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La scomparsa dello Stato “supervisore e controllore” apre
nuove e interessanti opportunità per la riscoperta del
territorio; un’amministrazione diversa, nella quale
s’interagisce, il cittadino non più suddito diventa
collaboratore.(Arena G. 2003).
La riscoperta dell'identità locale, delle potenzialità e della
libertà d'azione delegata attraverso la devoluzione dei
poteri, apre scenari inediti e possibilità nuove per gli
amministratori locali.
Nel corso del 20° secolo, nasce l'esigenza di riforme
amministrative, prima in forma episodica poi, col tempo,
conquistando una parte specifica dell'impegno della
gestione dello Stato; quest’attività diventa un indicatore
importante della validità dell'impegno amministrativo.
Col liberismo, le azioni di riforma del governo diventano
interventi diretti a migliorare efficienza ed efficacia dei
servizi resi al cittadino, da un lato; dall'altro,
rappresentano la via per modificare l'intervento di uno
Stato finanziariamente in crisi che non soddisfa -
attraverso le proprie performances - le aspettative del
cittadino.
Le riforme che hanno caratterizzato lo Stato dal '75 in
poi, sono distinte da una serie di finalità riassumibili in
diversi punti:
L’adeguamento alle politiche comunitarie; il potenzia-
mento della dimensione locale dell'amministrazione; la
devoluzione di poteri; l'esternalizzazione delle mansioni
dell'amministrazione.
L' ultima tendenza, va sotto il nome di New Public
Management, un orientamento dello Stato che si lega in
modo stretto a quelli che sono i principi dell'azienda
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privata, il marketing e la customer orientation.
Le riforme degli stati comunitari, negli ultimi 30 anni in
Europa, hanno avuto il merito di rimodernare le
amministrazioni pubbliche, dando più potere alla
periferia e, al settore privato, la possibilità di occuparsi
d’ampie porzioni dell'amministrazione. Sono stati in
grado, in questo modo di snellire il pesante sistema
burocratico e di renderlo meno centralizzato e
piramidale. (Cassese S. - l'età delle riforme
amministrative in Riv.trim.dir.pubb. 2001)
Non tutti i mutamenti sono, però stati realizzati in
maniera pratica o almeno nel modo col quale erano stati
annunciati.
Lo studio del percorso, permette di trarre insegnamento
dai successi e dalle sconfitte, offre la possibilità di
valutare gli errori, derivanti dall'idea sbagliata, che il
settore pubblico e quello privato possano essere gestiti
allo stesso modo.
Partendo da questi presupposti, trovo interessante la
possibilità di applicare ad un ambiente reale, quello del
territorio nel quale vivo, gli strumenti più adatti ad una
gestione in linea con cambiamenti e migliorie derivate
dalle esperienze esempio di “buone prassi”.
Sfruttare un bagaglio applicativo delle teorie risulta
secondo me, il giusto approccio. Utilizzare le
applicazioni risultate più efficaci e partire da quelle,
appare un metodo in linea con le scienze sociali, in un
settore particolare come quello dell'amministrazione
territoriale, nel quale le risorse e le somiglianze rendono
possibile approcci simili a problemi già affrontati.
Le analogie tra territori simili però, non garantiscono
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risultati omogenei, l'impegno consiste nel riadattare i
contributi pratici alla specificità del territorio preso in
esame sperimentando, artigianalmente, un lavoro che
seppur in linea con altre esperienze, risulta sempre
originale.
Questo significa, sfruttare il contributo degli studi nel
campo della comunicazione ma anche i risultati vincenti
derivanti dalla pratica.
Gettare le basi, quindi, per un piano d'azione valido, che
sia in grado, di promuovere le opportunità derivanti da
un’innovazione rilevante.
Arena sostiene la necessità della collaborazione del
cittadino, credo che questo sia il doveroso passo iniziale,
comunicare cioè, le risorse in nuce della collaborazione e
promuoverle comunicando con la popolazione
L' intento è dunque, informare e convincere la comunità
della validità di un tale progetto, affrontando i mutamenti
necessari e le opportunità che derivano da un simile
miglioramento, partendo quindi, da un inquadramento
socio-storico-economico, necessario a capire lo stato
delle cose, approfondire il tema delle sfide degli
amministratori e le grandi risorse che, nell'ambito locale
si trovano, loro malgrado, a dover imparare a gestire.
Il lavoro, si pone l'obiettivo di dare un’idea del futuro
della nostra pubblica amministrazione, dell'importanza
della comunicazione in quella che somiglia molto ad una
particolare “azienda” di servizi.
Il rilancio del settore pubblico ormai da tempo in crisi è
una grande sfida, può essere vinta attraverso
l’adattamento; rimane difficile affrontare un sistema
restio al cambiamento, ma attraverso la collaborazione e
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la diffusione del “germe“ della comunicazione credo che
questa sfida possa essere vinta.
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Capitolo 1
Processi di cambiamento nelle pubbliche
amministrazioni
1.1 Comunicazione Pubblica e Linee di
evoluzione nella pubblica amministrazione
1.2 Dal globale al glocal, post-moderno,
cambiamento e identità locale
1.3 L'identità tra settore pubblico e impresa
1.4 La co-amministrazione
1.5 Dall'amministrazione bipolare
all'amministrazione condivisa
1.6 Il soggetto collettivo astratto
nella Costituzione
1.7 L'arena pubblica nell'amministrazione
dello Stato
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1.1 Comunicazione Pubblica e Linee di
evoluzione nella pubblica amministrazione
6 Novembre 1979, Massimo Severo Giannini, come
ministro della funzione pubblica invia al parlamento un
rapporto sui problemi dell'amministrazione dello Stato.
Documento inusuale ma di enorme portata innovativa.
Nelle conclusioni, il ministro, individua nell'assenza di
rapporti di comunicazione, una delle principali ragioni
del distacco tra cittadini e istituzioni.
L'immagine dello Stato era lontana, irragionevole ed
ambigua, la fiducia del cittadino, concluse il ministro,
non si avrà finché non sarà cancellata quell’immagine
percepita dal cittadino in quel momento, viene per la
prima volta messo a nudo il problema della
comunicazione tra cittadino e Stato.
Autorità e libertà, un continuum sul quale è necessario
intervenire per un nuovo volto dello Stato, una nuova
immagine attraverso una riforma profonda e complessa
che - lungimirante - si orientava verso quello che oggi
viene detto Stato leggero.
Con gli anni novanta le riforme, partendo dalla 241/1990,
indirizzano il loro impegno al cambiamento, dalla
trasparenza alla relazione col cittadino, fino alla nota
legge 150 di cui parleremo in seguito.
L'azione di comunicazione all'interno delle
amministrazioni, seppur manchevole e non sempre
adeguata, presenta una importante risposta dagli attori
della P.A., specialmente al livello locale, questo sintomo
di una diffusa volontà di cambiamento, rappresenta una
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forza delle cose che come dice Vittorio Emanuele
Orlando “ i volenti conduce e i nolenti trascina”.
L'amministrazione autoritaria e assistenziale si trova al
crepuscolo della propria storia, il vecchio sistema
burocratico e macchinoso lascia spazio al dinamismo
della collaborazione che fa leva su tre elementi: gli
strumenti forniti dalla legge, la forza trainante delle
amministrazioni che si battono per l'innovazione e la
coscienza civile dei cittadini (Sepe S. 1999).
Sepe crede nella forza e nell'entusiasmo dell'innovazione,
nel superamento della separazione tra cittadino e
istituzione attraverso la collaborazione e la
sperimentazione di soluzioni istituzionali nuove.
La trasformazione del sistema politico-istituzionale da un
lato, e quella del sistema delle comunicazioni dall'altro,
producono delle enormi possibilità d'azione che vanno
sfruttate.
Le fonti pubbliche che non conoscevano altro media che
la gazzetta ufficiale e i politici che si basavano su
comunicati stampa e interviste, trovano nella Presidenza
del Consiglio una pionieristica azione di rinnovazione.
Tenendo sempre in gran considerazione l'aspetto
identitario-istituzionale, la Presidenza del Consiglio,
utilizza per la prima volta, la comunicazione allo scopo
di fidelizzare le istituzioni e di caratterizzare l'immagine
del paese.
A metà degli anni '80, troviamo la rigenerazione della
struttura di informazione istituzionale presso la
Presidenza del Consiglio, l'intento è marcare una
diversità organizzativa e funzionale rispetto all'ufficio
stampa.
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Di questi anni la prima normativa che legittima le attività
pubblicitarie dello Stato, sancendo, anche grazie
interessanti sperimentazioni di campagne istituzionali, la
fine di quella che fu definita “la sindrome del
Minculpop” (Rolando S. 1987).
Gli anni '90 si aprono con l'esigenza di capovolgere la
cultura del silenzio e del segreto nelle pubbliche
amministrazioni; viene promulgata la legge 241/90 che
provoca tipi di accoglienza diversi. Lo stupore, da un
lato, di chi considera impensabile il fatto che un paese
moderno debba normare la trasparenza e l'accesso agli
atti pubblici, da altre parti l'entusiastico favore di chi
attendeva provvedimenti simili per un radicale
cambiamento istituzionale.
Un intervento che vedeva nello Stato il protagonista di
uno sviluppo che avrebbe dovuto basarsi sulla
comunicazione ma allo stesso tempo dava seguito al
processo che avrebbe portato a quella trasformazione che
Giuliano Amato chiama “società degli individui”(2002).
Attraverso tappe importanti come il trattato di
Maastricht, quelle che prima erano solo parole diventano
principi fondativi del rinnovamento, la sussidiarietà viene
recepita per legge dagli stati membri, le amministrazioni
pubbliche territoriali si trovano a fare i conti con nuovi
compiti e connotazioni nell'ambito della comunicazione;
gli sviluppi essenziali sono tre:
l'obbligo alla creazione di sportelli di relazione con il
pubblico attraverso il decreto legislativo 29/1993
l'obbligo a promuovere la “carta dei servizi”
l'obbligo ad un ripensamento di stile e qualità della
comunicazione scritta e parlata dalle amministrazioni
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Queste forme di sviluppo hanno tratto un enorme
giovamento dalla convergenza delle tecnologie ITC nella
società e nei pubblici uffici. L'evoluzione negli anni
procede senza soste, la disciplina delle attività di
informazione e comunicazione della 150/2000 è uno dei
passaggi più importanti. La globalizzazione presto viene
ricondotta alla sua vera dimensione, perdendo quell'aura
di ottimismo incondizionato che la identificava
inizialmente, entra così nel gergo comune il termine
glocalizzazione, che ne identifica in maniera più
realistica le implicazioni.
La carta delle autonomie di Strasburgo, è il primo
documento “europeo” a ravvisare, nelle comunità locali
uno degli elementi fondamentali di ogni sistema
democratico.
Il caso italiano nasce agli inizi degli anni novanta con la
riforma “Bassanini” (legge n. 59/1997) e il federalismo
amministrativo per poi trovare ampia sistemazione nella
riforma del titolo V della costituzione con legge
costituzionale n.3 del 2001.
Il lavoro che si sta portando avanti, arriva a stabilire una
parità nella formazione della repubblica da parte dei
sistemi locali che, inquadrati in un nuovo spazio globale
contribuiscono a determinare un sistema di governance
policentrico e multilivello (Messina P. 2003).
Dal sistema di delocalizzazione del potere
amministrativo, diventa decisivo cogliere opportunità
interessanti per il territorio, sostanzialmente liberato da
vincoli di competenze decisionali centrali, dotato della
libertà necessaria di agire in maniera autonoma.
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Appare fondamentale, una organizzazione in grado di
gestire le potenzialità degli enti locali, sfruttando al
meglio, le limitate risorse economiche e finanziarie.
I processi di glocalizzazione conferiscono al territorio
locale la facoltà e l’obbligo di selezionare strategie
d’azione e sperimentarle direttamente; un territorio di
questo tipo, dall'aspetto del tutto nuovo, non corrisponde
a una semplice unità politico-amministrativa, strutturata
secondo confini delineati dal centro ma segue una
aggregazione territoriale, rispondente a criteri di
omogeneità, di volta in volta economici, etno-culturali ed
ecologici.
È importante, quindi, prendere coscienza del proprio
valore, delle peculiarità, della propria realtà territoriale,
delle risorse e dei vincoli; organizzando, attraverso la
pianificazione degli interventi, le risorse e le potenzialità
di un sistema territoriale.
Gli effetti delle spinte verso la glocalizzazione portano a
quelle che Bertrand Badie (1996) indica come
appropriazione identitaria del territorio, le popolazioni
locali si affermano come nuovi centri, assegnando un
primato ai propri codici culturali e interessi materiali.
L'autore, individua due tipi di glocalismo (difensivo ed
espansivo) uno, come reazione protettiva, nei casi in cui è
necessario ristabilire un equilibrio destabilizzato dalla
globalizzazione; il secondo tipo è il caso nel quale
l’accento è posto sull’attivismo locale per la massimiz-
zazione delle proprie risorse.
La ridefinizione dei ruoli centro-periferia, porta queste
ultime ad accentuare l’intervento in settori specifici della
policy che possono essere definiti come settori della
cittadinanza.
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Ogni realtà locale, deve fare i conti con la propria
specificità e col tessuto sociale presente sul territorio,
elaborando un diverso tipo di welfare mix.
Il venir meno del ruolo dello Stato nazione come attore
centrale delle politiche, cambia l’equilibrio nelle scelte
strategiche verso un trasferimento costante di quote di
sovranità.
Il fenomeno della elasticizzazione dei confini, con la
perdita delle barriere territoriale segnate dagli stati
nazione, porta una particolare disfunzione, i sistemi
territoriali, mettono in subordine l’interesse nazionale
comune, in favore di quello periferico.
L'interesse locale varca i confini nazionali, collaborare
con territori di stati diversi fornisce una emancipazione
dal legame con lo Stato centrale; territori comunitari che
si trovano a collaborare sotto un unica bandiera, quella
europea.
La gamma aperta di spinte al mutamento induce gli attori
territoriali a costruire nuove reti sistemiche e nuove
formule gerarchiche, tali reti sono essenziali per la
creazione di coalizioni tese alla corsa verso risorse
economico-finanziarie (Magnier A. Russo P. 2002).