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La domanda fondamentale: ''Perché l'essere piuttosto che il nulla?''

La filosofia nasce anzitutto come domanda. Il domandare nasce dalla meraviglia che l'uomo prova di fronte al "che" delle cose ("che esse siano in un certo modo anziché in un altro"). Ma la meraviglia "fondamentale", si prova propriamente soltanto di fronte al fatto "che le cose, in generale, siano piuttosto che non essere affatto". Questa è la "meraviglia delle meraviglie", dalla quale sorge il "domandare fondamentale" della filosofia: "Perché l'essere piuttosto che il nulla?" . Questa domanda - che è "metafisica" in quanto va alla ricerca del senso dell'essere -, non è tuttavia "soltanto" una domanda filosofica (tant'è vero ch'essa può benissimo trovare una sua propria forma anche nella poesia, nell'arte in genere e nel sentimento autenticamente religioso). Essa non appartiene alla metafisica intesa come una mera disciplina filosofica tra le altre (etica, estetica, logica, etc.), bensì è quella domanda che - se ne sia coscienti o meno - sta a cuore all'uomo in quanto tale, anzi è quella domanda che, in primo luogo, definisce di questi l'essenza (come sosteneva Heidegger: l'uomo è un "ente metafisico"). Nessun divieto che sia "meramente logico" può, dunque, di per sé, metterla a tacere (come vorrebbero un Wittgenstein o un Carnap). La domanda, infatti, trova la sua spontanea origine ed il suo naturale sviluppo non soltanto sul terreno della meraviglia, ma, più in generale, su quello dell'immediata "esperienza esistenziale", in quegli stati emotivi e sentimenti che sono all'uomo essenziali, ovvero che propriamente ne caratterizzano il "modo di essere": dalla noia alla gioia, dalla disperazione all'angoscia, fino all'esperienza del dolore e del male còlto in tutta la sua portata ontologica. Sostare sulla "domanda fondamentale" e far luce sulla sua genesi, sulla sua portata e sul suo senso: questo il temerario compito che qui si tenta di affrontare, sulla scorta di un dialogo che si prova ad intrattenere con quegli esponenti del pensiero Occidentale che hanno esplicitamente posto la questione: Leibniz, Leopardi, Schelling e Heidegger.

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3 PREMESSA L’obiettivo principale del presente scritto è quello di riportare all’attenzione la “domanda fondamentale” non solo come domanda fondamentale della metafisica e della filosofia, ma anche e soprattutto come domanda fondamentale dell’essere umano in quanto tale. Il proposito apparirà immediatamente come una pretesa tan- to ingenua quanto temeraria. Ingenua: quanto ingenuo è esordire con un riferimen- to al sentimento della meraviglia, intendendolo come l’emblema di quell’origina- ria dimensione umana d’ingenuità e di emotività a partire dalla quale – sia per Pla- tone, che per Aristotele – prendono avvio il domandare e il filosofare in generale; e quanto ingenuo, forse, è proseguire cercando di mostrare l’opportunità di calarsi negli abissi e di perdersi nei labirinti di quella stessa dimensione (ossia della pro- pria e più immediata esperienza esistenziale), se davvero s’intenda scorgere l’au- tentica necessità che muove l’uomo al porre la domanda fondamentale – una ne- cessità alla quale non ci pare affatto possibile sottrarsi, nonostante le innumerevoli difficoltà logico-linguistiche che una simile domanda comporta, e con le quali si cerca, per quanto possibile, di fare i conti, quantomeno nell’autorevole e pertinen- te forma in cui esse sono state avanzate da un Wittgenstein e da un Carnap. Ques- to è quanto avviene nella prima parte del lavoro. Ma la pretesa apparirà forse an- che temeraria: come temerario sembra essere l’intraprendere, perlomeno in questa sede, una discussione su di una questione tanto estesa e ricca d’implicazioni, non- ché una fenomenologia della domanda fondamentale nella storia del pensiero oc- cidentale, dal momento che questa comporta un a dir poco impegnativo confronto con l’opera di quattro autori così tra loro dissimili (com’è il caso di Leibniz, Leo- pardi, Schelling e Heidegger), e giacché essa significa porsi alla ricerca del sottile filo che, pur rischiando costantemente di spezzarsi, in qualche modo tutti li lega. Ciò è quanto si tenta di fare nella seconda parte. Tuttavia, in filosofia, questo costituisce un errore o un male soltanto laddove si scambi l’ingenuità per mera “incoscienza” o per semplice “sconsideratezza”, e la temerarietà per pura “arroganza”. Se non la si confonde con la semplice ignoran- za o sciocchezza, apparirà evidente che non è possibile immettersi nella necessità e nel senso della domanda fondamentale se non immergendoci noi stessi nell’in- genuità con cui di solito l’uomo si rapporta alla propria esistenza. Infatti, occorre abbandonare per un attimo il proprio atteggiamento teoretico – e lasciarsi andare all’immediatezza dell’esistenza quale si vive nella meraviglia, nella noia, nella gioia, nell’angoscia, nella disperazione, nella sofferenza, etc. – se si vuole davvero introdurre se stessi nella dimensione del domandare fondamentale (che è anzitut- to, come cercheremo di mostrare, un domandare preteoretico e prelinguistico) e discutere su di esso. Perciò l’ingenuità con cui ci si accosta alla questione fonda-

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