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Natura giuridica della remunerazione e tutela giurisdizionale dei sacerdoti


La l. 222/85 stabilisce che i sacerdoti “hanno diritto a ricevere la remunerazione per il proprio sostentamento” da parte degli enti ecclesiastici interessati.
Tale previsione contiene, quindi, il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo alla remunerazione, azionabile sia in sede giurisdizionale ecclesiastica che civile.
Ad oggi, l’orientamento dottrinale maggioritario sulla misura della retribuzione, ritiene che il diritto soggettivo del sacerdote alla remunerazione debba considerarsi un diritto di credito puro, che nasce nell’ordinamento canonico e che è azionabile nell’ordinamento dello Stato innanzi al giudice ordinario.
Ma accanto a tale interpretazione si segnalano altre due orientamenti significativi: il primo qualifica il diritto alla remunerazione come un “diritto di natura alimentare o assistenziale”; il secondo intende invece la relazione tra sacerdote e diocesi in chiave giuslavoristica, come un rapporto di lavoro a tutti gli effetti.
Sul punto, la Cassazione è giunta a soluzioni differenti nel tempo.
Nell’ultima pronuncia delle Sezioni Unite è stata inoltre affrontata un’ulteriore significativa questione che riguarda i rapporti tra giurisdizione civile ed ecclesiastica nelle controversie aventi ad oggetto la materia della remunerazione del clero: la l. 222/85 ha previsto una peculiare procedura accelerata, di composizione e di ricorso da parte dei sacerdoti contro i provvedimenti emessi dagli IDSC da esercitarsi in sede canonica e, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, si è venuto a delineare un sistema di giurisdizioni concorrenti in via alternativa tale da precludere la possibilità di ricorso alla giurisdizione civile nell’ipotesi di avvenuta previa scelta in favore della procedura canonica accelerata.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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