L’economia tragica della visione
È necessario tornare ora nel merito della visione della ragazza dell’incidente che, in una sequenza successiva, sarà identificata, dagli abitanti di Big Tuna, come una certa Julie Day, morta assieme a due pochi di buono (nessuno pare rammaricarsi del loro decesso, anzi). Lo statuto della visione di Julie Day (materializzazione di quella “notte dei morti viventi” paventata da Lula) è del tutto particolare. Nello studio dei sogni è spesso emerso come l’attività onirica possa far collassare stimoli esterni, afferenti al mondo dell’esperienza, dentro il mondo possibile immaginato. Una sveglia o il tepore del sole possono divenire parte del sogno stesso, impedendo con ciò la riemersione a uno stato di veglia. Ora, nel caso della giovane ci troviamo di fronte a uno stato di shock che attiva una sorta di denegazione degli elementi figurativi che caratterizzano l’intorno ambientale; fuoco e lamiere contorte restano come impercepite dalla giovane donna ferita. Per contro, Julie non smette di parlare e si preoccupa, coinvolgendo anche Sailor e Lula, di quelli che paiono puri dettagli marginali: “Ho perso il portafoglio, non ditelo a mia madre, mi ucciderebbe ...”. La moribonda affronta così il “problema collaterale” di dotarsi di una spazzola (“dov’è la mia spazzola?”) non assumendo le cause della chiara sensazione di aver i capelli tutti appiccicati (sono infatti intrisi di sangue). È un processo sdoppiato le cui variabili sono inversamente proporzionali; all’aggravarsi dello stato fisico, tensivamente proiettato verso una chiara fine (il decesso), corrisponde un dettagliamento sem-pre più laterale e accidentale dei rimedi convocati come opportuni rispetto allo stato delle cose. Ecco allora che l’ultima richiesta è infine quella del rossetto che aveva nella sua borsetta; il rilievo occasionale di una probabile compromissione accidentale del trucco diviene la perfetta antitesi di un percorso irreversibile e definitivo: l’esser sul punto di morire. A ben vedere, l’angoscia per la situazione è stata immediatamente riascritta allo smarrimento del portafoglio, ossia a una perdita di valori esterni al proprio corpo, e convocata sul piano dell’eticità dell’agire - non si deve perdere il denaro che i propri genitori ti hanno generosamente donato. Alla reimmissione discorsiva del corpo, con l’evocazione di una opportuna spazzola, fa seguito la sostituzione del tamponamento del sangue con la dolce richiesta del proprio rossetto. Questa traslazione non rivela alcuna preminenza assiologica del piano estetico, ma registra invece il tentativo laconico di ripristinare un controllo volitivo e in fondo innocentemente quotidiano sulla propria immagine, rispetto a un fato “rosso sangue” senza più appello.
Julie Day è in fondo la perfetta antitesi di Marietta, la madre di Lula; quest’ultima usa il rossetto per colorarsi i polsi e mimare un suicidio (tagliarsi le vene); infine lo utilizza per dipingersi tutto il volto. La ragazza dell’incidente chiede invece il rossetto come tentativo di sostituire paradigmaticamente, nella sua visione “detrattiva”, il sangue che le cola dalla sommità del capo su tutto il viso. L’abiezione del “puro infingimento” cozza contro l’oscenità del “tutto reale”. Nel passaggio da Marietta a Julie Day si sostituisce il tratto semantico dell’autonomia nella costruzione di un setting strategico (Marietta progetta l’assassinio di Sailor anche a prezzo di tradire il suo amante Farragut) con quello dell’eteronomia di un fato che inaccetta oramai qualsiasi tattica difensiva (la visione detrattiva di Julie Day è a “resto zero”, si proietta verso 1’annullamento di qualsiasi immagine).
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