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Parole e immagini del razzismo in Italia oggi

L'Italia è erroneamente considerata un paese immune dal germe razzista. In realtà, il razzismo era ed è presente nel nostro Paese, affonda le sue radici nel periodo pre-unitario e si perpetua fino ad oggi. Purtroppo, l’immagine degli “italiani brava gente”, consolidata da una analisi storica che tende a rafforzare tale visione minimizzando le pratiche razziste che hanno avuto in Italia un suolo fertile su cui crescere, è entrata a far parte del senso comune, in virtù del fatto che “un passato immacolato produce la rappresentazione di un presente armonico”[1].
Ecco che allora, prima di parlare delle parole e delle immagini del razzismo in Italia oggi, ho ritenuto necessario in primo luogo definire quello di cui stiamo parlando, il razzismo appunto, poi sono passata a delineare, seppur brevemente, la “storia” della discriminazione razziale nel nostro Paese, gettando delle basi utili a fondare un discorso circa il ruolo e lo stato di salute del razzismo di oggi.
Per svolgere la mia ricerca sul razzismo contemporaneo ho sottoposto ad un campione di studenti liceali il questionario[2] che ho personalmente ''reso contemporaneo'', poiché realizzato originariamente nel 1997 nell'ambito di un indagine sul pregiudizio razziale rivolta alle scuole superiori della provincia di Torino che aderivano all'iniziativa proposta dal Cesedi (centro servizi didattici) dell'Assessorato all'Istruzione della Provincia di Torino su «Il pregiudizio razziale nella storia contemporanea».
Lungi dal pretendere di avere un valore universale, le risposte ai questionari mi sono servite come una cartina torna sole che, più che scoprire, conferma una tendenza ormai consolidata in Italia.
Infatti il razzismo, oltre ad essere un qualcosa di congenito alla modernità, si nutre e rafforza attraverso l’uso di certi termini “razzizzanti”, i quali contribuiscono a formare un immaginario comune che vede negli “altri” una minaccia concreta, reale.
Ma se la paura, il timore e l’incertezza sono sentimenti ineliminabili nell’uomo moderno, e la politica (certa politica) spesso si riduce ad essere un fattore di accentuazione di tali sentimenti, quello che preoccupa è il ruolo dei mezzi d’informazione che, a causa della loro forza persuasiva, sedimentano un senso comune popolato da ansie, crimini e insicurezza i cui colpevoli sarebbero i migranti.
Ho ritenuto necessario, quindi, dedicare l’ultima parte di questo lavoro alle parole veicolate dai mass-media che sono entrate nel gergo comune. Il ruolo dei questionari, come dicevo, è quello di verificare se tali parole razzizzanti hanno realmente invaso il nostro linguaggio.
NOTE-
[1]Alberto Burgio, “Nonostante Auschwitz. Il «ritorno» del razzismo in Europa.”, DeriveApprodi, Roma, 2010, p.110.
[2]Segnalatomi nel saggio “Le parole del razzismo: riflessioni su percorsi di storia dell'intolleranza e del razzismo” di Marcella Filippa, Contenuto nel libro di A. Burgio “Nel nome della razza” Il razzismo nella storia d'Italia 1870-1945, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 541.

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“Che cos'è questa nozione di evidenza, questo «dato di natura»? Semplicemente un fatto storico, un fatto sociale. Intendo l'idea di razza: la credenza che questa categoria sia un fenomeno materiale. Ecco una formazione intellettuale eterogenea, con un piede nelle scienze naturali, l'altro nelle scienze sociali; da un lato un insieme di caratteri somatici o fisiologici, insomma la razza quale la concepiscono gli antropologi fisici o i biologi, dall'altro un insieme di caratteri sociali, che connotano un gruppo – ma un gruppo sociale di tipo particolare: un gruppo percepito come naturale, un gruppo di esseri umani considerato materialmente specifico del suo corpo”. Colette Guillaumi, “ Sexe, Race et Pratique du pouvoir. L'idée de Nature ” 1 . 1 Alberto Burgio, “ La guerra delle razze ”, Manifestolibri, Roma, 2001, pp. 92-3. 4

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