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Cosmopolitismo stoico e legge naturale


La felicità non ha bisogno di beni materiali, così che lo stoico riesce ad essere felice anche nei tormenti. E la felicità come la virtù non ammette gradi. Non c’è differenza tra essere a 10 o a 100 km da Atene, in entrambi i casi non si è ad Atene. In realtà virtù e vizio sono sempre l’una di fronte all’altro: è dunque attraverso la “fatica” che si raggiunge la felicità: è vero dice Crisippo che esistono cause esterne al nostro agire (l’educazione, l’ambiente) ma esiste una causa interna che basta a renderci pienamente responsabili delle nostre azioni: è la libertà di scegliere il bene. Ma la libertà gli stoici non la intendono come una sorta di libero arbitrio, bensì come assenso a ciò che la natura detta, quello cioè che più comunemente chiamano fato. La natura segue il suo corso: sta a noi scegliere di aderirvi per nostra volontà, deliberatamente, o di esserne trascinati nostro malgrado. La schiavitù allora non sarà costrizione a seguire una strada ma al contrario la condizione nella quale si trovano i più che non riescono ad essere padroni di se stessi. Anche chi è giuridicamente schiavo può di fatto essere felice e sapiente se si libera dalla vera schiavitù, quella morale. È da qui che allora deriva il cosmopolitismo stoico che concepisce la città dei sapienti come una città metaforica che esiste nel momento in cui si uniscono concettualmente tutti coloro che, al di là della loro posizione geografica o giuridica, aderiscono alla legge naturale che è una legge cosmica.

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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