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Il linguaggio politico di Umberto Bossi (analisi dei discorsi a Pontida tra 2005 e 2011)

Il passaggio incompleto e non formalmente sancito dalla prima alla seconda Repubblica ha comportato una serie di cambiamenti politico-istituzionali nell’assetto pubblico italiano, sia da un punto di vista prettamente sistemico, come l’introduzione di un bipolarismo zoppo, sia da un punto di vista comunicativo, come l’introduzione di nuovi codici linguistico-retorici. In particolare è emerso il fenomeno del populismo, inteso come esaltazione del capo carismatico, detentore assoluto di potere conferito dal voto popolare, che si rapporta alle masse senza alcuna mediazione di carattere istituzionale. Il populismo inoltre fa un uso strumentale del linguaggio avvalendosi di codici mediatici, che prevedono un lessico più povero e ipersemplificato nella forma, e una generale banalizzazione delle tematiche politiche nel contenuto. Inoltre, con la proliferazione della politica spettacolo in tv, questa evoluzione ha fatto sì che gli scontri verbali tra i diversi attori politici incarnassero la logica aggressiva della sopraffazione linguistica e dell’insulto, con lo scopo di attrarre consenso. A tal proposito Baldini contrappone un linguaggio oscuro, come il politichese, ossia un linguaggio illustre ma talvolta vacuo e incomprensibile, ad un linguaggio chiaro, cioè semplicistico e spesso banale. Galli de Paratesi a sua volta dibatte tra eufemismo e disfemismo, evidenziando come le nuove pratiche linguistiche dell’Italia post-Tangentopoli prevedano un quotidiano uso di esplicite volgarità e di “brutte parole” ad effetto, soprattutto nei discorsi politici.
A tal proposito, Umberto Bossi può essere considerato uno dei protagonisti indiscussi di questo populismo nostrano, sia per quanto riguarda la personalizzazione del partito e della leadership, sia per l’introduzione di forti rotture con il passato per quanto riguarda l’ars oratoria.
Ho voluto affrontare proprio il discorso della retorica bossiana, che non si caratterizza solo per la semplificazione e la volgarità delle parole, ma si arricchisce di simbologie e gestualità eloquenti. Ho analizzato i discorsi del senatùr durante gli annuali raduni di Pontida e ho potuto riscontrare una forma di populismo dai tratti etnico-identitari, volto cioè alla salvaguardia della propria comunità, la Padania, dalle insidie del nemico, costantemente ricercato ed identificato in diversi soggetti, a seconda dei casi: dallo Stato centralista all’Europa, dall’avversario politico all’alleato, dall’immigrato al giornalista e via dicendo. Ciò che è emerso dall’analisi dei discorsi pronunciati tra il 2005 e il 2011 è l’affermazione della propria posizione di leader tramite la costruzione del sé, la forte ripetitività degli slogan, la ridondanza nel proporre continuamente tematiche come il federalismo e l’anticentralismo, l’esplicitazione di luoghi comuni per colpire l’immaginario collettivo, appelli alla sovranità del popolo, la riproposizione del mito politico circa la creazione della Padania. In seguito alle diverse rotture interne al partito, la nuova strategia di Bossi e della Lega è il ritorno a quello che Lorella Cedroni chiama “il linguaggio della crisi”, riportando in auge vecchi discorsi sulla secessione per riconquistare consenso.

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5 Introduzione Con la stesura di questo elaborato ho voluto osservare il linguaggio di uno degli uomini politici più discussi della II Repubblica: Umberto Bossi. In Italia durante la seconda Repubblica si assiste alla diffusione di un fenomeno chiamato populismo, termine polisemico con cui, in scienza politica, intendiamo il leader di partito che si rivolge alle masse senza mediazioni, utilizzando un linguaggio povero e semplificato, spesso aggressivo e volgare nei confronti dell‟avversario. Ebbene tramite questo elaborato ho voluto dimostrare come Bossi abbia perfettamente incarnato le caratteristiche del capo populista. Nel primo capitolo ho voluto proporre a grandi linee l‟importanza del linguaggio in politica, cosa si intende per linguaggio politico e perché è considerato uno strumento di vitale importanza. Una delle ragioni potrebbe essere il fatto che, nella società moderna, la politica, affinché possa trovare quel consenso di cui ha bisogno, non possa usare la forza e che quindi l‟uso della parola sia assai più opportuno. Da qui la necessità per tutti i politici di rintracciare ed adottare quelle tecniche che possano rendere la comunicazione ottimale, in vista di consenso, soprattutto con l‟avvento dei mezzi di comunicazione di massa, che hanno reso la politica un contenitore per lo spettacolo. Ed è proprio la politica-spettacolo ad aver dettato le regole per rendere la comunicazione politica una comunicazione efficace, facendo sì che gli attori politici adattassero stili e forme linguistiche ai codici del mezzo mediatico, soprattutto quello televisivo. Sempre nel primo capitolo, dopo alcuni riferimenti teorici, ho voluto presentare la situazione nell‟Italia contemporanea: il passaggio da una politica vecchio stampo che si serviva di un linguaggio assai più aulico, talvolta indecifrabile – il

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