APPROFONDIMENTI
La presenza del crocifisso nei luoghi pubblici - II parte
In questo ulteriore aggiornamento della mia tesi di laurea avente ad oggetto la presenza del crocifisso, e più in generale dei simboli religiosi nei luoghi pubblici, ho preso innanzitutto in considerazione la distinzione peculiare che esiste fra l’esperienza maturata a riguardo nel nostro Paese e quanto accaduto in Francia. Secoli di esperienze comuni, affinità culturali e vicinanza non sono riusciti a cancellare del tutto una barriera culturale che si rivela sempre più evidente ogniqualvolta si torna a parlare di valori ritenuti acquisiti al patrimonio morale e giuridico della società. In particolare, la mia riflessione ha fatto seguito alla legge francese, entrata in vigore il 1 settembre 2004, che ha proibito l’ostentazione dei simboli riproducenti l’appartenenza religiosa. Lo storico Giorgio Rumi ha sintetizzato efficacemente la diversità esistente tra i due Paesi, con queste parole: “la legge sul divieto di ostentare simboli religiosi può considerarsi il punto di approdo di un lungo cammino iniziato in Francia nel 1801 con il Concordato voluto da Napoleone: con esso, il sovrano otteneva da Pio VII la cessazione del rapporto privilegiato tra sede cattolica e Casa borbonica, con l’implicito riconoscimento del nuovo ordine sociopolitico nato dalla Rivoluzione francese. Tra gli elementi del Concordato, possiamo ricordare i seguenti: le diocesi vennero a coincidere con i dipartimenti, si stabilì l’abolizione degli ordini non “utili” (rimasero solo quegli ordini dediti alla sanità e all’istruzione), ogni decisione pontificia doveva essere approvata dal governo francese; ancora, vennero stabilite l’ammissione di un unico catechismo in tutta al Francia, il divieto per i vescovi di recarsi a Roma o di riunirsi senza l'autorizzazione di governo, la precedenza del matrimonio civile su quello religioso. Tale politica religiosa venne estesa ad ebrei e protestanti: la religione non venne più considerata un fatto privato, è lo Stato che controllava la vita religiosa e sovvenzionava preti e pastori come fossero suoi funzionari. Tutto l'Ottocento sarà segnato da un'altalena di aperture e chiusure di spazi; così dalla Terza Repubblica prevalse il rigore laicista: le leggi Ferry, anticlericali, ''senza Dio e senza Re'', laicizzarono l'insegnamento, ostacolarono il lavoro dei Gesuiti, distinguendo nettamente le convinzioni personali dalle conoscenze scientifiche e obiettive, le quali ultime dovevano avere “un indiscutibile primato”. Progresso e fraternità erano la nuova religione proclamata tra gli altri, da Victor Hugo, senza Chiesa, senza preti e senza dogma. Nel 1905 venne sancita la separazione tra Stato e Chiesa (legge 9 dicembre 1905): l’obiettivo è non ammetter in Francia altro potere se non quello dello Stato, il quale impone, con tutta la sua forza, la sua filosofia razionale e “scientifica”. L’educazione viene definitivamente laicizzata, i beni ecclesiastici espropriati e conferiti di diritto a enti di diritto pubblico. Il culto viene ristretto all’interno della Chiesa, salvo per i funerali. Razionalità e scienza diventano la religione unificante del Paese, nel quale si costruisce un modello di cittadinanza conforme alla filosofia e alla legislazione della Repubblica”.
In Italia, tutto il secolo XIX, in particolare a partire dalla metà di esso, è stato caratterizzato da spinte giurisdizionaliste e tentativi di mediazione volti a sanare la ferita del 1870. Ma la frattura permarrà, tra alterne vicende, fino alla composizione della “questione romana”avvenuta nel 1929 coni Patti Lateranensi nel contesto del consolidato potere totalitario di tipo fascista, instaurato da Benito Mussolini. Il capo del fascismo aveva ben presto compreso quanto vantaggioso fosse un accordo riparatore con le gerarchie della Chiesa Cattolica, attraverso un uso strumentale del fattore religioso. Così fu, e il successivo inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione repubblicana, pur contrastando con il carattere democratico e pluralista dell'ordinamento da esso sancito, segnò in modo indelebile l'evoluzione successiva dei rapporti tra Stato e Chiesa nel nostro Paese. L'attuale situazione italiana, che è di coordinazione e non di separazione (come molti pensano) si riflette sul diverso approccio, rispetto alla Francia, nei confronti dei simboli religiosi e della loro esposizione pubblica. Così rispetto al crocifisso, il simbolo più diffuso nel nostro Paese, continua a conservare valore il Parere del Consiglio di Stato che nel 1988 aveva sancito il carattere culturale del crocifisso, l'essere diventato un simbolo della tradizione italiana, tanto da non rappresentare più un simbolo meramente religioso. Sennonché, l’ultimo decennio nel nostro Paese è stato caratterizzato da una sempre maggiore presenza di immigrati di diversa religione, con una netta prevalenza di immigrati di religione islamica. Come spesso accade, il primo banco di prova della convivenza è stata la scuola, e proprio in questi ultimi cinque anni il numero degli alunni nati fuori dall'Italia è aumentato enormemente, al punto che vi sono sezioni scolastiche composte quasi interamente da giovani figli di immigrati. Questo ha portato ad episodi, seppure non frequenti, di contestazione rispetto alla presenza dei simboli cristiani nelle aule, quali il crocifisso, ma anche presepi e statue esibiti in occasione delle feste religiose cristiane. In genere, ogni istituto scolastico disciplina la questione in modo autonomo, adeguandosi alla presenza di allievi di culto diverso, fornendo lezioni supplementari sul significato culturale di simboli e feste cristiane e così via. Un caso a sé è stato vissuto a Milano con la scuola islamica di viale Jenner, organizzata su iniziativa del Consolato egiziano del capoluogo lombardo. Quella che è stata definita una non-scuola, perché priva del riconoscimento giuridico statale, accoglieva alcune centinaia tra bambini e ragazzi, in prevalenza egiziani, e le sue lezioni si svolgevano interamente in lingua araba; anche le materie dei corsi erano mutuate dai corsi egiziani, con netta prevalenza di corsi di lingua e religione arabe. Solo negli ultimi anni si era cercato di adeguare l’insegnamento alla realtà educativa italiana, e con l’aiuto di docenti di Islamistica dell’Università Statale di Milano erano stati inseriti altri corsi e soprattutto un monte-ore di lezioni in lingua italiana. Di questa vicenda si può parlare al passato, perché la scuola non è più in funzione dal settembre 2005: priva dei requisiti previsti dalla legge italiana, ne è stata disposta la chiusura, con il trasferimento degli allievi presso scuole pubbliche italiane di Milano. Non tutti i genitori si sono però avvalsi di tale opzione: alcuni hanno fatto rientrare i figli in Egitto, altri hanno scelto l’educazione parentale, da svolgersi in casa sotto la guida dei genitori e il controllo delle autorità scolastiche. Quello dell’educazione, in effetti, è un punto cruciale della convivenza tra gruppi sociali di diversa origine culturale e religiosa. La scuola, specie la scuola pubblica italiana, può costituire il luogo di incontro e di scambio e soprattutto il luogo di formazione dei futuri cittadini italiani, quale che sia la loro origine. E nessuna scuola in Italia, sia essa confessionale o pubblica, privata o statale, può prescindere dall’insegnamento della storia del Cristianesimo e dei rapporti tra le istituzioni di governo e la Chiesa Cattolica, data l’enorme importanza che il Cristianesimo ha avuto nella storia del nostro Paese e più in generale dell’Europa. Non si può studiare la storia, il diritto, la storia dell’arte, la letteratura, l’architettura, la lingua e la grammatica e altro ancora del nostro Paese senza sapere nulla di Cristo, della Chiesa, del Papa. Dalla “Divina Commedia” all’“Orlando Furioso”, dalla “Gerusalemme Liberata” ai “Promessi Sposi”, dai capolavori dell’arte e dell’architettura, lungo tutte le vicende che dalla diffusione del Cristianesimo a Roma fino all’Unità d’Italia, tutto il nostro panorama storico, culturale e mentale è impregnato della presenza del messaggio cristiano. Volgendo poi la nostra attenzione al di fuori dei confini europei, pensiamo agli eventi che hanno portato alla scoperta del “Nuovo Mondo” e alla diffusione (con successivo sradicamento delle civiltà locali) del Cristianesimo nei territori scoperti in nome della Chiesa di Roma. E' chiaro che uno studio della storia che volesse ''epurare'' ogni riferimento al Cristianesimo approderebbe a risultati grotteschi. Senza dimenticare che il concetto di cultura o civiltà cristiana non coincide con religione, quale insieme di dogmi e riti. Così vi sono innegabilmente leggi cristianamente ispirate che vincolano cristiani e non cristiani e sono considerate perfettamente coerenti con sistemi legislativi laici e areligiosi. L'Italia vive oggi, come altri Paesi europei e non solo, forti tensioni sociali generate da un inserimento difficoltoso dei flussi migratori e dalla incapacità di individuare soluzioni coerenti e valide per ogni contesto. Difficoltà, contraddizioni, tensioni che spesso trovano la loro sede naturale nelle aule dei tribunali. E’ del 18 novembre 2005 la sentenza di condanna del Tribunale Penale dell'Aquila emessa nei confronti del giudice Tosti di Camerino, nelle Marche, condanna a 7 mesi di reclusione e a 1 anno di interdizione dai pubblici uffici (con sospensione della pena e pagamento delle spese processuali) per omissione di atti d’ufficio, essendosi egli rifiutato di celebrare processi in aule giudiziarie nelle quali era affisso il crocifisso. E’ dei primi giorni di gennaio 2006 la condanna di Adel Smith processato per il reato di vilipendio alla religione dopo aver gettato il crocifisso dalla stanza di ospedale dove la madre dell’imputato era ricoverata. Vicende diverse tra loro ma certamente rivelatrici della presenza nella società italiana di opinioni e correnti culturali contrarie alla presenza dell’elemento religioso nella vita pubblica (anche se a volte la contemporanea richiesta da parte dei contestatari di esibire nei luoghi pubblici simboli di altre fedi religiose appare più come un tentativo di sminuire l'influenza, presunta o reale, delle gerarchie vaticane in Italia, lievi “punture di spillo” a quello che è percepito come un potente ed ingombrante vicino). Nel dibattito si è inserito anche il nuovo Pontefice, reiterando per altro una posizione condivisa dal suo predecessore: così lo scorso 15 agosto in occasione della festività dell’Assunzione di Maria Benedetto XVI ha esortato a mantenere il crocifisso nei pubblici spazi, considerato che esso costituisce il simbolo delle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa, convinzione questa cara all’attuale Papa (nella mia tesi ho riportato considerazioni analoghe dell’allora cardinale Ratzinger, che narrava anche l’esperienza diretta vissuta durante il nazismo quando venne ordinata la rimozione dei crocifissi dalla aule scolastiche, cosa che produsse un’autentica ribellione da parte delle famiglie, ribellione che assunse poi la forma di protesta civile delle madri che accompagnavano i figli a scuola con il crocifisso tra le mani). Le reazioni alla legge francese sul divieto di ostentare simboli religiosi, gli scontri che periodicamente si accendono attorno al crocifisso e/o presepe e simili, il dibattito in corso negli Stati Uniti sulla opportunità o meno che richiami religiosi siano presenti nella vita pubblica (giuramenti in tribunale, simboli natalizi ecc.) ci mostrano come la questione sia ormai parte della dialettica democratica ed elemento di un contrasto probabilmente destinato a non spegnersi mai, stante la sempre maggiore complessità della vita sociale, le cui sfide e sollecitazioni interpellano la coscienza del singolo prima che quella del legislatore, chiamato a soluzioni che difficilmente potranno essere condivise o anche solo comprese dalla generalità.