Pubblicità e cinema: storia del product placement tra esigenze di mercato, interessi dei produttori e diritti degli spettatori. Il caso controverso di Caos Calmo
L’utilizzo del product placement nel cinema: i metodi di posizionamento
Il product placement nel cinema è una tecnica antica e a conti fatti una delle più semplici. Fondamentalmente si tratta di una tecnica di comunicazione spesso definita come “ibrida”, perché può essere utilizzata parallelamente in diversi media comunicativi.
Per iniziare credo sia importante far presente che il product placement nel cinema può manifestarsi attraverso tre modalità distinte:
1. solo visiva
2. solo verbale o uditiva
3. combinazione audiovisiva
La collocazione visiva, detta anche screen placement, presenta il prodotto, la marca o il logotipo senza nessun messaggio verbale. Spesso questa scelta viene fatta per contestualizzare da un punto di vista storico la narrazione del film. Solitamente questa è la modalità più utilizzata, anche se è probabile che lo spettatore non presti attenzione alla marca. Nel 2005 il film The Island, con Ewan McGregor e Scarlett Johansson, narra di un ipotetica isola dove uomini cloni sono destinati a fungere da parti di ricambio per uomini facoltosi. Per mantenere in forma i cloni sono previste numerose attività fisiche e ovviamente un guardaroba adatto. La firma su tutte le calzature indossate dagli attori è quella della Puma, famosa marca di abbigliamento sportivo. Per la Puma l’operazione di product placement è stata addirittura doppia: da una parte il piazzamento del famoso logo, dall’altro l’occasione per far conoscere in anteprima a tutti gli spettatori il suo ultimo modello di scarpe in commercio.
Nella collocazione verbale o uditiva, denominata script placement, la marca o il prodotto sono letteralmente citati da un personaggio del film o da una voce fuori campo (la cosiddetta “voce narrante”). Delle tre modalità questa è quella meno frequente nel film e ovviamente appare come una grossa possibilità per le aziende che vogliono pubblicizzare un loro prodotto. Un esempio è quello tratto dal film Back to the future, datato 1985 e diretto da Robert Zemeckis. Nel film il protagonista, l’attore Michael J. Fox, riesce grazie ad una macchina del tempo a tornare indietro nel 1955. Al termine del viaggio nel tempo l’attore, che nel film si chiama Marty Mc Fly, perde conoscenza e al suo risveglio scopre di essere stato ribattezzato dai suoi soccorritori con il nome di “Levi Strauss”, dal nome della famosa marca di abbigliamento che il ragazzo indossa. Ogni qual volta ci si riferisce al protagonista la marca Levi’s viene citata verbalmente.
La terza modalità, quella audiovisiva, prevede un piazzamento visivo della marca e la citazione verbale della stessa. Una collocazione di fatto “mista”, ma che nella cinematografia non è poi così rara. Tra i tanti esempi possiamo citare quello del film “Hunting” con protagonista l’attrice Chaterine Zeta Jones. In una battuta la Zeta Jones si vanta dei suoi stivali firmati Prada e mentre la telecamera inquadra la calzatura in questione l’attrice precisa che solo a Milano o a New York si possono acquistare dei veri stivali Prada.
La letteratura in materia propone anche una diversa catalogazione delle tipologie di product placement. Ad esempio negli Stati Uniti, dove si concentrano la maggior parte degli studi sul product placement, l’ERMA (acronimo di Entertainment Resources and Marketing Association) riunisce i professionisti del settore intrattenimento, cinema e marketing e da anni propone una riflessione profonda sul concetto e sull’uso del product placement in ambito cinematografico. Particolare attenzione viene data all’impatto che deriva dal diverso tipo di posizionamento della marca o del prodotto. Da questi studi nasce una differenziazione del product placement, qui proposta secondo la versione originale, delimitata da quattro aree diverse, corredate da una descrizione dei principali benefici e dei possibili svantaggi:
1. Classic placement
2. Corporate o Istitutional placement
3. Evocative placement
4. Stealth placement
Il Classic placement è la modalità più antica di product placement e può essere paragonato alla modalità di piazzamento visivo descritto precedentemente. La marca di un computer, il logo di una compagnia di spedizione, una bevanda consumata in un bar, il nome di un quotidiano lasciato sopra una scrivania, sono gli esempi più classici. “Qualunque sia la marca, il prodotto o l’industria, sembra che tutto sia possibile per questo tipo di piazzamento”. Il vantaggio principale è di essere una modalità semplice e poco costosa, che si riduce al semplice piazzamento in una scena del prodotto. Come già sottolineato prima, la sola collocazione visuale può passare inosservata dallo spettatore, soprattutto se nel film sono presenti numerose marche o molteplici piazzamenti.
Nel caso del Corporate placement è la marca ad avere la priorità rispetto al prodotto. A differenza del Classic placement, che predilige il piazzamento esclusivo del prodotto, il Corporate placement non solo non presenta fisicamente il prodotto in questione, ma non si esplica nemmeno nella descrizione dell’attività di quella determinata marca. In poche parole si tratta del piazzamento della sola marca o del suo logotipo. Nel film di Steven Spielberg Minority Report sono presenti numerose marche come Reebok, Pepsi, o Aquafina, ma non i loro prodotti. Tra i principali vantaggi, come nel Classic placement, c’è quello di un inserimento relativamente semplice. Inoltre la marca rimarrà per sempre legata alla pellicola, con la possibilità di essere vista anche a distanza di anni.
Anche in questo caso lo svantaggio per la marca è quello di passare inosservata, soprattutto se lo spettatore ha già familiarità con essa.
L’Evocative placement è probabilmente la modalità di inserimento più discreta, dato che la marca non appare esplicitamente né viene citata verbalmente dagli attori. In questo caso si tratta del piazzamento di un prodotto il cui design è talmente originale, che lo spettatore possa abbinarlo ad un prodotto a lui familiare. Nel film di Gabriele Muccino La ricerca della felicità uno dei protagonisti gioca spesso con il famoso cubo-rompicapo di Rubik, il quadrato rotante multicolore famoso in tutto il mondo. Nel remake del film The Italian Job, diretto nel 2003 da Gary Gray, i protagonisti brindano al loro ultimo furto con numerose bottiglie di champagne. La marca non è mai visibile ma la tipica silhouette della bottiglia Moët & Chandon è perfettamente riconoscibile. Questi esempi dimostrano quindi che l’Evocative placement richiede una tipologia precisa di prodotti, adatta a questo tipo di approccio. Di fatto esso è una forma più sottile di placement, il cui vantaggio può essere quello di combinarlo con altre modalità di product placement. La svantaggio è ovviamente quello di non essere riconosciuto dallo spettatore che non ha familiarità con la marca in questione.
Lo Stealth placement, come il nome suggerisce, è la modalità più nascosta di product placement. In realtà però la marca utilizzata, sebbene non venga citata verbalmente o il suo logo non sia deliberatamente inquadrato, è la protagonista indiscussa della sequenza filmica. Per intenderci, quando nel 1980 l’attore Richard Gere interpreta il film American Gigolò la scena iniziale del film ci propone il protagonista svuotare letteralmente il suo armadio per scegliere accuratamente quali abiti indossare prima di iniziare la sua “giornata lavorativa”. Camicie, pantaloni, giacche, cinture e cravatte vengono accuratamente deposti su di un letto per essere scelti. Numerosi cambi di abito si susseguono finché Richard Gere non trova la combinazione giusta di abbigliamento e accessori. L’azienda che fornì l’intero guardaroba era Armani, dell’omonimo stilista Giorgio Armani. La scoperta non è poi così casuale perché la marca, come accade normalmente nei casi di Stealth placement, è citata nei titoli di coda del film. Come nel caso del Classic placement, lo Steatlh placement è di tipo visivo, ma non sempre. Nel film Paris When It Sizzles del 1963, conosciuto in Italia con il titolo di Insieme a Parigi, nei titoli di coda si comunica che il profumo utilizzato dall’attrice Hudrey Hepburn durante le riprese è della marca Givenchy. Difficile immagine uno Stealth placement più riuscito di questo. Tra i vantaggi principali c’è quello di essere un piazzamento perfettamente legato con la storia filmica, senza per questo distogliere eccessivamente lo spettatore dalla trama. Al contrario è giusto notare che può passare completamente inosservato da chi non presta troppa attenzione ai titoli di coda.
Possiamo quindi sintetizzare che il product placement ha un ruolo centrale sia a livello di filiera produttiva cinematografica, in particolare alle voci “marketing - promozione”, “finanziamento”, “produzione”, sia all’interno del tessuto narrativo stesso del film. A tal proposito si possono identificare due gradi di intensità nella presenza del product placement a livello narrativo: di bassa intensità, o placement periferico, che corrisponde ad una marca poco presente e praticamente ininfluente allo svolgimento della storia; di alta intensità, o placement centrale, in cui la marca occupa un ruolo fondamentale per la caratterizzazione del personaggio o un tema ricorrente del film.
Questo brano è tratto dalla tesi:
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Informazioni tesi
Autore: | Stefano Mura |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2008-09 |
Università: | Pontificia Università Salesiana |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione sociale e istituzionale |
Relatore: | Roberta Gisotti |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 187 |
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