29
3. La rivelazione della beffa
3.1 I falsari si svelano
In questo paradossale contesto, tra chi continuava a credere le teste vere e chi,
anche se in maniera sommessa e in numero minore, credeva fossero fasulle, ecco che si
alzò il sipario sulla tragedia che ebbe come interpreti le teste di Modì. Il giornale «La
Nazione», riportò una chiamata ricevuta in redazione: «con una telefonata anonima alla
nostra redazione, mentre a Villa Maria era in corso la festa, è stato deposto un rotolino
fotografico. Dalle immagini ricavate si può osservare una testa scolpita in pietra che
l’anonimo indica, con un cartello, come opera scolpita da Modigliani e ripescata nel
fosso nel 1954, vicino al caffè Bardi. Cosa vuol fare intendere con quelle immagini?
Presumibilmente che già trent’anni fa fu ritrovata una scultura. Una cosa è certa: da una
osservazione anche superficiale non si ricavano analogie con le opere esposte e
catalogate a Villa Maria»
58
. Poche ore dopo la telefonata anonima, l’agenzia Ansa
diffondeva ai giornali la notizia che un settimanale, nel numero in edicola il giorno
dopo, avrebbe pubblicato un servizio che raccontava di tre giovani livornesi che
affermavano di essere gli autori della seconda testa ritrovata il 24 luglio e che,
totalmente inesperti del mestiere, l’avrebbero gettata nella zona delle ricerche per farla
appositamente trovare proprio dove aveva indicato la Durbé. Si aggiungeva, infatti, che
la tipologia della pietra che i ragazzi dicevano di aver scolpito, cioè quella in arenaria,
era presente nel catalogo pubblicato il giorno prima a cura di Dario Durbé, nel quale
venivano dettagliatamente riportate le teste ripescate nel Fosso ed esposte a Villa Maria.
E’ da sottolineare che, in detto catalogo, pareri illustri e critici di alto rango,
attribuivano senz’ombra di dubbio le opere a Modì; in più, al capitolo dedicato agli
esami di natura tecnica si diceva, tra l’altro: «dalle osservazioni compiute e dai dati
raccolti nulla emerge che sia contrario all’ipotesi che le due sculture recuperate
giacciono sul fondo dei Fossi a partire dal 1909; molte prove indiziarie indicano anzi
come questa ipotesi sia corretta»
59
.
58
G. Isozio, Chi si burla di Modì, «La Nazione», 3 settembre 1984, p. 4.
59
Ibidem.
30
«La Stampa» raccontò la stessa storia da un diverso punto di vista e, riportando la
notizia del ritrovamento del rullino fotografico, scrisse: «le foto, sviluppate, ritraggono
una quarta testa in pietra grossolanamente scolpita. Accanto una scritta: "Testa ripescata
nel 1954 nei fossi di Livorno vicino al Caffe Bardi: cm 38 x 28 x 10". Sino a che punto
credere a una nuova beffa e non invece a una macchinazione tesa a screditare
l’operazione di recupero? Cosa significa questa seconda storia? Si parla di contrasti
negli ambienti artistici anche ad alto livello, magari lontano da Livorno, di gelosie e di
crudeli vendette. Ma siamo alle voci, almeno per il momento»
60
.
Il «Corriere della Sera», rispetto agli altri giornali, invece, diede più spazio alle
parole della Durbé: «è possibile non fidarsi di una prima impressione, o del giudizio di
una persona sola. Ma non si può ignorare il giudizio di storici dell'arte della levatura di
Argan, Brandi, Carli e di tanti altri»
61
.
Due giorni dopo «La Nazione» riportò le parole concise di Dario Durbé: «si tratta
di un’evidente macchinazione e neppure ben preparata. Le teste apparse sulla foto
comprovante il supposto scherzo sono infatti totalmente differenti da quelle ritrovate nel
fosso di Livorno»
62
.
Parlare di beffa per i più importanti interpreti di questa vicenda, era ancora troppo
presto e, per far emergere la verità sulle teste, era necessario che i falsari si svelassero.
Il settimanale «Panorama» nel suo articolo del 10 settembre riportò:
la seconda scultura attribuita a Modigliani, che come le altre sarebbe stata immersa, a detta degli
esperti, in acqua e fango per 75 anni, c'è rimasta invece per poche ore ed è opera di quattro studenti
livornesi. In breve: una burla. A livello planetario. A più di un mese dal ritrovamento di questa scultura, i
giovani autori della beffa hanno spiegato a Panorama come l'hanno organizzata; come hanno atteso di
essere scoperti subito o quasi; come piano piano l'incredulità di fronte alle dichiarazioni di critici ed
esperti abbia preso il sopravvento, tanto da indurli a non uscire subito allo scoperto. Solo tre dei quattro
protagonisti della "goliardata" hanno accettato di raccontare la loro vicenda a Panorama. L'altro preferisce
il silenzio. Sono figli di professionisti, hanno vent'anni: Francesco Ferrucci, studente di medicina,
Michele Ghelarducci, iscritto a economia e commercio, e Pietro Luridiana, matricola di ingegneria
63
.
L’idea della beffa nacque la sera di martedì 17 luglio 1984. Il principale ideatore
fu Pietro Lauridiana, diciannovenne studente alla facoltà di ingegneria di Pisa e figlio di
un noto avvocato penalista di Livorno. Quella sera Pietro incontrò Michele Genovesi,
60
O. Marracini, Livorno divisa sulle teste di Modì (e salta fuori la quarta, in foto), «La Stampa», 4
settembre 1984, p. 9.
61
Ansa, Tre ragazzi: «Abbiamo scolpito noi una delle sculture di Modigliani», «Corriere della Sera», 3
settembre 1984, p. 4.
62
T. Capitanio, Il «pasticcio» buffo di Modì, «La Nazione», 5 settembre 1984, p. 4.
31
vent’enne e studente di economia e commercio alla Bocconi di Milano, residente
all’Ardenza, il quartiere bene di Livorno. Pietro disse all’amico: «tutti stanno a cercare
le statue di Modigliani nel Fosso. Perché non gliele facciamo trovare?, così si ride un
po’!»
64
. Ai due si aggiunsero anche Francesco Ferrucci, figlio di un primario, e Michele
Ghelarducci, figlio di un grosso spedizioniere. La priorità fu trovare la pietra e Michele
suggerì agli amici di andare su di una collinetta davanti al mare, dove aveva visto dei
blocchi di pietra che sarebbero dovuti servire per fare un monumento a Galeazzo Ciano,
il genero del Duce, rimasto però incompiuto. I quattro, però, tornarono a casa a mani
vuote perché quelle pietre erano troppo pesanti e inadatte. Il giorno dopo i ragazzi
andarono in un giardino pubblico all’Ardenza e trovarono finalmente le pietre perfette.
Velocemente le portarono a casa di Genovesi dove si armarono di un carboncino
avanzato dal barbecue domenicale e di scalpelli e martelli ed erano pronti per realizzare
la loro opera beffarda. I lavori durarono fino a sabato 21 luglio quando il Ferrucci
rovinò l’opera con una martellata che ne deturpò lo zigomo destro, prontamente però
riparato dai ragazzi con l’ausilio del Black & Decker. «Ma in quella scheggia schizzata
via i sensibili critici dell’arte vedranno il tocco di classe, la firma dell’artista, il mezzo
che dà anima a quel sasso, che infonde espressività al volto, perché quella scheggia
mancante non è più l’effetto di un colpo maldestro ma la rappresentazione plastica della
malinconia e financo la lacrima di un cuore afflitto»
65
.
La domenica successiva i ragazzi escogitarono il modo per invecchiare la pietra e
chiesero aiuto ad altri due amici, Davide Fiorentini e Francesco Fortini, studenti alla
facoltà di chimica, senza però trovare soluzioni accettabili e decisero di lasciare la pietra
così come era. Dopo qualche foto di rito, i ragazzi caricarono tutto sulla Fiat Panda di
Ferrucci ma, in quel momento, si resero conto che sulla nuca di quella testona (che poi
venne rinominata "Modì 2"), c’era una evidente macchia di catrame e di erba.
I ragazzi, scalpello alla mano, riuscirono a togliere il catrame ma dell’erba non se
ne curarono e non la lavarono nemmeno. «Una scelta, che risulterà utile alla causa,
perché agli occhi dei sapienti analisti quell’erba risulterà una rara alga presente nel
63
P.M. Fasanotti, La beffa di Livorno, «Panorama», 10 settembre 1984, pp. 59-60.
64
G. Morandi, La beffa di Modigliani, tra falsari veri e falsi, cit., p. 91.
65
Ivi, p. 93.
32
fosso e dunque un’ulteriore prova dei lunghi anni di immersione, in cui è rimasto il
capolavoro»
66
.
Tutta la cerchia dei sei ragazzi partì alla mezzanotte in direzione del Fosso Reale
dove arrivarono verso l’una e mezza. Dopo una foto di repertorio alla luce di un
lampione, i ragazzi lanciarono la testa proprio davanti all’escavatore che il giorno fece
la pesca miracolosa.
Il segreto dei ragazzi durò per un mese fino a quando, la mattina del 28 agosto,
Gianni Farneti, vice direttore del settimanale «Panorama» e di origini livornesi, ricevette
una telefonata dalla signora Tuti Ferrau Ghelarducci, una sua lontanissima parente, nella
quale gli venne chiesto un appuntamento per raccontargli una "storia divertente". Il vice
direttore impiegò poco a collegare la chiamata alla vicenda di Modigliani a Livorno e
organizzò un incontro presso la sede del settimanale nel primo pomeriggio. «E il
pomeriggio alle 3 Tuti Ferrau è davanti alla sua scrivania. Non è sola, c’è il marito,
Alberto Gherlarducci, altro compagno di gioventù di Farneti, un signore sconosciuto,
che si presenta come Alberto Ferrucci, e tre ragazzi [...] Michele Ghelarducci,
Francesco Ferrucci e Pietro Luridiana. Dopo i saluti di rito [...] Tuti tira fuori dalla borsa
una busta, e dalla busta una fotografia in bianco e nero. La foto mostra due ragazzi,
Pietro e Francesco, che sorridono in un prato accanto a una pietra che a prima vista
sembra proprio lei, "Modì 2", la più bella delle statue ripescate nei fossi di Livorno.
Compare anche un altro ragazzo nella foto. "Chi è questo?", chiede Farneti. "È un altro
amico, Michele Genovesi, l’abbiamo preparato in quattro lo scherzo, ma lui non vuole
comparire in questa storia. Anzi, la foto, se la pubblicate, dovete tagliarla perché ci
siamo impegnati con lui". Viene fuori così, a poco a poco, dettaglio dopo dettaglio, il
racconto di quella che passerà alla storia come la "burla di Livorno"»
67
.
Ed ecco perché i ragazzi attesero tanto prima di raccontare la verità: «Luridiana
spiega che, fatto lo scherzo, erano partiti a fine luglio per le vacanze, all'estero:
"Eravamo tranquilli e sicuri che lo scherzo sarebbe stato scoperto". "Speravo – ripete
Michele Genovesi – che la storia, visto che la nostra statua era così rudimentale, si
sgonfiasse da sé. Ma quando ho visto che si rischiava di continuare ad accreditare un
falso, ho capito che c'era bisogno di chiarezza [...] perché la burla, per qualcuno, stava
per diventare una vera tragedia". Aggiunge "Mi dispiace solo che qualcuno può parlar
66
Ivi, p. 94.
33
male della nostra città per qu storia, che non è stata escogitata da nessun potere occulto
o forza oscura"»
68
.
69
Un’altra data significativa fu quella del 13 settembre.
Nel pomeriggio un’artista quasi sconosciuto di nome Angelo Froglia, convocò
una conferenza stampa nello studio dell'avvocato Arrigo Melani, alla presenza dei
fratelli Guastalla, rappresentanti degli Archivi legali di Modigliani. Froglia aveva 29
anni, era un pittore che campava con lo stipendio di portuale, non ignoto alle cronache,
perché aveva trascorso tre anni in galera per un passato nelle file del terrorismo
dell'estrema sinistra, coinvolto nell'incendio della sede livornese della Cisnal, provocato
dal gruppo "Azione rivoluzionaria".
Quel pomeriggio si presentò ai giornalisti dicendo di essere lui l'autore di "Modì
1" e "Modì 3" e anche di una "Modì 4", che nessuno aveva visto perché non era stata
buttata nel fosso, e raccontò di averle scolpite in casa sua. L’artista raccontò di aver
impiegato una decina di ore per realizzare la prima testa mentre per fare la seconda, solo
un’ora e che documentò il tutto con un video. Angelo raccontò anche della scelta del
materiale, ricordando che la pietra serena la trovò sul marciapiede davanti alla caserma
della Folgore dell’Ardenza, quella di granito, invece, nel quartiere della Bandinella, in
periferia di Livorno. Una volta terminate, nella tra il 13 e il 14 luglio, dunque dieci
giorni prima del lancio della "Modì 2" da parte degli altri ragazzi, le gettò nel Fosso
67
G. Farneti, Modigliani storia di un falso d’arte e di una grande beffe, cit., pp. 85-87.
68
G. Morandi, La beffa di Modigliani, tra falsari veri e falsi, cit., pp. 103-104.