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Coscienza, autoriflessività e paradossi: la teoria del ''doppio legame'' di G. Bateson

Il lavoro parte da un classico problema all'interno della filosofia della mente e dell'Intelligenza Artificiale, quello del possibile parallelismo tra menti e macchine, ripercorso però in un'ottica diversa rispetto alle numerose ricerche precedenti, sia di filosofi, come Putnam o Dennett, sia di psicologi o di “tecnici” della mente, come Fodor. Questa ridiscussione parte dall'assunto di fondo che il problema del parallelismo vada affrontato muovendosi da un territorio epistemologicamente nuovo, le cui caratteristiche principali devono essere:

1. l'interdisciplinarità;

2. l'abbattimento, o per lo meno l'indebolimento teorico, dei dualismi filosofici (mente-corpo, soggetto-oggetto ecc..;)

3. la ridiscussione linguistico-concettuale dell'apparato teorico con cui si è affrontato sino ad ora il problema della mente, con particolare riguardo all'oggetto stesso dell'indagine, la mente appunto.

Si mostra quindi come questo problema, che tende alle volte ad assumere i contorni di un'opposizione metafisica irriducibile tra sostenitori e negatori delle capacità delle macchine di riprodurre il pensiero, viene in qualche misura dissolto alla luce di un'indagine che ne riveda criticamente alcuni presupposti di fondo. Uno di questi presupposti è, come si è detto, la tendenza a separare nettamente le ricerche nell'ambito delle “scienze umane” da quelle situate sul piano delle scienze naturali o logico-matematiche, e ad accentuare ulteriori opposizioni all'interno di queste ultime (ad esempio tra fisica e biologia, tra biologia e neurofisiologia, ecc...).

Per fare questo vengono prese in esame, le ricerche di Gregory Bateson messe però in relazione ad un insieme di autori e discipline molti diverse tra loro: Intelligenza Artificiale, scienze cognitive, linguistica, risultati della logica matematica, Psichiatria, teoria dell’informazione. Si prendono in esame le teorie di Whorf, Wittgenstein, Searle, De Saussure, Ryle, i risultati di Godel, Russell, Tarsky e molti altri autori

Si tenta infine di mostrare come il teorema di Gödel e altri risultati della logica simbolica non costituiscano un insieme di risultati separati dallo sviluppo parallelo di altre scienze, ma anzi costituiscano parte di un più vasto movimento che, sul piano epistemologico e scientifico, tenta di ricucire le tradizionali fratture tra i saperi in una chiave originale. In questa prospettiva, dare una risposta al problema del parallelismo menti-macchine, significa nel contempo:

1. scoprire dei significativi punti di contatto tra discipline classicamente poco interessate l'una dell'altra (come logica e psichiatria)

2. dirigersi verso il superamento dei tradizionali dualismi, sia filosofici (ad es. soggetto-oggetto), che scientifici (ad es. energia-informazione), che epistemologici (ad. es. mente-corpo)

3. predisporre il terreno linguistico-concettuale adatto affinché una serie di fenomeni (e prima di tutto quello della “mente”) trovino una collocazione teorica feconda.

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1 Capitolo 1: Cibernetica, mente, formalismi 1.1 Bateson: dall'antropologia alla cibernetica L'opera di Gregory Bateson 1 è una fitta trama di esperienze successive, di discipline differenti, di evoluzioni improvvise, attraversate avventurosamente alla ricerca di un filo unificatore che organizzi i vari elementi del sapere. Figlio del biologo William Bateson [1861-1926], uno dei precursori della moderna genetica 2 , ripercorrerà, in parte, le orme del padre quantomeno interessandosi al fenomeno della morfogenesi, a cui William aveva dedicato particolare attenzione nei suoi studi sulla discendenza [Bateson W. 1894]. Lo studio dell’esito formale dei processi, della loro configurazione, delle leggi che li generano, è il bagaglio intellettuale che il giovane Gregory possiede nel momento in cui si stacca dalla biologia per dedicarsi agli studi antropologici. La sua esperienza è raccontata in questi termini: «Raccolsi una vaga sensazione mistica che noi si debba cercare gli stessi tipi di processi in tutti i campi dei fenomeni naturali, che noi ci si possa aspettare di trovare all'opera gli stessi tipi di legge nella struttura di un cristallo come nella struttura della società [...]. Questo pizzico di misticismo [...] mi incoraggiò ad attendermi che questi modi di pensiero si adattassero ad ogni differente campo di osservazione. Mi rese possibile considerare tutto il mio addestramento come potenzialmente utile piuttosto che assolutamente irrilevante in antropologia.» 3 Il lavoro di Bateson come antropologo si svolge dal 1926 fino a dopo la 2° Guerra Mondiale, e passa da una primitiva adesione alla “scuola funzionalista” di B. Malinowski e A. Radcliffe-Brown, ad una progressiva insoddisfazione per i suoi metodi, che considera riduttivi: è difficile per lui accettare un metodo che comprime lo studio della cultura all'interno delle tecniche funzionali atte alla soddisfazione dei bisogni, e che la suddivide esclusivamente nelle istituzioni predisposte a questo scopo, ricostruendo il resto a partire da queste. Questa insofferenza, è presente fin dalle prime pagine di “Naven”: «Lo scopo della scuola funzionalista è descrivere in termini cognitivi e analitici tutto quell'intreccio, quasi vivente, che è una cultura. I funzionalisti hanno concentrato molto giustamente e spontaneamente la massima attenzione su quegli aspetti della cultura che si prestano più facilmente a essere descritti in termini analitici. Hanno descritto la struttura di molte società e mostrato quali sono le principali linee del suo funzionamento pragmatico, ma non si può dire che abbiano tentato di delineare quegli aspetti della cultura che l'artista sa esprimere con tecniche impressionistiche.[...] Evidentemente quindi, il retroterra emotivo è una causa attiva della cultura e uno studio funzionale non sarebbe mai abbastanza completo se non collegasse la struttura e il funzionamento pragmatico della cultura al suo tono emotivo, al suo ethos.[Bateson 1958, trad.it. p.8]

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