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Democrazia e politica d'emancipazione

Ha senso oggi dirsi “democratici”? Cosa significa questo termine? Attualmente molti filosofi contemporanei tentano di rispondere a tali quesiti. Alcuni di loro concordano nel sostenere che il vocabolo in questione è malleabile e, dunque, può essere oggetto di spostamenti semantici.
La parola “democrazia”, infatti, nella nostra epoca è, come dice Alain Badiou, l'«emblema» con cui le potenze occidentali definiscono i propri Stati per differenziarsi da quei popoli che esse stesse considerano incivili. È in nome della “democrazia” che si fanno guerre, che si afferma l'ineluttabilità della globalizzazione, che il dominio oligarchico cerca di legittimarsi. Tuttavia per “democrazia” possiamo intendere tutt'altro. Essa è il potere del demos. Ma il demos non s'identifica con una parte determinata della società, è chiunque. In questa prospettiva la democrazia è un principio politico che sta alla base di ogni governo. Quindi il suddetto uso che se ne fa indica, in realtà, un processo di «de-democratizzazione». Tale è il paradosso della presente congiuntura storica: dietro lo sbandieramento del termine “democrazia” da parte delle classi dominanti, si assiste ad una “élitizzazione” delle dinamiche politiche.
Allora, se questo nome è un significante vuoto adatto a diversi usi, cosa ne dobbiamo fare? La risposta che gli autori presi in considerazione nella tesi, Jacques Rancière e Miguel Abensour, danno a tale domanda è che dobbiamo riprenderci e riattivare la democrazia per scoprirne la sua figura politica. O in altre parole, per ripensare, in un periodo ostile ad ogni pensiero rivoluzionario come il nostro, la politica d'emancipazione. Ma perché possiamo ripensare quest'ultima proprio attraverso la “democrazia”? Perché ad esempio non recuperare un vocabolo come “egualitarismo” che ha contraddistinto il pensiero rivoluzionario di tutti i tempi?
Come uscire da questo “pensiero unico”? Come ripensare la politica come politica d'emancipazione, e non come governance? Come mostrare la divisione, celata dalla “totalità” della globalizzazione capitalistica?

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Introduzione Ha senso oggi dirsi “democratici”? Cosa significa questo termine? Attualmente molti filosofi contemporanei tentano di rispondere a tali quesiti. Alcuni di loro, in particolare Daniel Bensa ï d, Wendy Brown, Jean-Luc Nancy, Kristin Ross, concordano nel sostenere che il vocabolo in questione è malleabile e, dunque, può essere oggetto di spostamenti semantici. La parola “democrazia”, infatti, nella nostra epoca è l'emblema con cui le potenze occidentali definiscono i propri Stati per differenziarsi da quei popoli che esse stesse considerano incivili. È in nome della “democrazia” che si fanno guerre, che si afferma l'ineluttabilità della globalizzazione, che il dominio oligarchico cerca di legittimarsi. Tuttavia per “democrazia” possiamo intendere tutt'altro. La democrazia è il potere del demos . Ma chi è il demos ? Esso non s'identifica con una parte determinata della società, è chiunque. In questa prospettiva la democrazia è un principio politico che sta alla base di ogni governo. Quindi il suddetto uso che si fa della democrazia indica un processo di « de-democratizzazione » 1 . Tale è il paradosso della presente congiuntura storica. Dietro lo sbandieramento del termine “democrazia” da parte delle classi dominanti, si assiste ad una “élitizzazione” delle dinamiche politiche, per cui una buona fetta della comunità viene scacciata fuori dalla sfera pubblico-politica attraverso la presunta “competenza” dei tecnocrati e il crescente bisogno di denaro che è necessario possedere per accedere alle competizioni elettorali. Allora, se questo nome è un significante vuoto adatto a diversi usi, cosa ne dobbiamo fare? La risposta che danno Jacques Rancière e Miguel Abensour a tale domanda è che dobbiamo riprenderci e riattivare la democrazia per scoprirne la sua figura politica. O in altre parole, per ripensare, in un periodo ostile ad ogni pensiero rivoluzionario come il nostro, la politica d'emancipazione. Per Rancière, infatti, ogni nozione politica può voler dire tante cose – diverse e persino opposte – perché è sempre l' « oggetto di una lotta » 2 . “Democrazia” è, pertanto, anch'essa una parola contesa. Per questo motivo, rileva l'autore del primo capitolo della nostra trattazione, il termine su cui stiamo ragionando è ambivalente. Ma perché proprio con “democrazia” possiamo ripensare la politica d'emancipazione? Perché ad esempio non riprendere un nome come “egualitarismo” che ha contraddistinto il pensiero 1 W. Brown, Oggi siamo tutti democratici... , in AA.VV., In che stato è la democrazia? (2009), trad. it. Nottetempo, Roma 2010, pp. 71-92; la cit. è a p. 74. 2 J. Rancière, I democratici contro la democrazia , in AA.VV., In che stato è la democrazia? (2009), trad. it. Nottetempo, Roma 2010, pp. 119-126; la cit. è a p. 121. 3

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Informazioni tesi

  Autore: Giovanni Campailla
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2009-10
  Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
  Facoltà: Filosofia
  Corso: Filosofia
  Relatore: Stefano Petrucciani
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 55

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Parole chiave

democrazia
marx
governance
comune di parigi
politica d'emancipazione
rancière
badiou
abensour

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