“Che cos'è questa nozione di evidenza, questo «dato di natura»? Semplicemente
un fatto storico, un fatto sociale. Intendo l'idea di razza: la credenza che questa
categoria sia un fenomeno materiale. Ecco una formazione intellettuale
eterogenea, con un piede nelle scienze naturali, l'altro nelle scienze sociali; da un
lato un insieme di caratteri somatici o fisiologici, insomma la razza quale la
concepiscono gli antropologi fisici o i biologi, dall'altro un insieme di caratteri
sociali, che connotano un gruppo – ma un gruppo sociale di tipo particolare: un
gruppo percepito come naturale, un gruppo di esseri umani considerato
materialmente specifico del suo corpo”.
Colette Guillaumi, “ Sexe, Race et Pratique du pouvoir. L'idée de Nature ” 1
.
1 Alberto Burgio, “ La guerra delle razze ”, Manifestolibri, Roma, 2001, pp. 92-3.
4
Introduzione.
L'Italia è erroneamente considerata un paese immune dal germe razzista. In realtà,
il razzismo era ed è presente nel nostro Paese, affonda le sue radici nel periodo
pre-unitario e si perpetua fino ad oggi. Purtroppo, l’immagine degli “italiani brava
gente”, consolidata da una analisi storica che tende a rafforzare tale visione
minimizzando le pratiche razziste che hanno avuto in Italia un suolo fertile su cui
crescere, è entrata a far parte del senso comune, in virtù del fatto che “un passato
immacolato produce la rappresentazione di un presente armonico” 2
.
Ecco che allora, prima di parlare delle parole e delle immagini del razzismo in
Italia oggi, ho ritenuto necessario in primo luogo definire quello di cui stiamo
parlando, il razzismo appunto, poi sono passata a delineare, seppur brevemente, la
“storia” della discriminazione razziale nel nostro Paese, gettando delle basi utili a
fondare un discorso circa il ruolo e lo stato di salute del razzismo di oggi.
Per svolgere la mia ricerca sul razzismo contemporaneo ho sottoposto ad un
campione di studenti liceali il questionario 3
che ho personalmente ''reso
contemporaneo'', poiché realizzato originariamente nel 1997 nell'ambito di un
indagine sul pregiudizio razziale rivolta alle scuole superiori della provincia di
Torino che aderivano all'iniziativa proposta dal Cesedi (centro servizi didattici)
dell'Assessorato all'Istruzione della Provincia di Torino su « Il pregiudizio razziale
nella storia contemporanea » .
Lungi dal pretendere di avere un valore universale, le risposte ai questionari mi
sono servite come una cartina torna sole che, più che scoprire, conferma una
tendenza ormai consolidata in Italia.
2 Albero Burgio, “ Nonostante Auschwitz. Il «ritorno» del razzismo in Europa.” , DeriveApprodi,
Roma, 2010, p.110.
3 Segnalatomi nel saggio “ Le parole del razzismo: riflessioni su percorsi di storia dell'intolleranza
e del razzismo ” di Marcella Filippa, Contenuto nel libro di A. Burgio “ Nel nome della razza” Il
razzismo nella storia d'Italia 1870-1945 , Bologna, Il Mulino, 1999, p. 541.
5
Infatti il razzismo, oltre ad essere un qualcosa di congenito alla modernità, si nutre
e rafforza attraverso l’uso di certi termini “razzizzanti”, i quali contribuiscono a
formare un immaginario comune che vede negli “altri” una minaccia concreta,
reale.
Ma se la paura, il timore e l’incertezza sono sentimenti ineliminabili nell’uomo
moderno, e la politica (certa politica) spesso si riduce ad essere un fattore di
accentuazione di tali sentimenti, quello che preoccupa è il ruolo dei mezzi
d’informazione che, a causa della loro forza persuasiva, sedimentano un senso
comune popolato da ansie, crimini e insicurezza i cui colpevoli sarebbero i
migranti.
Ho ritenuto necessario, quindi, dedicare l’ultima parte di questo lavoro alle parole
veicolate dai mass-media che sono entrate nel gergo comune. Il ruolo dei
questionari, come dicevo, è quello di verificare se tali parole razzizzanti hanno
realmente invaso il nostro linguaggio.
6
1 – Razzismo oggi.
Sulla tematica del razzismo la bibliografia è sterminata. In tanti hanno cercato di
definire il razzismo e nonostante gli innumerevoli tentativi, non esiste ancora una
definizione universale e condivisa. La difficoltà di una definizione statica,
immobile di razzismo, deriva dalla natura stessa del fenomeno: il razzismo cambia
le sue vesti col tempo perché è un fenomeno storico, si adatta all'epoca in cui
opera; è un camaleonte che, pur mantenendo invariata la sua natura, muta il colore
della sua pelle per adattarsi all'ambiente che lo circonda. Le sue componenti sono
sempre le stesse, ma si manifestano in maniera differente. Oggi non ci sono più i
campi di sterminio, ma sono ugualmente presenti le sue componenti quali la
violenza e l'oppressione.
In questo primo capitolo tento di fornire una definizione di razzismo, che non
vuole assolutamente essere esaustiva ma semplicemente utile alla mia ricerca.
Prima di definire il razzismo, è necessario analizzare le sue definizioni, il suo
utilizzo nel senso comune, la sua logica, ma soprattutto la sua “data di nascita”,
per capire quali sono le ragioni per le quali è ancora presente tra noi oggi,
nonostante la Shoah.
7
1.1 – Interpretare il razzismo.
Che cosa è il razzismo? Per rispondere a questa domanda, come farebbe chiunque,
apriamo l'enciclopedia Zanichelli 4
e consultiamo il lemma razzismo. Leggiamo:
« il razzismo è la teoria che esalta le qualità superiori di una razza umana e
afferma la necessità di conservarla pura da ogni commistione con altre razze,
respingendo queste o tenendole in uno stato di inferiorità » . Pare proprio che il
razzismo si costruisca sul concetto di razza! A questo punto, vien da sé consultare
il lemma razza. L'enciclopedia
definisce la « razza » in generale, come « l'insieme
degli individui di una specie animale o vegetale che si differenziano dagli altri
gruppi della stessa specie per uno o più caratteri costanti e trasmissibili ai
discendenti » e specificatamente per quel che riguarda la specie umana la definisce
come: « una suddivisione degli abitanti della terra secondo determinati caratteri
fisici, tipici di ogni gruppo » . Subito dopo l'enciclopedia precisa l'insostenibilità
scientifica del concetto di razza riferito agli esseri umani. Grazie agli studi di
genetica delle popolazioni, effettuati a partire dal secondo dopoguerra, sappiamo
che le diversità somatiche (quali il colore della pelle, le dimensioni del corpo,
ecc.) e culturali oggi riscontrabili “sono quasi tutte dovute alle differenze
climatiche che sono state incontrate dagli uomini durante l'espansione nel mondo
intero, a partire dalla regione d'origine, l'Africa” 5
. Un altro fattore rilevante è che
il razzismo, come si è detto, pretende che le razze siano mantenute pure. Da
tempo i risultati delle ricerche genetiche dimostrano come il concetto di razza
pura, applicato all'uomo, sia inesistente, impossibile e assolutamente
indesiderabile:
“per ottenere una « purezza » , cioè un'omogeneità genetica (che comunque non
sarebbe mai completa negli animali superiori), si dovrebbero incrociare per molte
generazioni (una ventina almeno) parenti molto stretti,come fratello e sorella, o
4 La Zanichelli. Grande Enciclopedia di arti,Scienze, Tecniche, Lettere, Storia, Filosofia,
Geografia, musica, diritto, Economia, Sport e Spettacolo , a cura di Edigeo, Zanichelli, Bologna
2007.
5 Luigi Luca Cavalli Sforza, “ Geni, popoli e lingue ”, Adelphi, Milano, 1996, p. 27.
8
genitori e figli. Ciò avrebbe conseguenze assai negative sulla fecondità e la salute
dei figli” 6
. Inoltre, è stato scoperto che la variazione genetica è “sempre grande in
qualunque gruppo, sia esso quello di un continente, una regione, una città o un
villaggio, ed è più grande di quella che si trova fra continenti, regioni, città o
villaggi” 7 .
In definitiva il razzismo poggia su un concetto (quello di razza),
scientificamente infondato e di conseguenza le gerarchie antropologiche che il
razzismo elabora non sono legittime.
Ma non possiamo definire il razzismo basandoci soltanto su ciò che riporta
un'enciclopedia! Converrà appellarsi anche all'uso comune del termine. Come
sottolinea Alberto Burgio, vi è un conflitto d'interpretazione del razzismo interno
al senso comune che non permette una concettualizzazione coerente del termine.
Notiamo che per un verso il senso comune abbraccia le definizioni di razza e
razzismo riportate nell'enciclopedia (definendo il razzismo come perverso
atteggiamento nei confronti della diversità razziale, accettando in questo modo l'
esistenza delle razze umane come realtà di fatto, senza accorgersi immediatamente
che in questa interpretazione le cose non vanno); per l'altro ci accorgiamo che
l'idea di razzismo viene comunemente utilizzata in relazione a processi che non
hanno nulla a che fare con l'impostazione che l'enciclopedia dà al problema.
Quando, per citare un esempio tra i tanti, parliamo di razzismo in relazione a
conflitti nazionali come quello tra israeliani e palestinesi, o del razzismo
antimeridionale o quello antislavo nella vicenda italiana, non ci appelliamo affatto
a caratteri fisici trasmissibili di generazione in generazione, come vorrebbe la
definizione di razza fornita dall'enciclopedia. Qui si pone un problema di grande
rilievo:
“Occorre chiedersi se si tratti di un uso metaforico del termine razzismo; o se non
si tratti invece di un uso che denota la percezione in tutti questi fenomeni – che,
pure, non hanno nulla a che vedere con elementi che l'enciclopedia citata pone a
6 Ibidem, p.32.
7 Ibidem, p.33.
9
fondamento delle proprie definizioni – la percezione, dicevo, di un tema
concettuale e di una sequenza logica effettivamente connessi al razzismo” 8
.
L'enciclopedia, infatti, ammette “l'esistenza della razza quando esistono
caratteristiche fisiche visibili, dopo di che il razzismo si costruisce sopra la sua
mitologia, caricando di valori positivi o negativi questi gruppi umani” 9
.
Evidentemente qui sussiste un problema. “Non credo che sarebbe giusto sostenere
che quando parliamo di razzismo anti-irlandese, antimeridionale, antisemita,
impieghiamo l'idea di razza come una semplice metafora. Penso invece che questo
modo di usare l'idea di razzismo, proprio dal punto di vista scientifico, veicoli
molta più verità che non il primo modo di ragionare, che sembrava molto più
prudente e concreto. Questo perché? Perché in realtà il razzismo non presuppone
mai l'esistenza di una razza. Non è mai un discorso che prende avvio dall'esistenza
di razze diverse 10”.
È necessario, dunque ribaltare l'impostazione “tradizionale”
fornitaci dall'enciclopedia Zanichelli, e tenere conto della dimensione produttiva
del razzismo. “Non sono le razze a creare il razzismo, è il razzismo che crea le
razze” 11
. Il razzismo produce, inventa le razze e per farlo non ha assolutamente
bisogno di differenze fisiche alle quali ancorarsi 12
, semplicemente le inventa.
Appelliamoci alla storia. Pensiamo a quando noi italiani negli Stati Uniti
venivamo considerati «gente di colore», nonostante l'effettivo colore della nostra
pelle : “ come attesta una sentenza giudiziaria che nel 1922 assolse un nero
8 Alberto Burgio, “ La guerra delle razze ”, Manifestolibri, Roma, 2001, p. 58.
9 Ibidem, pp., 58-9.
10 Ibidem, p. 59.
11 Confederazione Svizzera. Commissione federale contro il razzismo .
www.ekr.admin.ch/themen/00023/index.html?lang=it 12 Nel caso in cui le differenze fisiche siano presenti, il razzismo sfrutta queste divergenze fisiche,
approfittando di circostanze casuali. È necessario comprendere che “la enorme sovrastruttura
ideologica costruita sui colori della pelle (l'idea, per fare solo l'esempio più ovvio, che nella pelle
nera si rifletta una maledizione) sia secondaria ad altre ragioni che di per sé non hanno bisogno
della pelle o di altri caratteri fisici e che di tali caratteri fisici si limitano a sfruttare l'eventuale
presenza. In questo senso è un caso che il razzismo contro gli schiavi sia anche un razzismo contro
i neri. E in questo senso, mentre tutti i non razzisti sanno bene che a dispetto di Voltaire – non è
vero che si sia schiavi perché neri , bisogna anche sapere dire con chiarezza che si è neri (cioè: si è
visti come neri, individuati in quanto neri) perché si è schiavi.” A. Burgio, “ La guerra delle razze ”,
p. 63.
10
dall'accusa di stupro in quanto la vittima della violenza era italiana, quindi non
bianca” 13
. Il razzismo inventa (qualora non fossero presenti) differenze esteriori,
inventa i corpi, per riconoscere il “diverso”. Le divergenze fisiche , i corpi sono il
simbolo , il segno esteriore della differenza interna morale (spirituale, intellettuale)
che è il fondamento del razzismo. Il razzismo, quindi, non può fare a meno del
nesso psico-fisico. Già la teoria climatica 14
affermava che il corpo è specchio
dell'anima, essa, infatti:
“assumeva come principio quello che sarebbe diventato un presupposto ricorrente
in diverse forme di teoria della razza: che le affezioni naturali - per dirla con
Aristotele – trasformano simultaneamente il corpo e l'anima; con il corollario (non
da tutti ammesso, per la verità) che è quindi possibile giudicare l'anima dalla
struttura del corpo” 15 .
Dunque la «razza» edificata dal razzismo:
“è individuata in base a (presunte) caratteristiche psico-fisiche «naturali» e quindi
(come sottolineato anche dalle voci enciclopediche) trasmissibili per via
ereditaria. […] le ideologie razziste sono teorie essenzialiste (o fissiste) e
deterministe, nel senso che, appunto, individuano una (presunta) essenza
invariabile («naturale») del gruppo umano che rappresentano come «razza», e che
13 Albero Burgio, “ Nonostante Auschwitz. Il «ritorno» del razzismo in Europa.” , DeriveApprodi,
Roma, 2010, p.28.
14 La teoria climatica indicava nell'influenza esercitata dall'ambiente circostante la causa
dell'eterogeneità caratteriale, intellettiva e fisica presente tra gli uomini. Essa fu una delle prime
risposte fornite dall'uomo alla diversità presenti tra gli esseri umani. Tale concezione medico –
filosofica, da Ippocrate e Aristotele, da Tolomeo e Galeno fu ereditata dalla cultura scolastica
medievale, si offrì al Cinquecento come chiave interpretativa di fronte al nuovo scenario che
rivelavano le scoperte geografiche e fu condivisa, tra gli altri, dal filosofo giurista Jean Bodin, il
medico spagnolo Juàn Huarte, che sviluppo la teoria climatica in direzione materialistica , la cui
interpretazione si propagherà nelle correnti libertine del Seicento e verrà ancora utilizzata nel
secolo dei lumi. La grande espansione della teoria è dovuta anche all'immenso vantaggio che
donava: riconduceva tutte le varietà umane a modificazioni accidentali di un unico prototipo,
permettendo così di mantenere valida la tesi biblica monogenista della creazione, secondo la quale
l'umanità intera discende da un ceppo comune (Adamo ed Eva).
15 Giuliano Gliozzi, “ Le teorie della razza nell'età moderna ”, Loescher, Torino, 1986, p. 12.
11
considerano tale essenza un presupposto determinante il modo di pensare e di
comportarsi dei membri della «razza» stessa” 16
.
Deduciamo che: in primo luogo, in assenza di un nucleo di presunti caratteri
invarianti e trasmissibili, non vi è «razza», in secondo luogo i caratteri invarianti
di ogni razza attengono sia all'elemento fisico (somatico) che a quello psichico
(intellettuale e/o morale). Ogni «razza» ha un suo peculiare nesso psico-fisico, “in
forza del quale a ciascun fenotipo corrispondono immancabilmente precise
attitudini e propensioni, destinate a tradursi in conseguenti comportamenti” 17
.
Intorno alla metà del Settecento, Johann Joachim Winckelmann, il fondatore
dell'estetica classicistica, disse:
“ Per ciò che riguarda la figura esterna, basta aver occhi per vedere, per così dire,
effigiati sul viso degli abitanti l'anima e il carattere di una nazione” 18
.
Lo storico dell'arte era convinto che tra gli esseri umani esistesse una scala
gerarchica di bellezza insita nei caratteri etnici al cui vertice stanno i popoli greci
e latini, fonte naturale dell'eccellenza dell'arte classica. Winckelmann stabiliva “un
netto parallelismo tra la bellezza fisiognomica e le virtù spirituali di un popolo da
suggerire la possibilità di compendiare nel criterio estetico tutte quelle note fisiche
e morali che una classificazione morfologica doveva prendere in considerazione.
Il riferimento a Winckelmann divenne pertanto un tòpos ricorrente nei trattati
scientifici” 19
. In questo clima si sviluppò la misurazione dell'angolo facciale 20
e
riemerse un forte interesse per la fisiognomica (l'arte di scoprire le virtù
dell'anima dall'analisi dei tratti del volto). Il salto dall'angolo facciale alla
conformazione del cranio era obbligato. Lo studio della forma cranica passò dal
16 Albero Burgio, “ Nonostante Auschwitz. Il «ritorno» del razzismo in Europa.” , DeriveApprodi,
Roma, 2010, p.45.
17 Ibidem, p.45.
18 Giuliano Gliozzi, “ Le teorie della razza nell'età moderna ”, Loescher, Torino, 1986, p. 225.
19 Ibidem, p. 184.
20 L'anatomista olandese Petrus Camper, elaborò la «teoria dell'angolo facciale» . Su questa teoria, il
medico e naturalista francese Jules-Joseph Virey , basò la sua classificazione delle specie umane.
12