APPROFONDIMENTI
La Francia verso la Sesta Repubblica. A quando la Seconda in Italia?
La Repubblica Francese ha avuto fino ad oggi sei “Carte Costituzionali”. Quelle del 1791, 1793. 1795, 1848, 1946 e 1958. Ma – a parte la “Prima”, quella nata dalla Rivoluzione del 1789 – i francesi iniziano, di fatto, la loro “ numerazione” delle forme costituzionali dello Stato a partire dal 1848 con la “Seconda Repubblica” per poi passare alla “Terza” che ebbe una serie di “leggi Costituzionali” e che durò fino al 1940 cioè fino alla sconfitta con i tedeschi ed alla creazione del regime filo-tedesco di Vichy guidato dal Maresciallo Pétain.
Sui quattro anni del regime di Vichy i francesi amano stendere un velo di pietà e fanno ripartire la numerazione dalla IV Repubblica la cui Costituzione fu approvata con due Referendum nel 1946.
Durò 12 anni la IV Repubblica, di tipo parlamentare, sdegnosamente avversata dal Generale De Gaulle che aveva salvato “l’onore della Patria” durante la Seconda Guerra Mondiale e che non credeva al “Regime dei partiti”. Ebbe due Presidenti della Repubblica e ben 24 Governi e 17 Presidenti del Consiglio.
Fu una guerra – del tutto francese cioè la lotta di liberazione dell’Algeria considerata “territorio metropolitano” cioè Francia in Africa anche senza continuità territoriale – a riportare De Gaulle al potere nel 1958 per evitare una guerra civile. E “il più illustre dei francesi” – come definì De Gaulle l’ultimo Presidente della IV Repubblica, René Coty – fece redigere da un gruppo di esperti una nuova Costituzionale che assegnava forti poteri al Presidente della Repubblica.
La Carta della Quinta Repubblica fu approvata direttamente dal popolo con un Referendum popolare e sembrava fatta apposta per De Gaulle tanto che si pensava che non gli sarebbe sopravvissuta. Invece la Carta voluta da De Gaulle ,che disegnava un sistema semi-presidenziale che non aveva e non ha eguali nel mondo democratico ed occidentale, dura ancor oggi ed ha già visto sei Presidenti fra i quali il “Monarca-Socialista”, François Mitterrand, che ne è stato Presidente per 14 anni, la più lunga presidenza del nuovo regime.
Dal 1958 ad oggi, settembre 2008, la Costituzione della V Repubblica è stata modificata 24 volte.
L’ultima grande riforma risale al luglio scorso ed è stata voluta da quello che “Le Monde” ha definito “l’hyperprésident”, Nicolas Sarkozy ed approvata dai due rami del Parlamento, l’ Assemblea Nazionale ed il Senato, riuniti in seduta comune a Versailles il 21 luglio.
Una cinquantina di articoli della Carta sono stati “corretti” ma le revisioni – come quelle precedenti – non hanno fatto perdere alla Legge Fondamentale il carattere “presidenziale” della Repubblica. Le modifiche hanno piuttosto riguardato il miglior esercizio della democrazia – diretta ed indiretta – prevedendo ad esempio il voto da parte del Parlamento per inviare missioni militari all’ estero mentre prima era potere esclusivo del Presidente della Repubblica così come è stato modificato l’art. 11 che prevede il potere da parte del Presidente della Repubblica di indire “Referendum deliberativi” cioè di far approvare progetti di legge direttamente dal popolo senza passare per il Parlamento. Il potere di indire Referendum deliberativi adesso può essere esercitato anche da un quinto dei componenti il Parlamento sostenuti da un decimo degli elettori iscritti alle liste.
Ma le modifiche dell’ art.11 non hanno minimamente toccato lo spirito “deliberativo” dello strumento di democrazia diretta ed hanno ancora una volta escluso il “Referendum abrogativo” che è invece previsto dall’ art.75 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Le modifiche apportate alla Carta del 1958 non hanno consentito agli esperti di parlare di “Sesta Repubblica” in Francia ma piuttosto di un aggiornamento necessario alla luce dei mutamenti avvenuti in questi cinquant’anni in Francia, in Europa e nel Mondo.
Quello che colpisce all’osservatore italiano è la rapidità con la quale sono state proposte, discusse ed approvate queste modifiche costituzionali. Soltanto tre mesi.
In Italia invece stiamo discutendo da almeno 40 anni sulla opportunità o sulla necessità di modificare la nostra Carta approvata nel 1948 tutta fondata sulla “ democrazia indiretta” e sull’ enorme spezzettamento dei poteri.
Vogliamo arrivare alla maggiore stabilità dei Governi con le riforme elettorali – strada già percorsa dai parlamentari della IV Repubblica francese - ma il Parlamento italiano non è in grado di affrontare seriamente la questione di più ampi poteri al Presidente della Repubblica o al Presidente del Consiglio dei Ministri; di diversificare le funzioni del Senato e della Camera dei Deputati ponendo fine al “bicameralismo perfetto” che esiste in Occidente soltanto in Italia ed in Belgio con i risultati che il Belgio si sta sgretolando come si tenta di fare in Italia con il cosiddetto “federalismo fiscale”; di abolire il terzo livello di potere locale – la Provincia – perché non riesce ad avere consistenza e rappresentatività schiacciato com’è dal Comune e dalla Regione.
Sono riforme costituzionali che riscuotono fra gli esperti e la pubblica opinione un larghissimo consenso ,sia a destra come a sinistra, ma purtroppo non riescono ad essere approvate.
Credo che la chiave di lettura per questa inamovibilità della nostra Carta Costituzionale entrata nel suo sessantesimo anno di vita – non nei valori, si badi bene che restano forti ed attuali, ma nei suoi meccanismi di attuazione e di esercizio - risieda nella stessa formulazione del nostro articolo 75 che prevede soltanto “referendum abrogativi”.
E’ noto che i Costituenti vollero una Repubblica parlamentare basata sul principio della “democrazia indiretta” ad evitare che l’ Italia avesse un nuovo “uomo del destino” con un forte decentramento amministrativo imperniato su tre livelli di potere locale (Regione, Provincia, Comune). Una democrazia così “diffusa” doveva preservare la Repubblica da qualsiasi tentativo di nuova dittatura.
Ma una democrazia politica deve fare i conti con una democrazia economica e finanziaria e nel tempo della globalizzazione e dell’ Europa Unita appare addirittura pericolosa una simile democrazia indiretta che finisce per paralizzare il funzionamento dello Stato o di renderlo inefficiente.
Così non è forse azzardato rilevare che la prima modifica costituzionale è quella dell’art.75 con la possibilità data al Presidente della Repubblica di indire referendum deliberativi su progetti di legge anche costituzionali. Infatti “nessuna Camera voterà mai l’abolizione di se stessa” come affermò negli anni ‘70 l’allora presidente del Senato, Amintore Fanfani, quando si cominciò a far circolare la proposta di abolire un ramo del Parlamento non per ferire la democrazia ma per snellire il procedimento legislativo e far risparmiare pubblico denaro allo Stato per il funzionamento di se medesimo.
Se nessuna Camera voterà mai l’abolizione di se stessa nessuna classe politica – da destra o da sinistra con i nuovi partiti ed i nuovi colori - sarà in grado di abolire la Provincia per i riflessi che questa abolizione avrebbe sull’“occupazione” da parte della classe politica di piccolo e medio cabotaggio e così la reazione a catena perché nessuna classe politica delle Regioni voterà l’ abolizione delle Comunità Montane che pur non previste in Costituzione sono diventate in molte regioni il “quarto livello” di potere locale che verrà ancor di più ingarbugliato con la “Città Metropolitana” – prevista dal disegno di legge sul federalismo fiscale per 5 Grandi Città - senza abolire la Provincia.
Così mentre la Francia dell’“iperpresidente” aggiorna la sua Carta in tre mesi l’ Italia discute delle riforme costituzionali in un dibattito sterile fra specialisti ed il sindaco di Roma “copia” dal Presidente Sarkozy la “Commissione Attali” che nel Comune di Roma al massimo potrebbe proporre di modificare le Municipalità.
Se la Francia attua – di fatto – una Sesta Repubblica senza darle questo nome in Italia parliamo da almeno 15 anni di Seconda Repubblica senza toccare – sostanzialmente - la Prima.
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