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FORMA


L’architettura non fa riferimento alla natura naturata, cioè alle sue forme esterne, ma alla natura naturans, cioè alle sue leggi interne, e deve essere capace di tradurre queste leggi in forme per cui a forma ha il potere di discriminare tra un’architettura che non è fondata su leggi e un’architettura che invece è fondata su leggi ovvero su criteri di relazione con altro da sé.

La nozione di forma indica due cose essenziali che sono radicate in due parole greche aventi due etimologie diverse:
→ morphè, indica la forma esterna delle cose, cioè visibile e concreta percepibili con almeno uno dei sensi
→ èidos, indica la forma interna delle cose, cioè invisibile e astratta per cui sta nel pensiero e non è percepibile con nessuno dei sensi


Le due parole danno origine a due significati essenziali della nozione di forme e lavorano in qualche caso unite e in qualche caso separate, ovvero possono indicare sia la forma esterna di un oggetto che esibisce anche la sua forma interna come nel primo caso (chiusura della cella di un tempio esibisce anche la sua sacralità) sia la forma esterna di un oggetto architettonico che esprime la sua autonomia dalla forma interna che non è pensata come nel secondo caso (scalini di una stazione ferroviaria caratterizzati da una misura autonoma rispetto la misura della gamba umana).
La storia dell’architettura occidentale parte sperimentando la prima opzione e arriva sperimentando invece la seconda opzione.
Questo è legato al passaggio dall’eteronomia formale all’autonomia formale infatti a partire dal Settecento gli oggetti costruiti dagli esseri umani non richiedono più la fondazione della morphè sull’èidos.

ETERONOMIA = le leggi della morphè derivano da qualcosa altro da sé, ovvero l’èidos (metodo classico)
AUTONOMIA = le leggi vengono da sé per sé, la morphè non è più basata sulla figura umana ideale (Settecento).
L’autonomia della morphè comporta la perdita del fondo della piramide ovvero la misura umana ideale.

La storia dell’arte, in particolare dell’architettura, è caratterizzata dal passaggio dalla presenza all’assenza di fondare la morphè sull’èidos, ovvero costruire forme concrete fondate su qualcosa di astratto infatti soltanto attraverso la comparazione è possibile provare a costruire morphè riuscite e garantite da una procedura costruttiva non autoreferenziale.

Ogni volta che un architetto progetta una casa, ovvero una morphè deve partire da un’idea astratta di casa, ovvero un’èidos e quindi deve rispondere alla domanda “che cos’è la casa?”

Tatarkiewicz identifica cinque categorie di forme.
Le prime tre categorie sono articolazioni della nozione di morphè (composizione delle parti, apparenza presentata ai sensi di chi osserva, contorno) mentre le ultime due sono articolazioni della nozione di èidos (essenza ideale, nozione di forma elaborata da Kant).
Le categorie che interessano particolarmente l’estetica dell’architettura sono la composizione delle parti e l’apparenza presentata ai sensi, per la prima categoria fa riferimento al formalismo ovvero la concezione secondo la quale soltanto la forma è importante in estetica mentre per la seconda categoria fa riferimento ai meccanismi di relazione tra la forma e il contenuto.
Il risultato è che l’architettura contemporanea sembra sperimentare l’autonomizzazione della forma dal contenuto e quindi la sua assolutizzazione da altro da sé.

Attraverso un’analisi storica delle varie posizioni filosofiche si può vedere come la visione antica della nozione di forma, influenzata dalle filosofie di Platone e Aristotele, è sintetizzata dalla presenza di una morphè e di un èidos che lavorano uniti e che sono diretti da un criterio referenziale di rinvio mentre la visione moderna della nozione di forma introduce altro.

Kant nella “Critica della facoltà di giudizio” introduce la tesi secondo cui esistono due tipi di bellezza:
→ Bellezza LIBERA, grado superiore, la dimensione estetica non è vincolata ad uno scopo ovvero non presuppone alcun concetto di ciò che l’oggetto deve essere.
Grado superiore perché nel Settecento si scopre che anche l’uomo è libero e quindi si assiste ad un’esaltazione della bellezza.
La forma bella è vaga perché la vaghezza indica il carattere vagante di una cosa che è sciolta dalla relazione con altro da sé (disegni à la grecque non rappresentano nulla e sono bellezze libere).
→ Bellezza ADERENTE, presuppone un concetto di ciò che l’oggetto deve essere e la perfezione dell’oggetto secondo quel concetto, la dimensione estetica quindi è vincolata al suo scopo (architettura infatti la bellezza di un edificio presuppone un concetto che determina ciò che la cosa deve essere).

Il giudizio estetico autentico, secondo Kant, identifica una bellezza libera perché fondato su un’immaginazione altrettanto libera ma questo significa dire che il giudizio estetico autentico giudica secondo la semplice forma che è automa.
Non esiste nessuna regola oggettiva del gusto legato al sentimento di un soggetto inoltre non va dimentica che giudicare secondo un ideale della bellezza non è un semplice giudizio di gusto a tal proposito infatti Kant non nega l’esistenza del giudizio estetico che aderisce ad altro da sé e ritiene
che una forma che si definisce bella nella sua morphè presuppone un concetto dello scopo di ciò che deve essere.
La casa (èidos) determina ciò che la casa deve essere (morphè) per cui è ovvio che la morphè si debba fondare su un èidos, l’architettura infatti ha una bellezza aderente proprio perché aderisce all’èidos.
È inconcepibile una morphè che non sia èidos.
L’estetica di Kant è cruciale per il passaggio storico dall’unione necessaria alla separazione possibile tra la morphè e l’èidos, molti filosofi e architetti contemporanei hanno però frainteso questo concetto e hanno radicalizzato la visione di Kant estendo all’infinito la libertà della morphè dall’èidos (bellezza di un edificio completamente slegata dallo scopo dell’edificio stesso.

Hegel ragiona sulla nozione di forma attraverso la relazione con la nozione di contenuto, che non dovrebbero corrispondere a due elementi separati ma a un’unione dimostrandosi contro Kant che conservava in parte la separazione.
Egli introduce una visione secondo la quale un artefatto artistico dato da una forma esterna unita con una forma interna che non corrispondono a due alterità ma ad un’identità e passare da due alterità a un’identità significa autorizzare una nozione di forma che è autonoma.
Egli ritiene che i rapporti tra forma e contenuto nel corso della storia sono stati solo tre:
  1. SIMBOLICA (F>C) - architettura egizia. Esempio di questa fase è l’architettura in cui il contenuto spirituale è soverchiato dalla forma, ovvero la forma interna è soverchiata dalla forma esterna che non è altro che la dimensione materica oggettiva.
  2. CLASSICA (F=C) - architettura greca e romana. Esempio è la scultura in il contenuto (spiritualità umana) trova una forma che lo bilancia.
  3. ROMANTICA (F<C) - architettura gotica prevale l’èidos. Esempio la musica e la poesia nelle quali il contenuto quasi sovrasta la forma nel senso che il contenuto non necessita di una forma che faccia da intermediario in quanto si ha un’espressione del contenuto spirituale diretta che viene incontro con una potenza tale da disintegrare la forma, la quale risulta essere inconsistente.

Si afferma quindi che l’arte nella sua fase più involuta è simbolica, dove simbolo in questo caso ha un’accezione negativa e tal proposito parla dei geroglifici ovvero una forma il cui contenuto è difficilmente decifrabile e misterioso per il fruitore il quale di fronte ad un geroglifico vede solo una forma e nessun contenuto.
La nozione di simbolo di Hegel può essere contro argomentata nel senso che l’eccedenza simbolica può essere vista come qualcosa di positivo perché potrebbe essere la condizione alla quale il suo elemento formale costringe ad arrivare al suo elemento contenutistico attraverso un esercizio intellettuale ed emotivo.
Gli argomenti di Hegel sono decisivi in quanto influenzano il destino della nozione di forma in quanto parla di una morphè che è assoluta perché coincide con l’èidos che non costringe il fruitore a nessun esercizio immaginativo.


Le nozioni di forma di Kant e di Hegel seppure diverse sono caratterizzate da un’attenzione scarsa alla matericità effettiva degli oggetti.

Focillon ne “Vita delle forme” afferma che durante il Novecento ci si concentra sulla morphè.
Le forme obbediscono a leggi che sono loro interne secondo un principio di autonomia e questo significa che le forme esistono solo in termini di morphè e l’èidos non esiste più.
Egli introduce quindi la necessità di considerare la forma come una materia concreta e la necessità di fare riferimento alla dimensione tecnica, ovvero al suo processo di costruzione.
Focillon parte dunque dalla sottolineatura della matericità dell’architettura e arriva a considerate la massa e il vuoto come elementi costituenti la sua forma.

Walter Benjamin ne “L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica” sostiene che l’opera perde la sua aurea ovvero il suo statuto di unicum viene a mancare l’hic e nunc dell’opera stessa ovvero la sua esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova e ci si interroga ogni volta se si è davanti ad un’opera d’arte oppure no.
Oggi l’unicità e la non riproducibilità non rappresentano più le condizioni sine qua non per definire un’opera d’arte.


Tratto da ESTETICA DELL'ARCHITETTURA di Francesca Zoia
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