Le nuove forme di scrittura digitale: il crowdsourcing su Internet. I content market di Popolis Create e O2O
Il crowdsourcing sul web
Con Internet il ruolo del lettore - navigatore si modifica profondamente: egli può interagire con i creatori di contenuti in un dialogo continuo e di discussione.
Emilio Carelli cita una definizione che circola da una decina di anni in merito a questa trasformazione: parla di «logica a sciame» per identificare «una situazione di apparente caos che però fa funzionare perfettamente gli alveari, un sistema che consentirebbe l'emergere di una sorta di intelligenza collettiva, dove l'unione di più teste garantisce un esito migliore di quello che si otterrebbe procedendo in solitario». Del concetto di intelligenza collettiva tratterò nel paragrafo seguente, ora ciò che mi interessa è la nuova società che è andata creandosi con questa trasformazione.
Nel Marzo 2000, il Consiglio Europeo di Lisbona ha dichiarato che «la nuova società basata sulla conoscenza offre un immenso potenziale per ridurre l’esclusione sociale sia mediante la creazione delle condizioni economiche per una maggiore prosperità attraverso livelli più alti di crescita e occupazione, sia mediante l’apertura di nuovi modi di partecipazione alla società».
Flavia Marzano, esperta in innovazione tecnologica e docente all'università La Sapienza di Roma in «Laboratorio di Tecnologie per l'Amministrazione Digitale» e in «Telematica Pubblica» presso l'Università di Torino, citando questa affermazione nel blog chefuturo.it, scrive che la democrazia e la partecipazione hanno assunto una valenza molto importante, usate da tutte le agende digitali italiane, regionali, comunali, di partito e di qualunque aggregazione che ne abbia parlato, anche grazie alle tecnologie. Questo avrebbe permesso la diffusione della consapevolezza che non si può più prescindere da questi elementi se si vuole governare nel 2013, ma, a suo parere, la società basata sulla conoscenza è anche (e soprattutto) la società di chi partecipa dal basso, tutti i giorni, con pazienza, con determinazione, con forza e competenza. La partecipazione civile, insomma, può aiutare a meglio amministrare la cosa pubblica e in generale la società.
Stefano Calabrese afferma che Internet, dal momento che favorisce interazioni emotive tra utenti, si costituisce come fonte aggregativa di contenuti e informazioni, in grado di coinvolgere gli utenti in una relazione simile a quella che si genera all'interno di una comunità cosiddetta situata, dove i legami tra gli individui sono di tipo emotivo ed esperienziale; a ciò va aggiunto che sono proprio gli utenti a influenzare a loro volta i processi attribuzione del valore intrinseco del brand.
Ne sono un esempio Amazon, che si basa sulla condivisione di recensioni da parte degli utenti sulle merci, e eBay, che si basa invece sulle valutazione degli utenti medesimi creando un sistema in grado di generare un tipo di fiducia comunitaria. Di conseguenza le interazioni tra gli individui rappresentano oggi il valore aggiunto, tanto che gli utenti non sono più i bersagli della comunicazione di marketing, ma vengono considerati persone al centro del processo comunicativo.
Digitare Wikipedia, Amazon, YouTube sul proprio browser o cercare una parola su Google, accedere a Facebook, Twitter e LinkedIn vuol dire quindi avvalersi di una forma di conoscenza tutta nuova: la «conoscenza condivisa». L'elemento comune tra questi esempi di realtà esistenti sul web (che non sono ovviamente le uniche) è la condivisione di un contenuto, che sia esso visivo, scritto, musicale, sottoforma di opinione, commento o articolo. Ma chi crea questi contenuti?
I nuovi professionisti della rete sono gli stessi utenti: con la parola crowdsourcing in riferimento al web si intende un processo di creazione di contenuti che porta a un progetto che viene poi condiviso con le comunità online. L’origine del termine è da attribuire al giornalista americano Jeff Howe il quale, nell’articolo «The Rise of Crowdsourcing» pubblicato nel giugno 2006 sulla rivista «Wired», spiegava le potenzialità insite nell’affidare la produzione di un contenuto ad una community, alla folla, ad individui esterni.
Il neologismo fonde due parole, «crowd» (folla) e outsourcing, in gergo aziendale «affidare all'esterno parte delle proprie attività» e pone l'accento sull'ipotesi che le persone comuni, in virtù della maggiore esperienza nella fruizione di beni e servizi rispetto alle stesse imprese e forti dell'intelligenza collettiva che ormai impregna la società, debbano creare prodotti che essi stessi consumano. In questa sede, il crowdsourcing fa riferimento alla creazione di progetti testuali, quindi articoli e testi digitali scritti dagli utenti per gli utenti.
Questo però è anche un modello di business, perchè molte aziende possono affidare a terzi la progettazione dei propri contenuti online, beneficiando dell'esperienza come online users di costoro che apportano idee nuove e originali (come avviene per i content markets di cui parlerò nell'ultimo capitolo). Il crowdsourcing, quindi, può essere un valido strumento di lavoro collettivo. Il vantaggio principale dell'applicazione del crowdsourcing in un contesto lavorativo rilevato da Stigliano è il contenimento dei costi, questo perchè sono gli stessi consumatori a svolgere una parte del lavoro riducendo la necessità di monitorare i feedback sui prodotti, semplificando le fasi di testing successive e dando agli stakeholder interni ed esterni la possibilità di contribuire al processo produttivo, in modo da stimolare il senso di appartenenza, quindi incentivare la fedeltà; inoltre, con il crowdsourcing, l'impresa, oltre che a risparmiare, può differenziarsi e promuovere la propria creatività.
Per la creazione di contenuti intangibili, l'autore parla di «co-working creativo», per separarlo da «prosumerismo» inteso come creazione e personalizzazione di manufatti. Internet ha quindi aumentato in maniera esponenziale le possibilità di partecipazione: Domenico Fiormonte afferma che tutto quello che oggi viene prodotto attraverso la Rete è ontologicamente condiviso, standard e interoperabile in quanto il web stesso si basa su linguaggi di questa natura.
Anche Carr, per quanto critico, è costretto ad affermare che «sono molti i vantaggi di un accesso immediato a una tale abbondanza di dati così facili da trovare». Egli in proposito cita un autore della rivista «Archaeology», Heather Pringle, che scrive: «è una straordinaria fortuna per l'umanità, avendo raccolto e concentrato in un unico luogo idee e informazioni che un tempo erano sparpagliate per il mondo, praticamente impossibili da recuperare». Tuttavia, Carr sottolinea come a questa nuova disponibilità di informazioni e conoscenza online sia corrisposto un modellamento del pensiero umano, che ha mandato in frantumi la capacità di concentrazione delle persone.
Se autori come Scott Karp (publishing2.com), Philip Davis (scholarykitchen.sspnet.org) e Bruce Friedman (labsoftnews.typepad.com) confermano in diversi blog di trovarsi in una situazione di profonda trasformazione dei processi e delle abitudini mentali, ne sono anche ottimisti, a differenza di Carr, perchè, secondo loro, i benefici derivanti dall'uso della Rete, compenserebbero la perdita delle loro capacità di concentrazione. Davis addirittura scrive: «credo che [Internet] sotto molti aspetti mi abbia anche reso più intelligente».
D'altra parte invece, in una posizione analoga a quella di Carr, il professore emerito nell'università di Cambridge Peter Burke cita il sociologo ed economista americano Herbert Simon che, molto prima delle critiche dello studioso americano, individuò, in una abbondante disponibilità di informazioni, il rischio di una «povertà di attenzione», pericolo che diverse ricerche millantano da diversi anni. In un articolo del 2010 pubblicato su lastampa.it, Nora Volkow, una delle più importanti esperte del sistema nervoso centrale, ha confermato al New York Times che «è come se la tecnologia stesse riprogrammando le nostre menti». L’uso di Internet e degli altri potenti strumenti di comunicazione di cui siamo in possesso starebbero modificando i neuroni del nostro cervello, sempre pronti ad adattarsi a nuove situazioni, mentre la massa di informazioni in arrivo attraverso il web starebbe cambiando il modo di pensare e di reagire.
Nell'articolo, infatti, si chiarisce che gli stimoli ricevuti senza interruzione da parte del web provocano il rilascio di dopamina nel cervello, che crea dipendenza, mentre la sua assenza determina una sensazione di vuoto e di noia. Del resto, è sempre Carr a sostenere che «il Web non ci incoraggia mai a fermarci, ci tiene in uno stato continuo di movimento». E questo per lui è traducibile in conseguenze estremamente dannose.
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Le nuove forme di scrittura digitale: il crowdsourcing su Internet. I content market di Popolis Create e O2O
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Informazioni tesi
Autore: | Marianna Siani |
Tipo: | Tesi di Laurea Magistrale |
Anno: | 2012-13 |
Università: | Università degli Studi di Milano |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Comunicazione d'impresa |
Relatore: | Franco Guzzi |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 267 |
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