Storytelling e content marketing: Dal pubbliredazionale alle strategie di brandtelling
Content Strategy
I format attraverso cui le aziende creano contenuti passano dalle immagini ai video, testi, audio, e-book e molti altri così come vari sono i canali attraverso cui questi contenuti vengono diffusi: social network, blog, siti web, newsletter, riviste, giornali, opuscoli informativi e così via. Tutti questi strumenti sono utili al racconto di una storia, che può riguardare o meno il brand, l’importante è catturare l’attenzione del pubblico.
Alla base della creazione di contenuti, della costruzione di una Content Strategy, deve esserci lo studio di alcuni fattori.
Ogni strategia di successo può essere ridotta sostanzialmente a tre elementi: customer needs, business needs, content marketing-fit. I primi due elementi, intersecati, danno vita al content marketing-fit. Si tratta di profilare la clientela, studiandone bisogni, desideri, necessità e interrogarsi sulle caratteristiche della propria organizzazione, su cosa può offrire al target, quali potenzialità possiede. Dopo aver raccolto questi dati, incrociando le due profilazioni, verrà fuori il content marketing-fit, con cui ideare una content strategy che avrà senso per il proprio target.
Secondo Conti e Carrero (2019), per ideare la content strategy, i primi passaggi devono delinearsi in una chiara visione degli obiettivi, una conoscenza approfondita del proprio progetto e dei competitors, nella costruzione delle Personas e, infine, nella realizzazione del calendario editoriale.
Ogni pianificazione deve avere come linea guida degli obiettivi, questo vale anche per il content marketing, soprattutto perché questo non darà effetti immediati ma che si verificheranno nel tempo. Peter Drucker coniò l’acronimo SMART per identificare cinque caratteristiche che ogni obiettivo dovrebbe possedere:
⁃ Specific, devono riguardare un’area d’azione ben definita, essere chiari e mai vaghi. Gli obiettivi specifici sono più facili da raggiungere e da verificare.
⁃ Measurable, attraverso numeri, dati ben precisi. Solo se sono misurabili è possibile capire a che punto l’azienda si trova nel raggiungerli.
⁃ Achievable, uno o più obiettivi devono essere realizzabili, devono basarsi su un’attenta osservazione delle possibilità dell’azienda.
⁃ Realistic, realistici e pertinenti, devono anche combaciare con gli altri obiettivi dell’organizzazione e non puntare a mete fantasiose o irrealizzabili.
⁃ Time-bound, dare dei parametri temporali, una scadenza, permette di verificare volta per volta i risultati e gestire in tempo le azioni da eseguire.
Conoscere il proprio progetto a menadito, i servizi e prodotti offerti, l’ecosistema valoriale e comunicativo del brand permette di creare contenuti rilevanti. Inoltre, è necessario fare un’analisi dei competitors, così per avere una chiara visione interna ed esterna. Conti e Carrero suggeriscono l’analisi SWOT (Strengths, Weakness, Opportunity, Threats), per avere un quadro completo, della propria situazione e di quella dei competitors, capire dove sia opportuno posizionarsi, dove agire o correggere eventuali errori.
Il CM si basa sul coinvolgimento delle persone, per cui un’organizzazione dovrebbe chiedersi che tipologia di contenuti creare, dove farli circolare, con che frequenza, focalizzandosi sul target a cui vuole parlare. Per dare una risposta a queste domande bisogna introdurre il concetto di personas. L’idea che sta dietro al termine personas è che non potendo conoscere personalmente ogni singolo individuo che rientra nel target, è utile effettuare una segmentazione accurata, fino ad arrivare ad un identikit di persona tipo, con caratteristiche ben distinte. Questo identikit servirà a creare contenuti ad hoc per questa persona ideale a cui l’organizzazione si rivolge. Le personas sono modelli archetipici, possibili fruitori di una serie di contenuti costruiti ad hoc dall’organizzazione. È possibile creare più modelli, ad esempio, le buyer personas sono idealmente definite come i probabili acquirenti di un prodotto, mentre le reader personas sono coloro che avranno la voglia, la necessità, il tempo per leggere i contenuti creati.
A questo punto, è necessario introdurre il concetto di calendario editoriale. Il calendario editoriale è uno strumento fondamentale per una strategia di Content, in quanto dona coerenza ai contenuti, ne permette la gestione e il monitoraggio. Nella ricerca di ispirazione per la creazione dei contenuti, Facebook consiglia di usare tre temi: coinvolgimento, informazione ed entusiasmo oltre che di concentrarsi su contenuti sensibili, apprezzabili, di interesse per gli utenti e contenuti affini all’identità dell’azienda. Il modello per la creazione di un calendario editoriale, consigliato da Russel Sparkman di Fusion Spark, è 1 7 30 4 2 1.
Sembra una sequenza insensata di numeri ma ha la sua spiegazione strategica:
1. Pubblicare ogni giorno contenuti o aggiornamenti che arrechino un qualche tipo di valore ai vostri utenti. Non è necessario qui, focalizzarsi sulla creazione, è consigliato condividere notizie di altre pagine, rispondere ai commenti sotto i post, creare un dialogo continuo;
7. Una volta a settimana, minimo, pubblicare un contenuto originale, che può essere un articolo di un blog o un video. Il contenuto può essere educativo, pratico, di approfondimento;
30. Questo punto si riferisce alla mensilità. Ogni mese è consigliato offrire agli utenti un contenuto più impegnativo, come può esserlo un articolo per un blog ispirato a una serie di ricerche sul proprio settore da parte dell’azienda, delle interviste a opinion leader di riferimento, creare un podcast audio o addirittura un webinar. Questa è anche la scadenza ideale per inviare newsletter;
4. Quattro volte l’anno si potrebbe offrire edizioni speciali di un contenuto, come delle newsletter particolari, approfondimenti su Case Studies, promuovere la diffusione di PDF o ebook;
2 e 1. Una o due volte l’anno, organizzare un grande evento, online o in presenza, da cui sarà possibile trarre contenuti per i mesi a venire. Anche una tavola rotonda o uno studio annuale sul settore può apportare contenuti di valore.
Naturalmente, queste linee guida non sono da applicare alla lettera ma da declinare alla tipologia, alle possibilità dell’azienda di riferimento.
Creare il contenuto è importante ma non è tutto: se non è distribuito al massimo delle sue potenzialità, sui canali giusti per raggiungere il target, indicizzati con una solida strategia SEO, se non arriva agli utenti il suo impatto non è rilevante. È la teoria dell’albero che cade nel bosco e non fa rumore applicata al marketing. Un “albero che fa rumore” fa aumentare le possibilità di viralità del contenuto, la quantità di link che riportano al contenuto, il numero di lead che accumula l’azienda, il livello di notorietà, autorevolezza e così via.
Uno degli obiettivi del CM è saper anticipare le risposte alle domande che i potenziali consumatori faranno, essere presenti nel momento e nel posto giusto con il contenuto adatto. Le abitudini di acquisto sono cambiate radicalmente, il customer journey non è più quello tradizionale per cui i consumatori si attivano alla ricezione di uno stimolo da parte dell’azienda. Oggi prima di qualsiasi acquisto, anche poco dispendioso, si fa una ricerca su internet, per ricercare informazioni di ogni tipo, soluzioni, curiosità, si naviga ed è in quel momento che l’organizzazione deve rispondere in maniera veloce e anticipare quello che i potenziali clienti stanno per chiedere. Naturalmente, i contenuti variano per settore merceologico e caratteristiche del target. Google ha dato il nome di Zero Moment of Truth a questa serie di micro-momenti, usiamo il plurale perché è un’operazione che avviene più volte durante l’arco di una giornata, che influenzano drasticamente la decisione d’acquisto. Il ZMOT è rintracciabile in tantissime situazioni: nel confronto di prodotti online, nella lettura di un commento ad un articolo, nel passaparola, nella ricerca di informazioni sul sito web, nella visione di un video, recensioni, discussioni online. È il vero e proprio momento di verità in cui un utente entra in contatto con un’azienda e si forma il parere su di essa.
Dopo aver definito con cura la content strategy, gli obiettivi posti all’inizio devono essere costantemente monitorati. Il controllo dei risultati è possibile grazie a precisi KPI. KPI è l’acronimo di Key Performance Indicators, si tratta di indicatori che permettono di misurare il grado di raggiungimento degli obiettivi di una campagna pubblicitaria o di comunicazione. Il Content Marketing Institute ha definito le quattro macroaree del KPI a cui fare riferimento per valutare i risultati di una campagna di content marketing. Le metriche sono: consumption metrics, misura quante volte gli utenti hanno usufruito di un contenuto, per quanto tempo, per quante volte, sharing metrics, riguarda la condivisione del contenuto, i retweet, lead generation metrics, calcola il tasso di conversione di un utente in lead, infine, la sales metrics, analizza l’impatto sulle vendite. Esistono infinite metriche da poter valutare, queste dipendono sempre dagli obiettivi che l’organizzazione si è posta.
Questo brano è tratto dalla tesi:
Storytelling e content marketing: Dal pubbliredazionale alle strategie di brandtelling
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Informazioni tesi
Autore: | Lucia Alfonsa Di Cristino |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2020-21 |
Università: | Università per stranieri di Perugia |
Facoltà: | Scienze della Comunicazione |
Corso: | Scienze della comunicazione sociale e istituzionale |
Relatore: | Toni Marino |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 127 |
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