Il governo e i partiti italiani di fronte alla guerra del Golfo
Questa tesi descrive il dibattito politico italiano sui fatti del Golfo dal 2 agosto 1990 alla fine della guerra, marzo 1991. Questo argomento non è stato mai studiato a fondo; in proposito c’è poco più del saggio di Mark Donovan, “Il pacifismo cattolico e la guerra del Golfo”.
Ho deciso di dividere il periodo da analizzare in tre parti, seguendo i tre momenti di rottura che hanno determinato le azioni della comunità internazionale e dell’Italia, cioè: l’invasione del Kuwait, 2 agosto 1990; la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che autorizza l’uso della forza, 29 novembre 1990; la guerra del Golfo, 17 gennaio 1991 – 3 marzo 1991.
Il primo periodo è una fase di studio, si cerca di capire fino a che punto Saddam Hussein è disposto a reggere l’occupazione e si tratta per il ripristino dello status quo con mezzi diplomatici. Nel secondo periodo si prepara la guerra, sebbene tutti i canali diplomatici fossero ancora aperti, perchè è chiaro che l’Iraq non ritornerà sui suoi passi.
In Italia tutti i partiti deplorano l’invasione irachena e dicono di volersi affidare all’ONU, salvo poi dividersi proprio sull’ONU. Anche nel primo periodo infatti la sinistra non governativa si schiera contro le mozioni del governo, che erano il derivato delle decisioni della comunità europea (che presiedeva) e delle Nazioni Unite.
Il peso dell’Italia sullo scacchiere internazionale non era così rilevante da poter influenzare le strategie dei grandi attori, quindi il governo si uniformò sempre alle decisioni della comunità internazionale. Nel pentapartito c’era una sostanziale unità d’intenti, ma i partiti laici avrebbero voluto un’Italia più impegnata militarmente. La democrazia cristiana dovette combattere contro la sua vocazione neutralista, prodotta dalla passata politica filo-araba e dalle influenze del Vaticano (schierato su posizioni ontologicamente pacifiste); da qui nacquero gli attriti con gli altri alleati. Il pentapartito non interpretò le scelte politiche della guerra del Golfo come un mero argomento di polemica interna, ma come un importante passo per l’Italia nella nuova era delle relazioni internazionali apertasi con la crisi dei regimi comunisti dell’Europa Orientale, anche se l’URSS non si era ancora dissolta.
La sinistra non governativa, dopo aver condannato l’invasione e auspicato l’intervento dell’ONU, si dichiarò contraria prima al blocco militare poi alla guerra, sancita proprio dal consiglio di sicurezza. Questa scelta era data principalmente dal desiderio di assecondare una base elettorale pacifista, ostile agli Stati Uniti, in un momento in cui il passaggio da PCI a PDS aveva accentuato la crisi di consenso nella sinistra comunista. Questo atteggiamento, se da un lato impedì una grande frattura all’interno del nuovo soggetto politico (PDS), dall’altro contribuì a menomarne la vocazione riformista utilizzando punti di riferimento in politica estera legati per lo più a un panorama, tipico della guerra fredda, ormai superato definitivamente.
Di fatto i partiti della maggioranza di governo acconsentirono alla guerra e anche a una limitata partecipazione, mentre i partiti di opposizione, eccetto il MSI e i radicali, furono fortemente contrari ad ogni azione che prevedesse l’uso della forza militare, anche se autorizzato dalle Nazioni Unite.
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Informazioni tesi
Autore: | Eugenio Di Pasquale |
Tipo: | Tesi di Laurea |
Anno: | 2002-03 |
Università: | Università degli Studi di Firenze |
Facoltà: | Scienze Politiche |
Corso: | Scienze Politiche |
Relatore: | Luigi Lotti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 142 |
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