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Storia di una beffa mediatica: il caso dei ''falsi Modì'' ​

Il caso delle false teste di Modigliani è la storia di una beffa mediatica che ha coinvolto la storia dell’arte, la politica, l’intera città di Livorno e soprattutto la stampa locale e nazionale.
Tutto ebbe inizio durante la mostra della nascita di Modigliani, artista livornese che, secondo la leggenda, avrebbe buttato nel Fosso Reale alcune sue sculture reputate di basso livello.
L’elaborato ripercorre la "beffa di Livorno" entrando nello specifico e nel primo capitolo analizza l’attesa e il ritrovamento delle sculture con particolare attenzione alla notizia della scoperta, la sua evoluzione, il sentimento di attesa e il clamore mediatico.
In apertura del secondo capitolo vi è il dibattito tra critici e giornalisti contrapponendo chi proclama l’autenticità delle teste sostenendo che le opere sono talmente originali e uniche, che identificarle è facile anche per i meno esperti, a chi, invece, ne annuncia la burla sapendo che, ai livornesi piace scherzare.
Fulcro del terzo e ultimo capitolo è, infine, la rivelazione della beffa e gli strascichi che lascerà, tra cui, il duro colpo che la credibilità dell’intero mondo della critica d’arte subisce.
Tutto l’elaborato si basa sull’analisi oggettiva, sostenuta da fonti di natura specialmente giornalistica, cercando di mettere in luce ciò che ha significato la burla di Livorno.

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29 3. La rivelazione della beffa 3.1 I falsari si svelano In questo paradossale contesto, tra chi continuava a credere le teste vere e chi, anche se in maniera sommessa e in numero minore, credeva fossero fasulle, ecco che si alzò il sipario sulla tragedia che ebbe come interpreti le teste di Modì. Il giornale «La Nazione», riportò una chiamata ricevuta in redazione: «con una telefonata anonima alla nostra redazione, mentre a Villa Maria era in corso la festa, è stato deposto un rotolino fotografico. Dalle immagini ricavate si può osservare una testa scolpita in pietra che l’anonimo indica, con un cartello, come opera scolpita da Modigliani e ripescata nel fosso nel 1954, vicino al caffè Bardi. Cosa vuol fare intendere con quelle immagini? Presumibilmente che già trent’anni fa fu ritrovata una scultura. Una cosa è certa: da una osservazione anche superficiale non si ricavano analogie con le opere esposte e catalogate a Villa Maria» 58 . Poche ore dopo la telefonata anonima, l’agenzia Ansa diffondeva ai giornali la notizia che un settimanale, nel numero in edicola il giorno dopo, avrebbe pubblicato un servizio che raccontava di tre giovani livornesi che affermavano di essere gli autori della seconda testa ritrovata il 24 luglio e che, totalmente inesperti del mestiere, l’avrebbero gettata nella zona delle ricerche per farla appositamente trovare proprio dove aveva indicato la Durbé. Si aggiungeva, infatti, che la tipologia della pietra che i ragazzi dicevano di aver scolpito, cioè quella in arenaria, era presente nel catalogo pubblicato il giorno prima a cura di Dario Durbé, nel quale venivano dettagliatamente riportate le teste ripescate nel Fosso ed esposte a Villa Maria. E’ da sottolineare che, in detto catalogo, pareri illustri e critici di alto rango, attribuivano senz’ombra di dubbio le opere a Modì; in più, al capitolo dedicato agli esami di natura tecnica si diceva, tra l’altro: «dalle osservazioni compiute e dai dati raccolti nulla emerge che sia contrario all’ipotesi che le due sculture recuperate giacciono sul fondo dei Fossi a partire dal 1909; molte prove indiziarie indicano anzi come questa ipotesi sia corretta» 59 . 58 G. Isozio, Chi si burla di Modì, «La Nazione», 3 settembre 1984, p. 4. 59 Ibidem.

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media
modigliani
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