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Le storie figurate per valutare l'empatia


Lo studio di Feshbach elabora per la prima volta una misura in forma di storie figurate, il FASTE, per valutare l’empatia espressa verbalmente dai bambini. Proprio perché la prova richiede determinate capacità linguistiche, è stata pensata e utilizzata con bambini a partire dai 6-7 anni. Il FASTE consiste in brevi storie, presentate in sequenza. Il protagonista delle storie è un bambino/a coinvolto/a in situazioni emotivamente rilevanti. Al termine di ogni storia è condotta un’intervista, durante la quale vengono rivolte due domande al bambino: 1. “Cosa provi?”; 2. “Cosa prova il protagonista della storia?”. Nel FASTE l’empatia è rilevata come un’esatta corrispondenza affettiva tra due stati emotivi. Il successo del FASTE va ascritto ai numerosi vantaggi che esso presenta: un chiaro modello teorico di riferimento; una facile maneggevolezza e applicabilità; consente la valutazione delle esperienze e dei vissuti interni dei soggetti; permette, infine, un’analisi della conoscenza e della consapevolezza che i bambini hanno del fenomeno.
Tuttavia, all’inizio degli anni ottanta, la misura dell’empatia basata sull’esclusivo impiego di storie figurate è stata messa in discussione attraverso un’articolata serie di critiche, elaborate per primo da Hoffman e riprese in seguito da numerosi studiosi. Esse possono essere riassunte come segue:
• passare velocemente da storia a storia e, dunque, da un’emozione all’altra pone dei problemi tutt’altro che trascurabili, dal momento che gli stati emotivi e i vissuti interni non sono così agilmente manipolabili;
• le storie figurate valutano la responsività empatica anche in base alla capacità di sapere correttamente etichettare le varie categorie emotive: il rischio è quello di confondere competenze linguistiche con abilità empatiche;
• non è detto che il bambino riesca a verbalizzare i suoi pensieri o che lo voglia fare;
• uno stesso evento è in grado di sollecitare più emozioni concomitanti e emozioni diverse. Per tale ragione, alcune storie possono essere rappresentative di più di un’emozione, mentre spesso una sola è quella considerata corretta per ciascuna storia;
• operazionalizzare l’empatia come un’esatta corrispondenza affettiva è eccessivamente riduttivo. Per Hoffman tale modo di misurare l’empatia riflette, in termini teorici, un’attenzione predominante verso le componenti cognitive, a discapito di quelle affettive.
Tutto ciò ha portato di recente a cercare, all’interno di tali tipi di misura, di operazionalizzare l’empatia in una maniera che rendesse maggior conto della complessità del fenomeno in questione.
Strayer ha introdotto una procedura multidimensionale di assegnazione dei punteggi, l’Empathy Continuum Scoring System (ECSS), che rileva sia la componente affettiva sia quella cognitiva dei processi empatici. Esso si basa sulla distinzione tra “empatia generica” ed “empatia specifica”. Nell’empatia generica vi è una congruenza generica tra le emozioni provate dal soggetto e quelle attribuite al soggetto osservato.
Nell’empatia specifica, al contrario, vi è una corrispondenza esatta tra le due emozioni.
Strayer ritiene che per valutare l’empatia sia necessario prendere in considerazione anche l’intensità con cui un soggetto esperisce un sentimento, confrontando l’intensità del sentimento empatico con quella dell’emozione osservata nell’altro.
La dimensione affettiva è valutata confrontando la corrispondenza affettiva tra l’emozione osservata nel personaggio stimolo e quella provata dal soggetto.
Il punteggio finale (EC score) è dato dall’intersezione dei punteggi assegnati alle due dimensioni, quella emotiva e quella cognitiva.

Tratto da CHE COS'È L'EMPATIA di Anna Bosetti
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