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processi, nuove figure professionali, nuove strutture
organizzative, una diversa concezione delle persone.
Lo studio ha tentato di individuare questi
cambiamenti nel lavoro all’interno della fabbrica, in
relazione proprio alle competenze richieste ai
lavoratori, ai ruoli professionali, all’ambiente di lavoro,
alle strutture organizzative impiegate.
Tale indagine ha comportato, in prima istanza,
un’analisi attenta della letteratura socio-economica del
settore, riguardante l’evoluzione delle tecnologie di
processo, dell’organizzazione della produzione, delle
strutture organizzative, dei rapporti con il mondo del
lavoro, del mercato e di tutto ciò che riguarda il mondo
dell’automobile e dell’industria.
Nel primo capitolo viene trattata l’evoluzione dei
sistemi di produzione nel settore automobilistico, dalla
produzione artigianale, al fordismo e alla produzione di
massa e, infine, alla produzione snella, nel tentativo di
individuare il cambiamento nei processi produttivi e
nella logica che soggiace a essi. L’evoluzione del
mercato ha condizionato il significato di termini quali
efficienza, efficacia, e tutte le considerazioni strategiche
che ruotano attorno a tali concetti. La necessità di un
coinvolgimento maggiore delle maestranze, infatti,
deriva soprattutto dal cambiamento di concezione di
efficienza, prima considerata attraverso i parametri
della produttività, ora in base a quelli della qualità.
Lo sviluppo del pensiero organizzativo
rappresenta il tema del secondo capitolo. Si cercherà di
capire il ruolo della tecnologia nella progettazione
organizzativa, e si cercherà di delineare il percorso
attraverso il quale si è giunti ad implementare
microstrutture operative quasi del tutto autonome, con
8
l’intento di dimostrare il vantaggio di progettare
organizzazioni fondate sulla delega e sullo sviluppo
delle persone, piuttosto che sul controllo e la leva
gerarchica. Le teorie tayloristiche hanno pervaso il
pensiero organizzativo tanto da far pensare che non
possano esistere organizzazione che prescindono da tali
principi. Le rigidità di tali sistemi sono state messe in
discussione dalle ripetute crisi susseguitesi dagli anni
’70, facendo sorgere la necessità di nuove forme
organizzative più flessibili e con una maggiore capacità
di risposta ai cambiamenti del mercato.
Il terzo si occupa di quella che è stata la storia del
lavoro in fabbrica. Partendo dalla suddivisione storica
in fasi tecnologiche che ne segnano l’evoluzione,
delineata da Touraine, si cercherà di esplicare le
caratteristiche e le logiche interne per ogni fase. Anche
in questo capitolo si tenterà di mostrare quanto la
fabbrica con gli anni diventi sempre più “umana”, più
attenta ai bisogni sociali e psicologici delle persone che
vi lavorano. D’altra parte, verranno individuate alcune
tendenze che caratterizzano il mercato del lavoro,
l’evoluzione dei ruoli professionali, del concetto di
qualificazione, soprattutto in relazione alla decadenza
dei lavori non qualificati e all’affermazione dei
cosiddetti “lavoratori della conoscenza”.
Il mercato automobilistico internazionale, con
l’analisi del mercato europeo e di quello americano, il
successo dell’industria giapponese, e l’avvento dei
cinesi è trattato nel quarto capitolo. Oltre a fornire una
panoramica generale, l’analisi del settore permette di
comprendere quanto le dinamiche del mercato siano
fondamentali nella “scelte organizzativa”.
9
L’ultimo capitolo è quello che più strettamente si
occupa della ricerca svolta nello stabilimento di
Cassino, dell’evoluzione dei modelli organizzativi
all’interno del sito produttivo, in particolare dell’analisi
dell’ultimo, quello della Fabbrica Integrata Modulare.
L’analisi sul campo permette di verificare se
alcune ipotesi sorte nella prima fase siano riscontrabili
nella realtà. Sono state raccolte informazioni con vari
strumenti, attraverso documenti forniti direttamente dal
personale, interviste all’Ergonomo, al Responsabile
Sviluppo e Organizzazione e attraverso un periodo di
osservazione diretta all’interno della fabbrica. L’ultima
parte contiene un appendice con all’interno altro
materiale utili alla trattazione dell’argomento.
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Cap. 1 - Evoluzione dei sistemi di
produzione nel settore automobilistico
In questo capitolo verrà analizzata l’evoluzione
dei modi di produzione in relazione all’andamento dei
mercati, dalle prime forme di produzione artigianale,
fino all’ultime forme di produzione snella e
deverticalizzata. Sarà facile osservare come
l’evoluzione tecnologica sia dovuta maggiormente alle
mutate condizioni di mercato, piuttosto che a
caratteristiche interne della tecnologia stessa. In altre
parole, quando l’industria automobilistica ha tentato di
innovare radicalmente il proprio sistema di macchine, lo
ha fatto sempre cercando di sopravvivere ai mutamenti
che avvenivano nel mercato, anche a costo di cambiare i
propri valori di riferimento, e il proprio modo di
intendere i termini efficacia e efficienza.
Se nella fabbrica fordista l’istanza primaria era
quella di ridurre i costi attraverso economie di scala,
con la saturazione dei mercati e l’ingresso di nuovi
concorrenti, produrre sempre maggiori quantitativi di
prodotto non basta, perché gran parte di essi resterebbe
invenduta. L’emergente “economia della flessibilità”
rende necessario catturare anche i più piccoli segnali e
sfruttare ogni opportunità che il mercato offre e per fare
questo è indispensabile rendere conveniente produrre
piccoli lotti, quasi on demand. Tutto il sistema si adatta
a questo nuovo stato di cose, si cerca di produrre
riducendo le scorte, progettando tecnologie più
velocemente sostituibili, si cerca maggiore
coinvolgimento dei dipendenti e dei fornitori, e
soprattutto si cerca di degerarchizzare, integrare le
funzioni e rendere maggiormente autonome le fasi
11
produttive. Molte imprese europee, per superare le
difficoltà insite in questo nuovo stato di cose, negli anni
‘70 hanno fatto completo affidamento alle macchine,
tentando di automatizzare completamente i processi,
senza tenere in considerazione gli altri fattori su cui si
fonda la cosiddetta “economia della flessibilità”,
ottenendo severi fallimenti e costringendoli a
riconsiderare l’importanza delle persone nella
realizzazione dei processi. La globalizzazione dei
mercati e il conseguente prossimo avvento
dell’industria automobilistica cinese pone nuove sfide
alle case automobilistiche esistenti, non solo per le
importanti quote di mercato che inevitabilmente
vedranno erose, ma anche per la possibilità di non
riuscire a rimanere competitivi, vedendo di nuovo
minacciata la propria esistenza.
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1. Produzione artigianale
Agli inizi del secolo vengono a costituirsi nei
paesi più industrializzati numerose aziende nel settore
automobilistico, quasi un centinaio solo in Italia. Come
qualsiasi settore appena nato, esso è subito
caratterizzato da una forte turbolenza a cui fa seguito
una prima fase di assestamento. Tutti agiscono contro
tutti nei diversi contesti nazionali facendo si che si
verifichi una drastica selezione dei concorrenti. Quelli
rimasti investono notevoli somme finanziarie per
espandere il settore e creare le basi per produrre e
commercializzare i beni a livello internazionale.
Il sistema di produzione che caratterizza tale
periodo è quello artigianale. In realtà, esistono varie
forme di produzione classificabili con questa etichetta,
ma in comune hanno alcune caratteristiche
fondamentali che le differenziano in maniera
sostanziale da quella che sarà la produzione di massa.
Esse possono essere semplificate nelle seguenti
1
:
1. Strutture estremamente decentrate. Piccole
officine meccaniche ubicate nella stessa
città, da cui provenivano quasi tutti i pezzi
e gran parte della progettazione
dell’automobile. Il proprietario coordinava
il sistema tenendosi in contatto con tutti gli
interessati: clienti, dipendenti e fornitori.
2. Utilizzo di strumenti semplici, ma flessibili
per eseguire le operazioni sul metallo o sul
legno.
1
Womack et al., La macchina che ha cambiato il mondo, Rizzoli,
Milano, 1991.
13
3. Manodopera altamente specializzata in
progettazione, lavorazioni meccaniche e
montaggio per creare esattamente ciò che il
consumatore chiedeva. La formazione
avveniva attraverso l’apprendistato, e
attraverso l’esperienza pratica. Queste
forme di addestramento garantivano agli
operai di acquisire con gli anni tutte le
conoscenze teoriche e pratiche e tutte le
abilità tecniche manuali esistenti.
4. Produzione ridotta. Si produceva un articolo
alla volta e non più di mille automobili
l’anno, di cui solo alcune (una cinquantina)
sullo stesso progetto e tra queste non
esistevano neppure due uguali, perché pur
volendo produrre due esemplare identici, le
tecniche artigianali producevano comunque
delle variazioni.
La forma più semplice di organizzazione
artigianale era la bottega artigiana, in cui il proprietario,
l’artigiano, si occupava in prima persona della
produzione. Senza macchinari specializzati, svolgeva il
proprio lavoro affiancato da qualche apprendista. Non
esistevano né sistemi di delega, né una organica
divisione del lavoro, cosicché l’artigiano doveva anche
acquistare le materie prime, supervisionare il lavoro, e
vendere i prodotti direttamente al consumatore,
nell’ambito di un mercato a carattere locale.
In realtà, anche le prime aziende avevano una
dimensione tale da non poter essere considerate
propriamente botteghe. Esse si svilupparono attraverso
il sistema dell’appalto, in cui l’appaltatore
14
commissionava a un certo numero di artigiani la
produzione di una certa quantità di prodotti, stabilendo,
egli stesso, anche gli standard di prezzo e qualità di
prodotto. Solo la funzione commerciale di acquisto
delle materie prime, e la proprietà dei mezzi di
produzione rimaneva centralizzata, mentre per la
produzione esistevano strutture sparse separate. Per la
prima volta, l’operatore vede erosa una parte della
propria autonomia decisionale, nei confronti di un
soggetto altro, che influenza il corso stesso della
produzione e le modalità del processo di lavorazione.
L’artigiano possedeva, comunque ampi spazi
discrezionali dovuti alle competenze esclusive in sue
possesso.
Le case automobilistiche rimaste cominciano a
sviluppare capacità organizzative e manageriale
adeguate alla complessità del prodotto automobilistico
ed evolvono nel sistema della manifattura. Tale
sistema di produzione è ormai vicina alla fabbrica
taylor-fordista. Esso è stato definito da Friedman
2
come: " uno stabilimento su larga scala, con divisione
del lavoro, sufficientemente grande (a differenza della
bottega artigianale) per contemplare una divisione
funzionale tra l'organizzazione della produzione da un
lato e l'esecuzione del lavoro dall'altro". Il discriminante
rispetto alla fabbrica di massa è la mancanza quasi
totale di macchine specializzate.
La produzione artigianale aveva la grande qualità
di rendere plausibile la fabbricazione di ogni prodotto
secondo i precisi desideri dei singoli acquirenti, ma era
caratterizzata da numerosi limiti fra i quali vanno
2
Friedman A., Industry and Labour. Class struggle at work and
monopoly capitalism, Mac Millian Press, London, 1977.
15
segnalati i costi altissimi, la mancanza di prove
sistematiche sull’affidabilità e sulla durata del prodotto,
nonché l’incapacità di sviluppare nuove tecnologie per
la mancanza di risorse e la conseguente impossibilità di
seguire le innovazioni principali.
Con l’affermazione della produzione di massa,
non tutte effettuarono la riconversione al nuovo
modello e per questo furono costrette a chiudere.
Alcune, però, sono sopravvissute fino a giorni
nostri, continuando a produrre per ridotte nicchie di
mercato nel segmento superiore di lusso, nel quale
possiamo trovare acquirenti disposti a spendere
cospicue cifre pur di poter vantare un’immagine
esclusiva.
Una ulteriore situazione di crisi ha caratterizzato
questo sistema di produzione intorno agli anni ’80,
dovuto all’accelerazione del progresso tecnologico
nell’industria automobilistica, così alcune di esse sono
state costrette ad allearsi con i giganti del settore (si
pensi alla Aston Martin e alla Ferrari, che hanno dovuto
allearsi rispettivamente con la Ford e la Fiat). La finalità
di queste alleanze è soprattutto quella di acquisire
competenze specialistiche in diverse aree, ad esempio la
sicurezza, perché svilupparle indipendentemente
avrebbe comportato costi altissimi.
Negli anni ’90, con l’affermazione della
produzione snella nei paesi occidentali, queste aziende
incorrono un’altra minaccia, perché le aziende del
settore guidate dai giapponesi cominciano a mirare alle
loro nicchie di mercato.
16
Negli ultimi anni, aziende come la Ferrari,
puntano ancora a rafforzare la loro immagine, attraverso
politiche di marketing volte alla valorizzazione della
propria storia, del know-how sviluppato e dei successi
in ambito sportivo, e puntando prepotentemente verso
l’innovazione tecnologica.
17
2. Il fordismo e la produzione di massa
Nella sua opera Taylor, denunciava l’esigenza di
nuove forme di gestione d’impresa
3
. Nei fatti, però, i
principi tayloristici erano difficilmente applicabili dalle
imprese perché comportavano notevoli problemi di
adattamento sia da parte del management, che delle
maestranze. Era difficile cambiare lo stato delle cose,
toccare le situazioni di potere, sconvolgere la logica
organizzativa.
Il compito di superare i limiti del taylorismo è
spettato a un produttore di automobili, Henry Ford.
Convinto che era finita l'era di considerare l'auto un
bene di lusso, prodotto in pochi e costosissimi
esemplari, Ford decise di lanciare sul mercato, nel
1908, una vettura per la massa, robusta e sicura, con un
prezzo "così basso che ogni lavoratore ben salariato
sarà nella possibilità di averne una"
4
. Naturalmente, il
"Model T" fu un successo senza precedenti: in tre anni
ne vennero vendute oltre 36.000.
2.1 Presupposti per il fordismo e la produzione di
massa
L’industria verso la fine dell’800 presentava
determinate caratteristiche che prefiguravano il
possibile sbocco verso una produzione su larga scala.
Innanzitutto i progressi tecnologici; la dimensione degli
3
Per approndire gli aspetti relativi al taylorismo vedi il cap. 2.
4
Ford H., La mia concezione del progresso industriale, SIT,
Torino, 1930.
18
impianti; il tipo di manodopera; l’espansione del
mercato già citata
5
:
1. I progressi tecnico-scientifici:
Si poté assistere alle prime forme di
dequalificazione operaia, attraverso
l’inglobamento nelle macchine di alcune
competenze prima possedute dagli operai.
Questo, insieme al perfezionamento dei
metodi di misurazione, permise la
standardizzazione dei mezzi di produzione.
L’intercambiabilità dei pezzi sia per i
prodotti finiti complessi, che per le macchine
utensili, permise di ridurre enormemente i
tempi di montaggio, aumentando così i
volumi di produzione.
L’ultimo fenomeno a cui si assistette è la
specializzazione delle macchine utensili:
macchine totalmente nuove per compiere
operazioni sempre più specifiche.
2. Offerta di lavoro non qualificata e alta mobilità.
L’espansione dell’industria richiede un
reclutamento sempre più largo di manodopera.
Una fascia di popolazione sempre maggiore
decide di provvedere al proprio sostentamento
lavorando nelle nuove fabbriche industriali. Il
bisogno di lavoro cresce al punto che si ricorse al
reclutamento di masse di estrazione contadina.
La manodopera era estremamente mobile, sia
5
Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli,
Milano, 2000.
19
perché le imprese non garantivano alcuna
sicurezza di impiego, sia perché i lavoratori
erano alla continua ricerca di un lavoro migliore.
Il tasso di avvicendamento nelle fabbriche era
quindi estremamente alto e il continuo ricambio
di manodopera acuiva il problema del rapido
apprendimento di elementari procedure di lavoro.
3. Le percepite potenzialità espansive del mercato e
mercati omogenei. La scelta di avviare una
produzione di massa è legata all’illuminante
intuizione di marketing, per cui si ipotizzava che
abbassando i costi di produzione sarebbe stato
possibile creare un nuovo ampio mercato di
massa per un prodotto considerato elitario come
l’automobile. L’idea principale era che tali
prodotti non rispondevano ad esigenze di poche
persone, piuttosto tali bisogni erano diffusi nella
popolazione e, in più, erano omogenei, per cui
potevano essere soddisfatti con lo stesso identico
prodotto per pubblici diversi. L’ipotesi iniziale,
in realtà, era ancora più radicale: un costante
abbassamento dei costi avrebbe creato una
espansione praticamente illimitata del mercato.
La variabile strategica su cui puntare per battere
la concorrenza era la riduzione dei costi più che
la qualità e l’innovazione dei prodotti. Si aveva
così la certezza che indovinata la formula di un
prodotto, la fabbricazione poteva continuare per
anni senza grosse varianti. Anche se l’ipotesi
dell’illimitatezza dei mercati è stata smentita, le
forti economie di scale hanno permesso ingenti
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ritorni economici facendo diventare le automobili
un prodotto per chiunque.
2.2 La fabbrica fordista
Ford, a differenza di Taylor, non ha l’illusione di
insegnare l’unico modo migliore di lavorare, ma cerca
di disporre le cose in modo che si possa lavorare al
meglio. Il punto di svolta fu dato dalla trasformazione
delle operazioni di montaggio, nelle quali il punto di
lavoro era il massimo. Il vecchio sistema, secondo cui
la scocca della vettura era ferma e gli operai vi giravano
intorno, montando i pezzi, creava nell'officina una gran
confusione, con gruppi di operai che correvano alla
ricerca del materiale giusto, dell'arnese adatto Egli
racconta che il primo passo fu fatto “quando si
incominciò a portare il lavoro agli operai e non gli
operai al lavoro”. L’altra sua grande intuizione sul
processo produttivo, come ha sottolineato
J.P.Womack
6
, consiste "nell’aver capito che solo con
l'intercambiabilità completa dei pezzi e la facilità di
incastro è possibile ridurre i tempi (e i costi) di
montaggio, aumentando quindi i volumi di produzione".
L’intercambiabilità, la semplicità e la facilità di
montaggio diedero a Ford un immenso vantaggio sulla
concorrenza. Non meno importante, queste scoperte
riducevano la quantità di lavoro necessario per
assemblare un’automobile, e l’abbassamento del costo
unitario all’aumentare dei veicoli prodotti.
6
Womack J.P., La macchina che ha cambiato il mondo, Rizzoli,
Milano, 1991.