Santa pubblicità. L'iconografia cristiana nella comunicazione di marca.
La tesi prende in esame il caso della “pubblicità blasfema”, quella cioè che, mossa da diverse logiche commerciali, strumentalizza l’immagine religiosa al fine di promuovere un marchio o un prodotto.
A livello strettamente pubblicitario, questa tecnica da un lato ricerca l’effetto di shock nello spettatore attraverso la blasfemia, catturandone inevitabilmente l’attenzione e imprimendosi, spesso suo malgrado, all’attenzione del consumatore; dall’altro, il marchio cerca l’associazione con il “testimonial” divino per equipararsi all’aura mistica e alla potenza evocativa dell’icona. Alcune campagne lanciate dalla Nike sono esemplificative di questo impiego dell’immagine cristiana in una sorta di “lotta tra titani”.
D’altro canto, anche il mondo ecclesiastico oggi si occupa ormai attivamente di marketing: soprattutto per la Chiesa americana, esso ha la funzione positiva di strumento alleato alla sua missione di evangelizzazione. Di fatto, la religione deve lottare per emergere in un mondo sempre più “politeista”, che la domenica si raccoglie attorno al rito laico del calcio più che attorno a quello cristiano della Messa.
Precursore del fenomeno, la multinazionale Fortune Tobacco Company, sub brand di Philip Morris, che negli anni ’80 lancia nelle Filippine una serie di campagne above and below the line che martellano il messaggio della nota agenzia pubblicitaria Leo Burnett: “ogni occasione è buona per accendere una sigaretta”.
L’intuizione geniale fu quella di creare attorno al marchio un’equity socialmente accettata e benvoluta, che lo facesse percepire come “dalla parte dei Filippini”: la Fortune Tobacco Company si fa quindi promotrice di eventi sportivi e culturali, intervenendo attivamente per alleviare alcuni disagi sociali e lanciando tendenze e modelli giovanili sulla falsariga dei miti statunitensi.
I calendari religiosi prodotti negli anni ’90 per sponsorizzare le 17 tipologie di sigarette commercializzate fanno leva non a caso sul forte sentimento cattolico dei Filippini, ma senza dissacrarlo, anzi ponendosi “in continuità” con le loro tradizioni.
Al contrario, lo spot del Getafe Fútbol Club lanciato a luglio 2007 si presenta come una rappresentazione manipolata, non più iconica dell’immagine divina: i personaggi-simbolo del Cristianesimo che vi sono rappresentati, Abramo, Mosè, Giovanna d’Arco, Adamo e infine lo stesso Gesù Cristo, rinnegano Dio, affermando di compiere i sacrifici loro imposti non nel Suo nome bensì in quello della squadra di calcio per cui tifano.
In entrambi i casi il leit-motiv è la competitività del prodotto con la religione: vengono impiegate esteticamente ed arbitrariamente le forme della tradizione cristiana, ma quello che suscita indignazione è il loro essere veicolo di comunicazione, più o meno velata, di significati commerciali.
La Fortune Tobacco Company lo fa cercando la “benedizione” della Madonna e di Gesù, in linea con la filosofia del marchio, che non vuole essere percepito come colonizzatore, bensì come “benefattore”.
Il Getafe punta invece sullo scandalo e sulla blasfemia per far parlare di sé, ottenendo una risonanza altrimenti inarrivabile con il basso budget a disposizione dei creativi: una soluzione che tuttavia è costata la disdetta degli abbonamenti da parte di molti tifosi che si sono sentiti offesi nel loro credo.
Questo fenomeno si verifica in un contesto sociale dove è rimasto ben poco del timore reverenziale avvertito nei confronti della religione, che ha perso molto del suo essere tabù.
Nonostante la progressiva e quasi inevitabile secolarizzazione, le scelte dissacratorie generalmente attirano un sentimento di fastidio sul marchio, ma l’ironia applicata al sacro ha il grande potere, se è intelligente o usata in un ambito pertinente, di catturare e incuriosire lo spettatore, chiamandolo a risolvere attivamente il gioco interpretativo.
Da parte della società, vi è infine un atteggiamento ambivalente: condanna alla blasfemia da una parte, sfruttamento del sentimento della fede, o di quella che molti ritengono tale, per lanciare business commerciali, come quanto avvenuto in America con la linea di magliette “Jesus is my Homeboy”.
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Informazioni tesi
Autore: | Ilaria Capirci |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2006-07 |
Università: | Università degli Studi di Padova |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione |
Relatore: | Vincenzo Montieri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 94 |
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