Neoliberalismo: dal contributo di Foucault al dibattito attuale
Crisi del liberalismo e nascita del neoliberalismo
La “famiglia” liberale appare fin dal principio attanagliata da tensioni interne, delle quali la più evidente è quella fra i difensori di un’idea di bene comune, i sostenitori del riformismo sociale, ed i partigiani delle libertà individuali come valore assoluto. Come mette in luce Foucault, la crisi del liberalismo è una crisi di governamentalità, perché pone il problema pratico dell’intervento politico in campo economico-sociale. La problematica del limite esterno imposto all’attività di governo viene a creare un fattore di «blocco dell’arte di governo» in un momento critico, ovvero quello dei grandi cambiamenti prodotti dal capitalismo sfrenato e dai conflitti di classe.
Nel corso del XIX secolo infatti, l’immagine dell’armonia economica che si genera dalle relazioni tra interessi particolari venne smentita dalla realtà: nacquero infatti giganteschi monopoli industriali, le cosiddette “imprese”, che necessitavano di una gestione “scientifica” e che avevano un eccessivo potere di manipolazione sui prezzi. Si diffusero fenomeni di corruzione politica, e l’opinione pubblica cominciò a vedere nei businessmen dei truffatori, nei politici delle marionette al servizio del denaro. Verso la fine del XIX secolo, molti governi iniziarono ad attuare politiche di protezione, soprattutto verso i lavoratori, dalle grinfie degli affaristi; il libero scambio non era più la formula della prosperità universale: si cominciò a credere più alle politiche protezionistiche, alle dogane e alle frontiere. I liberali avevano rafforzato ciò che volevano combattere, e non disponevano degli strumenti teorici (né della volontà) per affrontare il problema.
All’interno della corrente liberale c’era però chi metteva in discussione i dogmi liberali di fronte ai cambiamenti della società, come ad esempio Tocqueville e John Stuart Mill, i quali intrattennero, tra il 1834 ed il 1840, una sentita discussione sulle tendenze delle società moderne. Tocqueville rintracciava nel movimento delle società verso l’uguaglianza una tendenza al rafforzamento dell’amministrativo a spese delle libertà individuali. «L’uguaglianza delle condizioni porta gli individui a desiderare un potere centrale forte, espressione del potere popolare, che li prenda per mano in qualunque circostanza. Una delle caratteristiche dei poteri politici moderni è quindi l’assenza di limite dell’azione di governo». Per Mill la trasformazione più importante riguardava invece la ricerca della ricchezza, che egli vede come la causa del decadimento di alcuni valori intellettuali e morali. L’individuo infatti, nella società moderna, è in balìa delle masse, perciò egli insiste sulla formazione e sul rafforzamento del carattere singolare di ognuno, per “difendersi” dall’opinione della massa. Sulla scorta di Bentham, Mill giustificava un tipo di intervento razionale, che sacrificherebbe alcuni diritti in vista di un maggior bene comune. Contro questa tendenza interna al liberalismo si scagliò Spencer, il quale riaffermò con violenza i princìpi individualistici che avevano animato il liberalismo delle origini ed accusò i liberali favorevoli a qualsiasi misura di intervento di essere socialisti. Le misure a difesa dei più svantaggiati, dei poveri, dei lavoratori, sarebbero sbagliate, perché agiscono tramite imposizioni e limitano l’azione individuale.
Ma l'assistenza ai poveri è soltanto un aspetto dei misfatti dell’ingerenza dello Stato, che non ha più limiti quando intende rimediare a tutti i mali del mondo. Tale tendenza quasi automatica all'illimitatezza dell'intervento statale è rafforzata dall’istruzione, che accresce i desideri inaccessibili alla grande massa, e dal suffragio universale, che spinge la politica a fare promesse.
Quello delle misure a favore degli svantaggiati è un «eccesso di zelo»: il bene pubblico può essere ottenuto direttamente (tramite misure coercitive) o indirettamente, limitando l’azione dello Stato e garantendo le libertà individuali. Applicando la teoria dell’evoluzione di Darwin alla sociologia, Spencer arrivò a sostenere che la vita economica fosse soltanto un ambito della più generale lotta per la sopravvivenza: sarebbe preferibile sacrificare la vita di chi «non è adatto» per sopravvivere in questo tipo di società, piuttosto che sacrificare minimamente la libertà. Spencer non esitò ad affermare che l’economia fosse un processo di eliminazione selettiva, perché non c’è possibilità per tutti, come vorrebbero i filosofi “sentimentali”, ma soltanto per chi è più adatto a sopravvivere. Seguendo questa linea argomentativa, Spencer rivoluzionò il liberalismo introducendo la nozione di “concorrenza”, che a suo parere è alla base del progresso umano e l’unico meccanismo in grado di replicare il meccanismo della natura: far emergere i migliori, eliminare i peggiori. In precedenza, la teoria liberale vedeva nello scambio il principio vitale del progresso e della pace; l’introduzione del meccanismo concorrenziale rivoluzionerà il liberalismo e sarà ripresa più avanti dai teorici neoliberali.
Lo “spencerismo” non fu però l’unica reazione del liberalismo alle tendenze di politico-economiche di fine ‘800/ inizio ‘900: le ripetute crisi economiche ed i disordini ad esse correlate mettevano in dubbio l’effettiva efficacia del laissez-faire. «Da tempo un “nuovo liberalismo”, più consapevole della realtà sociale ed economica, cercava di definire un nuovo modello di comprensione dei princìpi liberali, che prendeva in prestito alcune critiche al socialismo ma con l’intento di realizzare con più prontezza le finalità della civiltà liberale». Il “nuovo liberalismo” metteva in dubbio la capacità dei vecchi dogmi liberali di affrontare le difficoltà collegate alle nuove dinamiche economico-sociali, e si propone di ripensare le modalità di intervento e di limitazione del governo. Il saggio di riferimento per queste tematiche è La fine del laissez-faire (1926) di Keynes, che sicuramente condivideva con altri liberali l’esigenza di salvare il capitalismo dalle derive dello stesso liberalismo. L’economista inglese approfondì l’analisi dei “doveri” dello stato, sostenendo che esistono alcuni ambiti dove l’intervento regolatore dello stato è necessario, e che un controllo delle forze economiche è necessario per evitare fenomeni di anarchia economica. La tendenza di questa linea di pensiero è quella di caratterizzare le società moderne tramite la presenza di una molteplicità di relazioni, che perciò necessitano di un maggior controllo: mentre in precedenza i teorici liberali sostenevano che lasciando gli individui liberi di ricercare il proprio interesse si venisse autonomamente a creare un’armonia economico-sociale, il nuovo liberalismo sostiene che quest’armonia vada creata artificialmente. La libertà può esserci solo laddove tutti abbiano eguali possibilità di realizzazione, e questo può avvenire solo facendo in modo che i più forti non sovrastino i più deboli. Il neoliberalismo, anch’esso frutto della crisi del liberalismo classico, condivide con la corrente del nuovo liberalismo (oltre al nome) l’esigenza di salvare la società liberale dal rischio dei totalitarismi. La corrente capitanata da Keynes si lasciò alle spalle il dogma del laissez-faire per attuare misure apparentemente contrarie ai princìpi del liberalismo, e lo fece per garantire le «condizioni reali della realizzazione dei fini individuali». Il neoliberalismo, nell’analisi di Dardot e Laval, sembra condividere la possibilità del ricorso all’intervento statale, ma rimane inflessibile sulla necessità di non intralciare il meccanismo economico della concorrenza tra interessi privati. L’intervento statale infatti non ha più uno scopo compensativo, ma produttivo: deve produrre le condizioni ottimali affinché il meccanismo della concorrenza possa soddisfare l’interesse collettivo. Seguendo la linea dei due pensatori francesi, il punto di partenza del neoliberalismo sarebbe lo spencerismo, dal quale però si distaccherebbe riconoscendo che il mercato non è un dato naturale, ma «il prodotto artificiale di una storia e di una costruzione politica».
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Neoliberalismo: dal contributo di Foucault al dibattito attuale
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Informazioni tesi
Autore: | Claudio Gori |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Università degli Studi Roma Tre |
Facoltà: | Filosofia |
Corso: | Filosofia |
Relatore: | Dario Gentili |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 74 |
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