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Introduzione
Con la stesura di questo elaborato ho voluto osservare il
linguaggio di uno degli uomini politici più discussi della II
Repubblica: Umberto Bossi.
In Italia durante la seconda Repubblica si assiste alla diffusione
di un fenomeno chiamato populismo, termine polisemico con
cui, in scienza politica, intendiamo il leader di partito che si
rivolge alle masse senza mediazioni, utilizzando un linguaggio
povero e semplificato, spesso aggressivo e volgare nei
confronti dell‟avversario. Ebbene tramite questo elaborato ho
voluto dimostrare come Bossi abbia perfettamente incarnato le
caratteristiche del capo populista.
Nel primo capitolo ho voluto proporre a grandi linee
l‟importanza del linguaggio in politica, cosa si intende per
linguaggio politico e perché è considerato uno strumento di
vitale importanza. Una delle ragioni potrebbe essere il fatto
che, nella società moderna, la politica, affinché possa trovare
quel consenso di cui ha bisogno, non possa usare la forza e che
quindi l‟uso della parola sia assai più opportuno. Da qui la
necessità per tutti i politici di rintracciare ed adottare quelle
tecniche che possano rendere la comunicazione ottimale, in
vista di consenso, soprattutto con l‟avvento dei mezzi di
comunicazione di massa, che hanno reso la politica un
contenitore per lo spettacolo. Ed è proprio la politica-spettacolo
ad aver dettato le regole per rendere la comunicazione politica
una comunicazione efficace, facendo sì che gli attori politici
adattassero stili e forme linguistiche ai codici del mezzo
mediatico, soprattutto quello televisivo.
Sempre nel primo capitolo, dopo alcuni riferimenti teorici, ho
voluto presentare la situazione nell‟Italia contemporanea: il
passaggio da una politica vecchio stampo che si serviva di un
linguaggio assai più aulico, talvolta indecifrabile – il
6
politichese – ad una politica più leggera supportata da un
linguaggio sicuramente più semplice ma anche più povero, sia
nella forma che nel significato.
Il secondo capitolo, invece, ha lo scopo di ricostruire le tappe
fondamentali circa l‟evoluzione del partito di Bossi che, da
semplice movimento degli anni Ottanta che comprendeva
diverse “leghe” settentrionali, è arrivato ad essere un partito di
governo, collezionando ben tre mandati.
In questo capitolo ho messo in luce anche il rapporto tra Bossi,
il partito ed i mass media, evidenziando il fatto che lo
strumento di diffusione privilegiato, almeno nel primo
decennio di vita del movimento, non era tanto il tubo catodico
ma piuttosto i volantini, il giornalino autoprodotto, i manifesti
sui muri, il comizio.
Il terzo ed ultimo capitolo accoglie il lavoro empirico di analisi
del linguaggio, prendendo in considerazione i discorsi di
Umberto Bossi durante gli annuali incontri di Pontida dal 2005
al 2011. Ho scelto proprio il 2005 perché ho voluto osservare
come sia cambiata l‟ars oratoria del Senatùr in seguito alla
malattia che ha influito non poco sulla leadership del partito.
Certamente Bossi appare più stanco e meno incisivo rispetto ai
tempi precedenti. Ciò che emerge dall‟analisi dei discorsi è
l‟affermazione della propria posizione di leader tramite la
costruzione del sé, la forte ripetitività degli slogan, la
ridondanza nel proporre continuamente tematiche come il
federalismo e l‟anticentralismo, l‟esplicitazione di luoghi
comuni per colpire l‟immaginario collettivo, appelli alla
sovranità del popolo, la riproposizione del mito politico circa la
creazione della Padania.
Per procedere all‟analisi del linguaggio mi sono basato su
materiali ufficiali, come la pubblicazione dei discorsi sul sito
internet della Lega Nord, sia utilizzando materiali audiovisivi
7
per l‟intera trascrizione di quei discorsi che non avevano
trovato una precedente pubblicazione ufficiale.
Analizzando il linguaggio e i discorsi di Bossi, ho tentato di
comprendere sia le strategie, sia l‟ideologia leghista, seppur
limitando la ricerca al solo capo carismatico, tralasciando le
altre personalità del partito.
Ho voluto prendere in esame la degenerazione del linguaggio
politico nell‟Italia contemporanea poiché la politica non è fatta
solo di azioni e le parole hanno un peso non indifferente.
Le parole possono servire per spiegare o per nascondere, per
chiarire o per rendere meno comprensibile, per semplificare o
per complicare la spiegazione degli eventi. Il linguaggio degli
uomini politici, dunque, è uno degli aspetti, o dei sintomi, del
distacco tra classe politica e cittadini che, mai come in questo
momento, appare cosi irrimediabilmente dilatato. Tuttavia è
opportuno notare che “è anche, la vera o supposta sintonia tra
parole di Bossi e della Lega e comune sentire della gente, uno
degli elementi del successo della Lega stessa, e non dei
minori”
1
.
Potremmo chiederci se la Lega finora abbia suscitato consensi
per le sue parole o per i suoi comportamenti. E ad ogni modo,
quali? La libertà o la protesta fiscale? L‟autonomia o la lotta
alle inefficienze del centralismo? Il federalismo o l‟intolleranza
verso gli immigrati? Non è facile trovare risposte univoche,
tuttavia ciò che emerge dall‟ultimo incontro di Pontida è che la
base leghista appare sempre più insofferente e che gli
espedienti retorici cari alla tradizione linguistica bossiana non
funzionano più. Non basta rispolverare quello che Lorella
Cedroni definisce “linguaggio della crisi”
2
per mantenere
1
S. Allievi, Le parole della Lega, cit. p. 46
2
Lorella Cedroni, Il linguaggio politico della transizione. Tra populismo e
anticultura, Armando Editore, Roma 2010 p.41 I linguaggi della crisi sono
quei linguaggi creati in situazioni di crisi o per determinare un nuovo
8
l‟elettorato ed ottenere fiducia da parte dei militanti. In realtà
sarà necessaria una generale ristrutturazione delle linee
politiche del partito e probabilmente una ars oratoria diversa.
Le prossime elezioni saranno un chiaro indicatore della salute
del partito del Nord.
lessico di rottura come nel caso italiano della Lega Nord: questo tipo di
linguaggio ha determinato un mutamento della forma politica, attraverso il
lessico del nuovismo, ossia di un lessico che non si serve di parole nuove
ma che preferisce rovesciare il senso delle parole vecchie; un lessico
enantiosemico, per cui quando si dice una parola si deve intendere il suo
contrario, come nel caso del “federalismo” che nel linguaggio leghista è
servito ad indicare l‟idea di separazione, di secessione e non di una diversa
unità. In questo particolare caso il mutamento del significato delle parole è
indotto, creando un quadro concettuale-politico completamente diverso, in
cui è necessario ridefinire tutta una serie di significati.
9
1. Il linguaggio nella vita pubblica
1.1 Il campo della comunicazione politica
Nell‟era della comunicazione di massa e della videopolitica
always on, qualsiasi uomo comune è in grado di decodificare il
concetto di “comunicazione politica” seppur con diverse
sfumature e con significati non del tutto univoci.
Questa espressione che consta di due vocaboli piuttosto usuali,
tende ad evocare una certa reciprocità tra la sfera della
comunicazione di massa da una parte (riferita ai diversi
medium) e quella della politica (con le sue diverse strutture
interne) dall‟altra. Questo tipo di comunicazione si serve del
linguaggio politico a cui appartiene una precisa forma-funzione
volta a produrre effetti sulle decisioni pubbliche e sugli
atteggiamenti degli elettori. Tuttavia, dietro questa apparente
semplicità, vi è un discorso più ampio che rende questo campo
di studi “un settore dagli incerti confini
3”
: la comunicazione
politica abbraccia diversi ambiti come la sociologia,
l‟antropologia, la retorica, la scienza della politica, la semiotica
e moltissime altre scienze sociali. Si tratta di un‟ espressione
polisemica che si riferisce a diversi fenomeni attuali e di facile
fruizione come il giornalismo politico, talk show televisivi,
tribune e spot elettorali, sondaggi. Ognuno di questi generi,
seppur con le proprie caratteristiche distintive, rientra a pieno
titolo nel campo della comunicazione politica.
Nello spazio pubblico in cui agisce la comunicazione politica,
rientrano in larga parte – ma non esclusivamente – i mass
media, a fianco dell‟azione dialogica degli altri due ambiti
imprescindibili: quello della politica e quello dei cittadini.
3
G. Mazzoleni, La comunicazione politica, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 11
10
Possiamo intendere la comunicazione politica come un sistema
di relazioni dinamiche tra tre attori:
- Sistema politico
- Sistema dei media
- Cittadino-elettore
4
Da queste categorizzazioni derivano diversi modelli della
comunicazione politica. Senza entrare nel merito delle
peculiarità dei singoli modelli, possiamo sintetizzare che
all‟interno di quella che definiamo comunicazione politica
entrano in gioco questi tre attori che dialogano instaurando
continui flussi di comunicazione in questo senso:
- dal sistema politico al cittadino-elettore
- dal cittadino-elettore al sistema politico
- dal sistema dei media al sistema politico
- dal sistema dei media al cittadino-elettore
- dal cittadino-elettore al sistema dei media
Le figure 1.1 e 1.2 riguardano rispettivamente il modello
pubblicistico-dialogico e quello mediatico.
4
Per definizioni e ulteriori approfondimenti, G. Mazzoleni, La
comunicazione politica, cit., p.24
11
Figura 1.1
5
5
Figura 1.1 Modello pubblicistico-dialogico: Gli attori dello spazio
pubblico sono istituzioni politiche, mass media, cittadini. Le istituzioni
politiche (P) (governo, partiti, leader o candidati nelle elezioni)
interagiscono con i cittadini (C) e questi con le istituzioni politiche. Dalla
comunicazione (P/C) nasce lo spazio condiviso (a).
Dalla comunicazione del sistema politico (P) con il sistema dei media (M)
nasce lo spazio comunicativo (b).
I media a loro volta si relazionano anche con (C) in uno spazio
comunicativo di tipo informativo (c). I tre spazi comunicativi a, b,c,
costituiscono la comunicazione politica. Lo spazio (d) creato dalla
sovrapposizione di a, b, c costituisce invece la comunicazione politica
mediatizzata. G. Mazzoleni, La comunicazione politica, cit. pp.20-23
12
Figura 1.2
6
1.2 Dalla retorica alla videopolitica
L‟essere umano ha cercato di persuadere i propri simili da
quando è stato in possesso di una qualsiasi primitiva forma di
linguaggio, ma di retorica si può parlare solo quando essa
nasce con l‟aspetto e la struttura di una tecnica conscia dei
propri mezzi e dei propri fini: questo avviene nell‟antica
Grecia. L‟esordio della storia della comunicazione politica
6
Figura 1.2 Modello Mediatico. La figura rappresenta la funzione inclusiva
dei media: i soggetti politici (P), ossia le istituzioni, le forze politiche, i
leader e i candidati, comunicano tra di loro con i cittadini elettori (C) e
viceversa in un contesto mediale (M). Questo modello che possiamo
definire mediatico presuppone che la comunicazione politica tra i tre attori
si verifichi all‟interno dello spazio pubblico mediatizzato.
Sotto questo profilo la comunicazione politica è il prodotto dell‟interazione
e della competizione tra i diversi attori nello spazio pubblico mediatizzato.
La mediatizzazione della politica non è soltanto ricorso massiccio ai media
ma un processo che modifica le forme e la sostanza della comunicazione tra
i due attori. G. Mazzoleni, La comunicazione politica, cit., pp.20-23
13
infatti, avviene nel momento in cui la filosofia greca inizia a
produrre riflessioni sul concetto di potere e di democrazia: per
la prima volta si tocca il problema della comunicazione tra
membri della vita pubblica ed i cittadini che compongono la
polis. Platone e Aristotele, pur non usando mai il termine
comunicazione, dibattevano sull‟effetto del discorso
persuasorio sul pubblico. Come emerge dai dialoghi de Il
Gorgia, Platone aveva un atteggiamento critico verso le arti di
persuasione, definendo il linguaggio come una pura
espressione di passioni dall‟effetto drogante, poiché le parole
riescono ad eccitare la collettività. Se dunque in un‟assemblea
ci fosse stato un retore manipolatore accanto ad un
interlocutore competente, avrebbe avuto la meglio il
manipolatore perché “il retore è capace di affrontare a parole
chiunque e su qualsiasi argomento: persuade una folla di tutto
quel che vuole lui, in breve tempo
7
”. Per rimediare a questa
situazione Platone propone l‟espulsione della doxa (opinione)
dal campo della politica, auspicando un rigore sistematico e un
governo dei Re-Filosofi, definendo la politica la sfera della
verità. Diverso è l‟approccio di Aristotele che pone la retorica
alla base della sfera politica: i problemi derivanti dalla vita
pubblica devono essere risolti deliberando intorno a più
posizioni, vedendo nella politica l‟elemento della possibilità,
del preferibile. Politica e logica, secondo Aristotele,
differiscono per il carattere flessibile della prima rispetto alla
seconda: il preferibile, riferito alla politica, sarebbe la scelta tra
i diversi punti di vista espressi mediante discorso.
Tramite la retorica si può argomentare, tramite la logica si può
solo dimostrare. Il carattere mutevole e dinamico della politica
è assicurato dalla funzione della retorica, intesa come buona
7
Platone, Gorgia, 457° , citato in O. Reboul, Introduzione alla retorica, Il
Mulino, Bologna, 1996, p.32
14
argomentazione in un dibattito pubblico e che differisce
dall‟eristica proprio per la sua sana competizione. Per “eristica”
si intende quella serie di stratagemmi linguistici che
Schopenhauer definisce “l‟arte di ottenere ragione” a
prescindere dalla verità o dalla falsità dell‟oggetto preso in
causa
8
. Aristotele stabilisce per primo il dominio della retorica,
che non è quello della pura verità ma quello delle opinioni e del
verosimile: partendo da queste premesse il filosofo giunge a
dare un ruolo specifico alla retorica, di cui sintetizzerà la
tecnica secondo regole ben precise, come l‟elaborazione delle
tre celebri coordinate del discorso: ethos, pathos, logos.
Intanto la dottrina aristotelica, che rimarrà la base di ogni
futura retorica, si trasferisce a Roma come conseguenza del più
generale trasferimento di potere e troverà in Cicerone prima e
Quintiliano poi, due eccezionali divulgatori che, formalizzando
ulteriormente il sistema di Aristotele, sottolineano della
retorica soprattutto la qualità di necessario strumento
dell‟uomo colto. Inoltre le numerose elezioni tenutesi a Roma
e nelle province sotto diretto controllo in epoca repubblicana,
hanno spinto all‟elaborazione di accurate tecniche di
comunicazione nelle campagne elettorali, sfruttando sia le
regole della retorica greca che le arti persuasive di tipo
clientelare, care alla tradizione romana. La celebre lettera dal
fratello a Cicerone che si presentava come candidato,
rappresenta una serie di consigli e suggerimenti su come
convincere gli elettori, anticipando in un certo senso le tecniche
di marketing politico formalizzate dagli scienziati della
comunicazione del XX secolo
9
.
8
A. Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione, a cura e con un saggio di
Franco Volpi, Adelphi, Milano 2006
9
M. Vecchia, Persuasione, retorica, pubblicità, da Corace a Perelman:
Brevissima storia della Retorica in Hapù, manuale di tecnica della
comunicazione pubblicitaria, Lupetti, Milano, 2003, pp.217-220
15
Conclusa il periodo repubblicano di Roma la democrazia
elettorale subisce una battuta d‟arresto piuttosto lunga ma per
quanto riguarda la retorica come arte di persuasione possiamo
osservare come l‟epoca medievale, in particolar modo nella
cultura cristiana, essa venne pienamente accettata come arma
utile alla predicazione. La fondamentale differenza rispetto alla
retorica classica è la negazione del verosimile in favore del
vero assoluto: le premesse di fede erano vere e in quanto tali il
compito del retore non era individuare “che cosa” dire, ma
piuttosto “come” dirlo, con l‟obbiettivo di persuadere un
uditorio di destinatari da convertire o da confermare nella fede.
Su questa strada proseguirà anche il Rinascimento, nonostante
la riscoperta dei testi classici. Machiavelli ad esempio
auspicava il sistematico controllo e un forte grado di
manipolazione della cultura e dell‟informazione ne “Il
Principe”. Machiavelli dirà che il politico non deve “essere”
ma “sembrare”, stabilendo la natura ambigua della politica.
Quest‟ultima non deve essere limpida: il dialogo e tutto ciò che
riguarda la trasparenza non sarebbero ottimali per l‟agire
politico.
Dai razionalisti Descartes e Leibniz fino al romantico Victor
Hugo si registra invece una progressiva segregazione della
retorica in ambiti sempre più ristretti: per lo più viene
assimilata come arte del mentire o come disciplina spregiativa
che allude a discorsi tanto pomposi quanto vuoti di sostanza,
estremamente patetici ma privi di un concreto significato
10
.
Il XIX sarà il secolo di grandi sommovimenti, del ritorno alle
grandi passioni politiche e il secolo di enormi cambiamenti sul
piano socioculturale. Si costituiscono le prime libere elezioni,
seppur senza suffragio universale, che faranno da pilastro alle
nuove grandi democrazie di massa.
10
Ibidem