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Introduzione
Il presente elaborato si occupa di analizzare il rapporto tra stratificazione sociale e pratiche di
consumo, con un’attenzione particolare a quelle relative all’uso dei media. L’interesse per tale
argomento nasce nell’ambito della sociologia della conoscenza, ambito disciplinare che si interessa
di come la collocazione sociale di un individuo condizioni la sua concezione del mondo e dunque
il suo modo di vivere.
L’influenza della stratificazione sociale comprende un ampio ventaglio di aspetti della vita quali il
linguaggio, la visione del mondo e l’ideologia, l’immaginario sociale, fino a riguardare la
partecipazione sociale e politica e lo stile di vita. Tra la dimensione inerente alle visioni del mondo
e quelle più strettamente legate allo stile di vita possiamo collocare il comportamento di consumo:
in sociologia si evidenzia la natura sociale delle pratiche di consumo e la loro differenziazione a
seconda dei gruppi sociali.
Dopo una rassegna complessiva su questo tema generale, la tesi si sofferma sul consumo mediale,
dato il crescente peso dei media nella società.
L’obiettivo del lavoro è dunque, alla luce delle diverse teorie che si sono susseguite nel tempo,
comprendere se sia ancora possibile parlare di differenziazione sociale nell’ambito delle pratiche di
consumo e in particolare nel consumo dei media. Per fare ciò il primo capitolo si occupa di
illustrare le principali teorie classiche sul rapporto tra consumi e classi sociali. Già a partire
dall’Ottocento diversi autori hanno notato la sistematicità di alcune pratiche di consumo e ne
hanno cercato di stabilire le cause. Per Simmel (1895) ciò che conta è l’imitazione derivante dalla
necessità di vivere in società, mentre per autori come Veblen (1899) e Riesman è necessario
considerare rispettivamente la tendenza all’ostentazione delle classi superiori e la differenziazione
dovuta al bisogno di appartenenza (e quindi di distinzione tra “un noi” e “un loro”).
Successivamente ci si è focalizzati sul concetto di consumo di massa, riguardante beni
standardizzati e diffusi su larga scala. A questo proposito va detto che fino agli anni Settanta del
Novecento la produzione industriale di massa è stata analizzata criticamente, in quanto ad essa è
stata associato un consumo passivo, dove la quantità sembrava prevalere sulla qualità.
Quest’ultima, secondo la prospettiva critica, veniva meno anche nell’ambito dei consumi culturali
tanto che, ad esempio, gli autori della Scuola di Francoforte hanno parlato di “semi-cultura” per
indicare il livellamento verso il basso dei gusti dovuto alla produzione in serie. In questo contesto
il consumatore risulta passivo, influenzabile e facilmente manipolabile dai detentori dei mezzi di
produzione, ovvero la classe dominante. Anche Baudrillard (1972) si pone in maniera critica nei
confronti del sistema di produzione, ma si distacca dalle teorie francofortesi in quanto attribuisce
al consumo una funzione ideologica, e dunque il potere di fornire regole di consumo specifiche per
ciascuna classe, naturalizzando così le differenze sociali.
La tesi passa poi in rassegna le più recenti prospettive analitiche che, a seconda dei casi, hanno a
loro volta preso le distanze dalla prospettiva francofortese, sebbene con un diverso gradiente di
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critictà. Da un lato gli studidi Katz (1957), Lazersfeld (1955) e Hovland(1953) hanno permesso di
comprendere il ruolo attivo che il consumatore assume nel processo di fruizione dei contenuti
mediali, e hanno consentito il successivo sviluppo di filoni di studi, come i Cultural Studies grazie
al contributo di Hall (1973), che pongono il consumatore al centro del processo di fruizione e
comprensione di un messaggio.
La scuola di Birmingham dei Cultural Studies ha portato a un modo innovativo di esaminare le
subculture di classe come stili di vita. Un ulteriore sviluppo in questo senso si è avuto con
Bourdieu, che ha considerato questi stili come l’esito dell’incorporazione delle condizioni sociali in
veri e propri principi di classificazione della realtà. In tal senso il concetto di habitus si è mostrato
molto utile.
Tuttavia, questa tesi ha voluto rispondere alla domanda relativa all’effettiva differenziazione
culturale e al suo legame con i meccanismi di riproduzione sociale, aggiornando l’analisi con i più
recenti studi sulla fruizione mediale.
In sintesi, lo sviluppo della teoria del Knowledge gap (1970) continua a mostrare una buona
validità, perché consente di comprendere come la posizione sociale ricoperta rappresenti un
significativo punto di partenza anche nella fruizione dei contenuti mediali.
Ciò ha portato ad allargare lo sguardo agli studi sui consumi mediali sviluppatesi dagli anni
Ottanta in poi. In questo modo è stato possibile declinare il tema della tesi al caso specifico del
consumo dei nuovi media. Dopo una breve introduzione che illustra le caratteristiche peculiari
della società attuale, presentata come Società dell’Informazione, sono riportati numerosi contributi
empirici provenienti da diversi studiosi che analizzano il rapporto tra consumo mediale e
stratificazione sociale. Le ricerche presentate riguardano sia l’ambito qualitativo delle pratiche,
ovvero come un individuo di una certa categoria sociale si appropria e utilizza il media, sia
l’ambito quantitativo, ovvero la quantità di tempo dedicata dai diversi soggetti nelle pratiche di
consumo dei nuovi media.
Questo tipo di analisi fa emergere la presenza di un insieme di processi contraddittori, così
sintetizzabili: se è vero che la produzione mediale tende in parte all’omologazione culturale, è
altrettanto vero che le persistenti diseguaglianze tra gruppi/classi sociali si riflette ancora in una
differenziazione nelle pratiche di consumo. In altre parole, le differenze nei consumi mediali non
sono casuali e collegate alle mere disposizioni individuali, ma in parte non irrisoria riflettono le
diseguali possibilità delle classi sociali di fruire adeguatamente dei media, nuovi e tradizionali.
Allo stesso tempo, l’omologazione culturale potrebbe configurarsi secondo una tendenza di
livellamento verso l’alto, ossia in senso emancipatorio. Si tratta di un tema da approfondire, perché
va compreso a quali condizioni ciò possa verificarsi questo esito.
L’analisi qui condotta porta per il momento a volgere lo sguardo alla Media Education,un ambito
su cui investire allo scopo di rafforzare proprio questa potenziale dinamica emancipatoria.
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Capitolo Primo
Il rapporto tra stratificazione sociale e consumo nelle teorie
classiche
1.1 Stratificazione sociale e pratiche di consumo
Il concetto di stratificazione sociale fa riferimento alla diseguale distribuzione delle risorse
socialmente rilevanti (materiali e non) tra gli individui, in quanto tali aggregabili in gruppi. In
sociologia sono presenti due diversi approcci al tema, uno tipico della tradizione nordamericana e
uno di matrice europea. La prima presuppone la mera ripartizione degli individui in strati,
facilmente ordinabili, per l’ammontare di risorse come il denaro, il potere e più in generale il
prestigio. La sociologia europea,invece, tende a concepire la società come basata su relazioni di
potere tra collettività strutturate derivanti dalla divisione del lavoro. In altri termini, per la
sociologia europea esistono vere e proprie classi sociali a cui gli individui appartengono e dalle
quali dipendono il loro destino professionale e più in generale le opportunità e condizioni di vita.
Nonostante le differenze tra gli approcci europei, si pensi solo alla distinzione tra la prospettiva
marxiana e quella weberiana, dunque, la divisione in classi sociali è ritenuta una delle
caratteristiche fondanti delle società moderne, inclusa l’attuale. La differenza principale tra i due
approcci dunque, oltre al criterio di distinzione, è la concezione ontologica del gruppo descritto. La
matrice nordamericana infatti considera gli strati non come un’entità concrete ma come aggregati
descrittivi con fine statistico; nella matrice europea al contrario la classe rappresenta di per sé un
attore sociale, in quanto rappresenta un soggetto collettivo portatore di interessi comuni. Anche su
quest’ultimo aspetto, in verità, esistono approcci differenti; tuttavia, quello che si vuole
sottolineare in questa tesi è l’esistenza di un rapporto di influenza significativo tra la condizione
sociale in cui un individuo si trova, e che ci può portare a distinguerlo per l’appartenenza a una
certa classe, e la probabilità che questi si caratterizzi per un certo tipi di consumi, e dunque per
uno specifico stile di vita.
Lo studio del fenomeno del consumo ha infatti interessato diversi autori, che ne hanno colto e
analizzato gli aspetti significativi nella prospettiva dell’analisi della differenziazione sociale.Le
teorie successivamente presentate hanno dunque rappresentato uno spunto interessante per
evidenziare come la posizione sociale di un individuo, determinata dalle risorse in suo possesso
(economiche,sociali, culturali ecc.), sia in grado di influenzare opinioni, atteggiamenti e pratiche,
incluse quelle collegate al consumo. Esso rappresenta nelle società industriali e post-industriali
una componente fondamentale dell’agire sociale, poiché si presenta come atto comunicativo,
grazie al quale l’individuo comunica la sua collocazione e visione del mondo. Il ruolo del consumo
diventa ancora più rilevante nelle società occidentali post-industriali: in esse si assiste infatti ad un
processo di trasformazione, che proietta la società verso un assetto neoliberista, fondato cioè sulla
natura intrinsecamente competitiva della società umana; in questo contesto dunque il consumo
diventa fondamentale nella definizione dell’identità sociale di un individuo, ricoprendo il ruolo
finora occupato dal lavoro. Quest’ultimo infatti ha rappresentato il principale criterio di
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differenziazione della popolazione nelle società industriali. In esse infatti l’ambiente di lavoro
tendeva a inglobare l’intera essenza del singolo. Ciò avviene innanzitutto perché nelle società
industriali il lavoro tendeva a rimanere fisso e stabile nell’intero corso di vita dell’individuo. In
questo senso il lavoro si prospetta come l’ambito principale in cui instaurare relazioni al di fuori
della famiglia. Nelle società post-industriali al contrario, con la precarizzazione del lavoro e
l’avvento di numerosi stimoli a cui l’individuo può sottoporsi, l’ambiente lavorativo rimane solo
uno tra i tanti ambiti in cui formare la propria identità sociale.
Comunque , negli ultimi anni alcuni sociologi hanno ritenuto che il concetto di classe sociale non
sia più adatto per analizzare i fenomeni e la struttura delle società contemporanee. Hanno scritto
ad esempio Clark e Lipset (1991, pp.397-410) :
“Negli ultimi decenni man mano che le gerarchie tradizionali perdevano di importanza ed
emergevano nuove differenze sociali, l’analisi di classe si è rivelata sempre più inadeguata […]. Il
concetto di classe, per quanto utile nello studio dei precedenti periodi storici, è sempre più
superato”.
Ciò implica che secondo questo paradigma la posizione sociale di un individuo non condiziona le
sue scelte e i suoi comportamenti.
L’obiettivo dell’elaborato è dunque indagare, sulla base degli studi e delle teorie qui presentate, se
e come le pratiche di consumo siano tuttora significativamente influenzate dalla posizione sociale
occupata dall’individuo. L’analisi muove dalle teorie classiche che, sviluppate nei contesti tipici
della società industriale, evidenziano il legame tra la collocazione dell’individuo nella struttura
sociale e i suoi atteggiamenti di consumo. È tuttavia necessario specificare che nell’utilizzo della
classe sociale come variabile, l’approccio utilizzato nelle analisi prende le distanze, salvo poche
eccezioni, da ogni forma di determinismo.
1.2 Georg Simmel: la moda
Uno dei primi e più significativi contributi allo studio del consumo come fenomeno sociale
influenzato dalla struttura delle disuguaglianze è riscontrabile nelle analisi di Georg
Simmel(1890;1895) . L’autore accoglie e sviluppa il concetto di classe sociale rendendolo tema
centrale nella sua analisi del consumo e in particolare della moda. Le influenze teoriche a cui è
sottoposto l’autore gli offrono un punto di vista ben preciso sulla funzione delle classi sociali;
Simmel infatti risulta influenzato dalla filosofia di Marx, con il quale dimostra continuità su diversi
aspetti. Nell’analisi marxiana le classi sociali assumono una rilevanza fondamentale nel processo
storico in quanto, tramite il loro conflitto, ne rappresentano il motore. Tuttavia Simmel riprende la
centralità delle classi sociali ma si distacca dall’origine di esse presentata da Marx. Per
quest’ultimo infatti la differenziazione sociale nasce a partire dal possesso (e non possesso) dei
mezzi di produzione, andando così a distinguere chi li possiede , i borghesi , e chi possiede solo la
propria forza lavoro ed è costretto a venderla , i proletari. Distaccandosi dall’approccio marxiano ,
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Simmel identifica l’origine della differenziazione sociale nella natura intrinseca della società. Essa è
infatti definita dall’autore come risultato dinamico di un insieme di interazioni tra singoli
individui, che si cristallizzano nel sociale tramite il processo di sociazione. Il risultato di questo
processo è dunque la creazione di entità oggettive e autonome rispetto al singolo individuo.
Risulta quindi fondamentale nella sociologia formale di Simmel la funzione delle relazioni tra
individui, essendo queste la fonte dalla quale la società prende forma.
Tramite l’interazione e la relazione inoltre si entra a far parte di determinate cerchie sociali , di cui
Simmel distingue due fattispecie, le cerchie concentriche e quelle parallele. Nelle prime, tipiche di
una società tradizionale, l’individuo crea la sua identità basandosi sulle relazioni primarie che
intesse, che lo portano a condividere appieno le norme e le consuetudini della cerchia, creando un
bagaglio di esperienza simile a coloro che appartengono alla stessa cerchia; nelle seconde al
contrario, tipiche di una società più complessa, le relazioni si moltiplicano, poiché l’individuo
appartiene contemporaneamente a più gruppi sociali di cui condivide solo parzialmente le norme
e i valori. È proprio nel contesto delle società più complesse che il soggetto tende a sviluppare una
forma di autonomia rispetto alle relazioni che intesse, andando a costruire un’identità più
complessa e disomogenea, prendendo coscienza del proprio io radicale e ricercandolo tramite
forme di individualismo. Alle due forme di società, tradizionale e complessa, Simmel associa due
tendenze umane che prevalgono a seconda dal contesto sociale di riferimento. Proprio su questo
assunto si basa l’analisi del consumo dell’autore, il quale ne analizza una forma specifica:la moda,
definita come “sistema di coesione sociale che permette di conciliare dialetticamente la chiusura
dell’individuo entro un gruppo e la sua indipendenza relativa nel territorio dello spirito” (Simmel,
La moda, 1895, p. 44). Nella celebre opera intitolata proprio “La moda” Simmel affronta il tema
del consumo collegando le sue motivazioni alla struttura sociale, in particolare si affronta il tema
secondo lo schema della differenziazione tra classi sociali non equipollenti. All’origine del
consumo, l’autore rileva due motivazioni umane opposte:l’imitazione e la differenziazione.
L’imitazione fornisce sicurezza all’individuo, appagando il suo bisogno di appartenenza ad un
gruppo sociale e di accettazione in comunità; inoltre il percorso di socializzazione comprende e
involve in una certa misura processi emulativi rivolti a modelli presi come riferimento, e in ultimo
libera parzialmente dall’onere della scelta. Al contrario la tendenza alla differenziazione risponde
al bisogno di sperimentare e di distinguersi, al fine di affermare la propria individualità come
differente da quelle altrui. In questo senso la moda, dunque il consumo, sono il risultato della
dialettica tra due tendenze che, in maniera opposta ma complementare, permettono all’individuo
di collocarsi socialmente in un determinato gruppo. Queste due motivazioni umane sono associate
dall’autore alle due forme di società. Infatti la tendenza all’emulazione è più diffusa nelle società
definite primitive, cioè con una organizzazione più omogenea, caratterizzata da principi basati
sulla tradizione e su valori antichi difficilmente messi in discussione. In questo ambito l’individuo
non sente la necessità di differenziarsi poiché la dimensione collettiva prevale su quella
individuale. Al contrario nelle società complesse, caratterizzate da un numero maggiore di
elementi e conseguentemente da un’organizzazione più articolata, il desiderio di differenziarsi
nasce dal timore di mischiarsi con i gruppi sociali inferiori al proprio.