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Pubblicità emblema USA nella letteratura


La pubblicità diventa uno degli emblemi dell’America, nel bene e nel male: una società compiutamente pubblicitaria, un nuovo mondo di mercificazione; celebrata come uno dei simboli dell’estetica della modernità, ma anche criticata e scelta come bersaglio satirico fra gli anni ’20 e ’30. Al centro di questa lotta tra fascinazione e critica ci sono due resoconti di viaggio pubblicati in Italia negli anni ’30: America primo amore di Mario Soldati e America Amara di Emilio Cecchi. Soldati osserva un nuovo tipo di umano, perfettamente adattato ai ritmi di lavoro e di consumo americani, e identico ai modelli pubblicitari, perfetta incarnazione di superficialità e di vuoto culturale. La pubblicità rappresenta il viso standard degli americani, i modelli patinati; nello stesso tempo però lo scrittore  ha la sensazione di trovarsi di fronte a un popolo nuovo, con una scala di valori differente dalla propria. Cecchi, docente universitario cresciuto sul patrimonio letterario inglese, manifesta anch’egli un atteggiamento ambivalente per l’America, e in particolare per la città di New York; la città assomiglia ad un’illustrazione pubblicitaria, il manifesto di sé stessa. Il mito dell’America era stato creato in Italia da Cesare Pavese, che si era innamorato della letteratura nordamericana e la diffondeva in diverse riviste; Pavese aveva fatto importanti traduzioni (ricordiamo La Balena bianca di Melville). Il mito dell’America dura 5 o 6 anni; successivamente Vittorini scrive L’americana, antologia di traduzioni, in cui nasce la figura dell’uomo nuovo, il barbaro protagonista di tanta letteratura americana che colonizza nuove terre.

Tratto da LETTERATURA E PUBBLICITÀ di Mario Turco
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