Paura e potere nel Leviatano di Thomas Hobbes
La paura tra le passioni
Tra le passioni, Hobbes attribuisce un ruolo specifico alla paura. Altrimenti chiamata timore, in un’accezione più attenuata, la paura in Hobbes è al primo posto. Roberto Esposito la definisce il terribilmente originario, che fa parte intrinsecamente del nostro essere: «la paura è proprio nostra, nel senso più estremo che noi uomini non siamo altro da essa. Da essa proveniamo […] e ad essa approdiamo come alla nostra più intima dimora».
Nelle pagine che seguono cercherò di ricostruire una sorta di fenomenologia della paura come appare dagli scritti del filosofo inglese. I suoi pensieri e i suoi studi attorno a questa passione sono molto fitti, intrecciati e articolati, ma nonostante ciò vi è un ritorno costante su un concetto fondamentale: l’istinto di conservazione.
Lo scopo dell’uomo, come si vedrà meglio nel capitolo successivo, è quello di mantenersi in vita: l’uomo prova paura e la paura sostanziale è quella della morte.
È ancora Esposito a farlo notare: «Che significa, infatti, che siamo i ‘mortali’, se non che siamo soggetti di - ma soprattutto alla - paura?
Perché la paura che ci attraversa e anzi costituisce - è precisamente ed essenzialmente paura della morte».
L’uomo, perciò, ha paura di non-essere più ciò che è in questo momento - ovvero vivo - e questo Hobbes lo afferma esplicitamente nei suoi testi.
Nel De Cive leggiamo: «Ciascuno, infatti, è portato a desiderare ciò che per lui è bene e a fuggire ciò che per lui è male, soprattutto il massimo dei mali naturali, che è la morte».
E negli Elementi di legge naturale e politica: «La necessità di natura induce gli uomini a volere e desiderare il bonum sibi, ciò che è bene per loro stessi, e a evitare ciò che è nocivo, ma soprattutto quel terribile nemico di natura, la morte, dalla quale ci aspettiamo la perdita di ogni potere, e anche la maggiore delle sofferenze corporali al momento del trapasso». L’uomo, dunque, è dominato dalla preoccupazione acutissima di ricevere un danno mortale.
In questi passi il filosofo guarda alla paura della morte dal punto di vista del suo opposto complementare, vale a dire quel conatus sese conservandi sive preservandi, il quale è la molla psicologica dell’uomo. L’istinto di conservazione è un modo affermativo di declinare la paura della morte: si teme la morte perché si vuole sopravvivere. Ma si vuol sopravvivere, appunto, perché si teme la morte. Leo Strauss ha sottolineato molto bene il primato logico hobbesiano della paura di morire rispetto alla volontà di sopravvivenza; questo primato deriva dal fatto che, in quanto non vi un limite reale all’ordine dei beni, è identificabile sì un summum malum, ma non un summum bonum: «Hobbes preferisce l’espressione negativa fuggire la morte a quella positiva conservare la vita: perché noi avvertiamo la morte e non la vita […] perché noi temiamo infinitamente la morte, molto più di quanto desideriamo la vita».
Per potere capire a fondo il sentimento o la passione della paura in Hobbes occorre esaminarne tutte le opere, anche quelle filosofiche, le quali, come sottolinea Giuseppe Sorgi, vengono generalmente trascurate dagli studiosi di filosofia politica.
Sorgi mette in evidenza un’altra questione molto importante: è bene che la nostra analisi inizi con il De corpore e il De homine. Nonostante queste, cronologicamente parlando, vengano dopo le opere politiche, nel disegno globale del filosofo sono state concepite come prioritarie e, all’interno del nostro discorso, possono in qualche modo rivendicare la loro priorità logica. Nel De corpore la paura, prima di essere una tra le passioni e le perturbazioni dell’animo, è una sensazione, che va studiata come fenomeno naturale.
Infatti, scrive Hobbes: «Allo stesso modo in cui il freddo genera paura in quelli che dormono e li induce a sognare spettri e ad avere fantasmi di orrore e di pericolo, così la paura provoca freddo in quelli che sono svegli, tanto i moti del cuore e del cervello sono reciproci tra loro. […] In alcuni, non solo quando dormono, ma anche quando sono svegli, ma soprattutto in quelli che sono consci di una colpa, e di notte, e nei luoghi consacrati, la paura aiutata anche alquanto dalle storie di tali apparizioni, ha suscitato nell’animo orribili fantasmi.
Nel De homine la paura si pone in alternativa ed intreccio con un’altra passione: la speranza. È Esposito a far notare come nella vita quotidiana la paura non sia mai sola, ma sempre accompagnata dalla speranza, che è «ciò che l’uomo le contrappone nell’illusione che sia il suo opposto, mentre invece ne è solo la fedele compagna […] Cos’è, infatti, la speranza se non una sorta di paura a testa sotto?.
Queste due passioni, assieme, costituiscono per l’Hobbes del De Homine la condizione naturale dell’animo umano: «speranza e paura si alternano tra di loro in modo tale che non c’è quasi uno spazio di tempo così breve che non possa contenere un loro alterno intervento; e, quindi, speranza e paura devono dirsi turbamenti allorché tutte e due sono contenute in uno spazio di tempo molto breve e prendono semplicemente il nome di speranza e paura, secondo la prevalenza dell’uno o dell’altro affetto.
Queste due passioni, poi, oltre ad essere così vicine nella vita concreta di ogni uomo, hanno una definizione quasi speculare: «quando concepiamo, in una con il male, il mutamento di esso in modo che lo stesso male si eviti, nasce quell’effetto che chiamiamo speranza. Allo stesso modo, se, incombendo il bene, concepiamo un modo in cui si perde, o se immaginiamo che se ne trae un male a quello connesso, si dice che abbiamo paura».
Tale specularità compare anche negli Elementi di legge naturale e politica: «La speranza è l’aspettazione di un bene futuro, come il timore è l’attesa di un male.
È interessante anche notare come per Hobbes speranza e paura abbiano una portata decisiva in quanto costituiscono la radice del volere, secondo la polarità hobbesiana di appetito-avversione, attrazione-fuga. Come afferma nel Leviatano, la speranza è l’appetito «congiunto con l’opinione che si conseguirà» il fine. La paura è l’avversione «con l’opinione di un nocumento da parte del soggetto.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Paura e potere nel Leviatano di Thomas Hobbes
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Informazioni tesi
Autore: | Federica Girelli |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2013-14 |
Università: | Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Facoltà: | Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Elena Rapetti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 37 |
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