Sul declino della sovranità statale nell'era della globalizzazione: la costruzione dei muri di confine
Lo Stato-nazione: sistema di aggregazione etnica e governabilità territoriale
L'assenza di confini nazionali demarcati da omogeneità etnica e linguistica era la condizione normale dell'Europa dal Medioevo al XIX secolo.
Il congresso di Vienna svoltosi tra il 1814 e il 1815 assegnò i territori europei ai vari sovrani perciò i nuovi regimi si trovarono a dover stabilire le procedure per la "naturalizzazione" o concessione della cittadinanza. La cittadinanza divenne in larga misura un accessorio della residenza.
In base a quale criterio si può dire che qualcuno appartiene a uno Stato? È lo Stato stesso che definisce i modi con cui si acquisisce la cittadinanza. Nel XIX secolo gli Stati misero dinnanzi a tutto l'ideale della "nazione", ovvero basarono le comunità su coloro che erano nati in un dato territorio e che quindi condividevano la stessa origine etnica (il termine nazione deriva dal latino natio, nascere, opera seguendo il mito del suolo e del sangue). Alla luce di questo modo di intendere una comunità come gruppo di persone accomunate dal luogo di nascita, la sovranità tende ad essere assorbita concettualmente dal potere di un'etnia.
La sovranità fluida degli Imperi, che faceva a meno anche della contiguità dei territori (si pensi alla monarchia asburgica) diventa adesso una sovranità granitica, relegata al territorio e fatta discendere dal diritto di nascita. I modi con cui viene giuridicamente concessa la cittadinanza creano i presupposti per una discriminazione di tipo etnico e questo è possibile dal momento in cui si identifica un ethnos con il démos. Come scrive Balibar in Cittadinanza «in epoca moderna le nozioni di cittadinanza e di nazionalità sono state praticamente identificate» e da questa equivalenza lo Stato democratico moderno continua a rafforzarsi perpetrando le sue giustificazioni culturali e storiche.
Nello stesso saggio si trova un'interessante riflessione filologica che Balibar prende in prestito dal linguista Émile Benveniste per spiegare i presupposti politici e simbolici che legano i cittadini a una comunità. Nella sua analisi Benveniste spiega come la dimensione semantica di reciprocità di diritti e doveri – qualità costitutiva che già a partire da Aristotele descrive i rapporti tra concittadini – è meglio espressa dal binomio latino civis- civitas che non da quello greco polis-polites: il primo è formato da una radice semantica che indica una relazione tra gli individui, i con-cittadini, mentre nel secondo la radice è ricondotta all'esistenza anteriore del tutto rispetto al singolo, ovvero la pre-esistenza della polis sui suoi membri che idealmente richiama la sua preminenza. È come se nel latino la gerarchia semantica fosse concepita a partire dalle persone che sommate formano un complesso, è una dimensione comunitaria che ha origine dal singolo soggetto civis. Per quanto riguarda il greco invece è la polis ad avere una priorità semantica, è un'astrazione che si concreta generando il cittadino a partire da se stessa. Da questo punto di vista si potrebbe affermare che lo Stato-nazione crea in modo approssimativo una comunità di cittadini attorno a sé, una comunità essenzialmente arbitraria le cui qualità non sono prodotte dal basso ma calate dall'alto.
Lo Stato fa la sua mossa e tenta di organizzarsi dandosi dei tratti comuni, culturali e biologici, che siano identificativi del popolo. Questi criteri sono contingenti e le motivazioni all'origine di questa scelta possono essere ricondotte anche agli sviluppi dell'azione imperialista. Hannah Arendt nella seconda parte del suo saggio Le origini del totalitarismo si trova a sviscerare la logica imperialista e le sue fatali conseguenze. Nel quinto capitolo la filosofa descrive come la proprietà individuale muta la sua forma e assurge ad affare pubblico quando viene calata nel processo di accumulazione del capitale. Si può riconoscere in questo e nella privatizzazione della maggior parte della terra la logica conseguenza delle riforme economiche portate avanti nel XVII e XVIII secolo in Europa.
L'Ottocento è stato sicuramente un secolo votato alla conquista di nuovi territori e alla sottomissione delle popolazioni autoctone da parte di molti stati europei, la mire espansionistica era mossa dalla voglia di esportare la propria sovranità statale. Arendt interpreta le tesi hobbesiane alla luce della politica imperialista: nel Leviatano un interesse individuale, come può essere l'esigenza di protezione dalla morte, si trasforma in un interesse pubblico, un desiderio della comunità esternato con la creazione dello Stato e la stipula del "patto"; allo stesso modo spiega la logica espansionistica come espressione di un interesse nazionale e ritrova che nei concetti del liberalismo «la vita pubblica assume l'ingannevole aspetto di una somma d'interessi privati».
La filosofa individua e sviluppa quindi il fulcro della dicotomia nazionalismo/imperialismo vincolandola alle teorie razziali. In effetti per Arendt «il razzismo è stata l'arma ideologica dell'imperialismo» e viceversa l'esperienza imperialista è servita ad accrescere la solidità strutturale del sentimento nazionale, della comune discendenza: emigrare e insediarsi in un nuovo territorio, in una colonia, voleva dire che «un cittadino dell'Inghilterra, della Germania o della Francia poteva essere nient'altro che inglese, tedesco o francese. In patria si trovava irrimediabilmente impigliato nella rete di interessi economici e obblighi sociali».
In altre parole, durante l'imperialismo si scopre un nuovo strumento per l'organizzazione politica: la razza. L'imperialismo si serve delle teorie razziali poiché ha necessità di creare una coesione tra la madrepatria e le colonie sparse a migliaia di miglia da essa. In questo senso un esempio può essere rappresentato dall'Inghilterra, il cui distacco degli Stati Uniti aveva mostrato come un legame di lingua e una comunanza nell'origine non bastarono ad impedire l'indipendenza istituzionale. [...]
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Sul declino della sovranità statale nell'era della globalizzazione: la costruzione dei muri di confine
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Informazioni tesi
Autore: | Tiziana Greco |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università degli Studi di Roma La Sapienza |
Facoltà: | Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Donatella Di Cesare |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 63 |
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