLISTENE e la DEMOCRAZIA (508 - ???)
Il grande potere appena conquistato non fece cambiare idee a Clistene sull’importanza di estendere a tutti i cittadini il diritto di votare ed essere eletti. Fu egli il fondatore della democrazia ateniese, o se si preferisce colui che completò il processo iniziato da Solone con la sua timocrazia.
Clistene divise il territorio dell’Attica in demi, unità amministrative nelle quali si era inseriti in base alla localizzazione topografica della propria casa, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza. Ogni cittadini o nuovo nato sarebbe stato registrato ad un demo, ed ad esso avrebbe dovuto fare riferimento per tutte le questioni amministrative e politiche. La particolarità del sistema era costituita dal fatto che i 180 demi nei quali era suddiviso il territorio erano raggruppati in dieci tribù ed ogni tribù era costituita da tre sottogruppi detti trittìe. Le trittìe che componevano una tribù però non erano geograficamente contigue: ognuna era formata infatti da una trittìa collocata in pianura, da una in montagna ed una sulla costa. Ora, nel corso dei secoli di storia dell’Attica, era accaduto che gli aristocratici avevano prevalentemente costruito le loro case in pianura, i mercanti sulla costa e i contadini sulle zone montuose (dove si trovavano le uniche terre coltivabili dell’Attica). Di conseguenza in ciascuna trittìa prevaleva una diversa classe sociale e, dato che Clistene fece delle tribù la base della vita politica, l’aristocrazia si trovava sempre in minoranza rispetto al demos, che controllava due trittìe su tre: quella della montagna e quella della costa. Con questo complicato stratagemma Clistene trasformò Atene in uno stato pienamente democratico.
Il passo successivo fu adattare la struttura istituzionale alle nuove esigenze derivanti da un sistema a suffragio universale di tutti i cittadini. Fu quindi istituito il Consiglio dei 500 (o bulé), composto da 50 rappresentanti per ogni tribù eletti a sorteggio. Il Pritano, che nello schema è al vertice, restava in carica per un solo giorno, rappresentando una sorta di Presidente della Repubblica. Le altre assemblee e magistrature della tradizione, come gli arconti, gli strateghi, l’eliéa, e l’areopago (il Consiglio degli anziani), non furono toccate. Tuttavia la riforma democratica modificava profondamente il ruolo dell’ecclesia, che da semplice l’assemblea di tutti i cittadini, diveniva il principale organo politico e di governo. Oltre all’elezione dei comandanti militari (strateghi) e dei giudici (elièa), essa discuteva e votava le delibere proposte dalla bulé in materia legislativa, finanziaria e anche giudiziaria; decideva le questioni di politica estera e votava l’ostracismo. Le sue riunioni cominciarono ad essere frequenti, raggiungendo e talvolta superando le 40 all’anno; si svolgevano nell’anfiteatro della Pnice, che conteneva 18'000 posti a sedere. L’ironia della sorte volle che il primo esilio deciso grazie al nuovo istituto dell’ostracismo (per cui chiunque fosse anche solo potenzialmente un pericolo per la democrazia poteva essere esiliato per 10 anni) fosse imposto proprio a Clistene, l’uomo che aveva finalmente dato ad Atene la democrazia.
CONCLUSIONE
Atene dunque diventava democratica, completando così quel tragitto che da un punto molto lontano nel tempo aveva cominciato a far divergere la sua strada da quella di Sparta. Pur nella diversità tuttavia le due polis condividono un cosa: l’essere diventate straordinariamente importanti, l’una sul mare e nel campo del commercio, l’altra sul Peloponneso e nel campo militare terrestre.
E intanto il V secolo a.C. si apriva sulla Grecia; la situazione internazionale era molto mutata dal lontano VIII secolo, quando improvvisamente era aumentata la resa dell’agricoltura: ora una nuova grande potenza si affacciava sull’Egeo a minacciare la nazione delle polis: era l’Impero persiano, argomento del prossimo capitolo.
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