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La riforma elettorale del centro destra

La modifica del sistema elettorale rappresenta un evento politicamente rilevante, tanto più in Italia dove ciò si è sempre verificato in contesti straordinari. Come è noto, dal tentativo degasperiano del 1953 non sono più state possibili modifiche fino al 1993, quando ciò è avvenuto, per l’appunto, solo in seguito ad eventi tali da causare una vera e propria crisi di regime.
Nel tempo, il sistema “maggioritario” adottato nel 1993 ha attirato da più parti numerose critiche ed ha stentato a trovare difensori, ma fino al 2005 non ha subito modifiche d’alcun genere, restando inalterato all’avvicendarsi al governo delle diverse parti politiche. Questo nuovo sistema elettorale, introdotto con la legge 270/2005, ha a sua volta animato il dibattito politico per vari motivi, e volendone fare un’analisi attenta è giusto partire dagli aspetti preliminari, ossia quelli riguardanti le modalità con le quali è stato approvato. Il governo ha presentato questa legge come un approdo a un sistema che consente di dare con certezza il potere esclusivamente a chi prende più voti, un sistema che mediante il premio di maggioranza assicura la governabilità e la stabilità, e al tempo stesso salvaguarda le identità storiche e culturali dei partiti.

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2 CAPITOLO 1 I sistemi elettorali italiani L’esigenza di dotarsi di un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale si manifestò all’indomani del secondo conflitto mondiale, anche per l’elezione della stessa assemblea costituente. Tale decisione ovviamente era frutto del particolare momento storico e delle caratteristiche del sistema partitico italiano, e rifletteva l’esigenza di garantire un ruolo certo a tutti gli attori politici, sia nella fase costituente sia nella fase dell’attuazione concreta dei principi costituzionali. Già con il quarto governo De Gasperi, però, si chiuse l’unità resistenziale e sul finire del 1947 iniziò la rigida contrapposizione tra Pci e Dc, tra comunismo e anticomunismo, mentre sullo sfondo prendeva forma la guerra fredda. La situazione politica era fortemente polarizzata attorno ai due grandi partiti di massa: il Partito comunista (il più grande Partito comunista del mondo occidentale), per molti versi legato all’URSS, e la Democrazia cristiana, un grande partito di stampo confessionale legato per tanti aspetti alle gerarchie della Chiesa; il tutto in un quadro politico frammentato, con un elevato numero di partiti. In una situazione di così forti tensioni politiche v’era il problema di assicurare la coesistenza pacifica delle varie forze. Anche per questi motivi si adottò una legge elettorale proporzionale che funzionò come un sedativo della lotta politica, riconoscendo a tutte le forze in campo una rappresentanza parlamentare, evitando le drammatiche spaccature d’uno scontro frontale che sarebbero potute derivare dall’introduzione di un sistema maggioritario. L’elettore aveva la possibilità di votare per un partito e di esprimere la preferenza per un numero variabile di candidati (secondo l’estensione della circoscrizione) facenti parte della lista prescelta. Le circoscrizioni erano abbastanza grandi: infatti, se i 32 collegi plurinominali mediamente eleggevano circa una ventina di deputati, vi erano poi le circoscrizioni delle grandi città, come Roma e Milano, che arrivavano ad eleggere circa cinquanta deputati. Nell'ambito di ciascun collegio i seggi

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