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INTRODUZIONE
“Cos’è quella roba ai tuoi piedi?
Converse All Star annata 2004! Le migliori!”
(Will Smith, Io Robot)
Oggetto della mia tesi sarà il fenomeno del product placement cinematografico, come
veicolo di messaggi promozionali.
L’interesse per questo particolare fenomeno pubblicitario mi è nato durante la visione di
una Serie TV americana, nella quale marche di tutti i generi venivano inquadrate con
meticolosa insistenza; la presenza di marche e prodotti mi ha fatto capire che, al giorno
d’oggi, l’opera cinematografica, lungi dal collocarsi “al di fuori del mondo reale”, si avvale
della presenza di prodotti e di marchi, più o meno noti nel mercato, per conferire maggior
realismo al testo e al suo contenuto artistico e narrativo e non solo per scopi promozionali.
Per questo motivo ho deciso di analizzare con occhi critici questo fenomeno, ancora oscuro
alla maggior parte degli spettatori-consumatori italiani ma già assai diffuso e consolidato in
moltissimi Paesi del mondo, per coglierne le varie sfaccettature, comprenderne gli aspetti
positivi e negativi, i vantaggi e gli svantaggi per le parti interessate e per capire se, ed entro
quali limiti, esso è destinato a svilupparsi ulteriormente.
Mi hanno introdotto all’argomento e orientato nella stesura del mio lavoro due testi che
reputo fondamentali: il primo di Gerardo Corti “Occulta sarà tua sorella! Pubblicità,
product placement, persuasione: dalla psicologia subliminale ai nuovi media” ed il secondo
di Paolao Bensi & Roberto Paolo Nelli “Il product placement nelle strategie di convergenza
della marca nel settore dell’intrattenimento”.
In dettaglio:
Nel PRIMO CAPITOLO analizzerò due concetti base del product placement, quello di
brand e quello di consumatore. Il brand nei film è ciò che permette il contatto tra lo
spettatore e l’azienda; il consumatore, nella definizione ampia del termine, è colui che
consuma, consuma film e allo stesso tempo diventa consumatore del marchio posizionato
del film (questo è l’obiettivo di ogni product placement).
Nel SECONDO CAPITOLO definirò il product placement sulla base delle definizioni di
alcuni esperti del fenomeno, evidenziando le tipologie di posizionamento, i vantaggi e gli
4
svantaggi nell’utilizzo di questo strumento di comunicazione ed alcune ricerche effettuate
in ambito internazionale sulla sua efficacia e l’accettabilità. Analizzerò, inoltre, il concetto
di pubblicità e, in particolare, la pubblicità ingannevole e occulta dal momento che, per
anni, il product placement è stato considerato tale, soprattutto in Italia. Concluderò il
capitolo con una breve cronistoria del product placement negli Stati Uniti, paese
all’avanguardia nel riconoscere le potenzialità di questo mezzo di comunicazione
promozionale.
Nel TERZO CAPITOLO analizzerò il fenomeno del product placement cinematografico in
Italia, descriverò la normativa italiana, soffermandomi sulle leggi più importanti e, in
particolare, sul Decreto Urbani del 2004 che ha riconosciuto la legittimità del product
placement cinematografico. Infine chiuderò il capitolo con un accenno allo IAP, al “Codice
di Autodisciplina Pubblicitaria” ed all’Autorità Garante preposta al controllo della
pubblicità.
Nel QUARTO CAPITOLO mi soffermerò sugli “attori principali” di un progetto di product
placement, riportando l’esperienza dell’agenzia “JMN & DY”, fondata da Gerardo Corti,
attualmente annoverabile tra le agenzie più importanti del settore. Analizzerò, infine, la
natura, l’oggetto e le principali clausole di un contratto di placement cinematografico.
Infine nel QUINTO CAPITOLO tenterò un’analisi personale degli inserimenti effettuati in
un recente film italiano, descrivendo i prodotti utilizzati e le modalità e le tecniche del loro
posizionamento.
Non ho certamente la pretesa di trattare esaustivamente, in pochi capitoli, un argomento
così ampio e spinoso quale è quello del product placement, che spazia dal diritto
all’economia, dalla psicologia alla sociologia. Spero solo di riuscire a delineare quei
concetti base necessari per inquadrare correttamente questo fenomeno, mettendo in luce le
sue potenzialità e, perché no, i suoi aspetti positivi.
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CAPITOLO 1 – Brand e Consumatore
1.1 La marca: un universo di valori
Secondo l’American Marketing Association, associazione di studiosi e insegnanti di
marketing, “la marca è un nome, un termine, un segno, un simbolo o qualunque altra
caratteristica che ha lo scopo di far identificare i beni o i servizi di un venditore e di
distinguerli da quelli degli altri venditori”
1
.
Per Fiocca, Testori e Marino, professori universitari di marketing:
“La marca è innanzitutto un nome (brand name), evocativo dei caratteri del prodotto dal
punto di vista del consumatore, memorizzabile in via esclusiva (cioè non confondibile con
altre marche) e permanente nella memoria attiva del consumatore durante le diverse fasi del
processo d’acquisto e di consumo. Non è evidentemente facile trovare un nome che abbia
tutte queste caratteristiche; […] Se tale risultato non viene raggiunto, è opportuno
aggiungere al nome della marca un simbolo, avente la funzione di supporto al nome. […]
Spesso al brand name e al simbolo è necessario aggiungere un altro elemento atto a
completare la costruzione iniziale della marca: il pay off
2
”.
3
Come si evince da queste due definizioni, è proprietà fondamentale della marca
l’immediata identificazione di se stessa e, di conseguenza, la distinguibilità dalle altre: solo
se sussistono queste due peculiarità la marca può essere vista come un valore in sé e per il
consumatore.
Per Semprini, professore all’Università IULM di Milano e maggior esperto italiano sulla
marca, il termine “valore” deve essere compreso sia nella sua accezione filosofica, che
economica; valore non è solo una qualità economica, ma anche “una qualità auspicata e
ritenuta degna di investimento, un fine condiviso da molti”.
4
Il termine “valore”, in tale sua duplice accezione, viene ripreso dal citato Autore nel
definire la marca: “Articolando dei valori, le marche soddisfano il ruolo di mediazione e di
interpretazione tra i prodotti e i consumatori”.
5
1
“A brand is a "Name, term, design, symbol, or any other feature that identifies one seller's good or service as
distinct from those of other sellers." American Marketing Association http://www.ama.org/.
2
Il pay off, o normalmente slogan, è un insieme di parole sintetico e fortemente connotato, che chiude e
sottolinea il nome/simbolo della marca.
3
Renato Fiocca, Alberto Marino e Matteo Testori, Brand management: valori e relazioni nella gestione della
marca, Milano, Etas 2006, p. 20.
4
Andrea Semprini, La marca. Dal prodotto al mercato, dal mercato alla società, Milano, Lupetti, 1996, p.84.
5
Andrea Semprini, La marca. Dal prodotto al mercato, dal mercato alla società, Milano, Lupetti, 1996, p.85.
6
È noto che l’identità di ogni marca viene costruita con un processo particolarmente delicato
di management attraverso il quale “...si gettano le fondamenta per la definizione e il
riconoscimento del brand, per l’elaborazione di un suo mondo da offrire al pubblico”
6
.
È proprio questo mondo offerto al pubblico che racchiude tutti quei valori a cui Semprini fa
riferimento nel suo libro. Questa identità, elaborata e trasmessa dall’azienda, è in stretto
rapporto con l’identità presente nella mente del consumatore; per Randall
7
“l’immagine
della marca”
8
.
In questo caso vero protagonista è il consumatore il quale, per una serie di associazioni, ha
un’immagine della marca destinata o a perdurare nel tempo o ad evolversi in positivo o in
negativo, mantenendo però sempre la sua essenza.
L’insieme di queste associazioni è vasto e influenza il consumatore ogniqualvolta questi si
trovi di fronte ad una marca. Nel sito brandtags.com troviamo una loro classificazione,
seppur parziale. La figura (1.1) sottoriportata, offre un esempio delle associazioni (tags)
che il marchio “Samsung” evoca nella mente dei consumatori. Nell’immagine sono
collocate tutte quelle parole che, attraverso il citato sito, ogni visitatore ha associato al
marchio “Samsung”. Questo dimostra che ognuno si crea nella mente dei concetti, negativi
o positivi, in relazione ad un marchio, concetti che derivano o da esperienze vissute o da
pregiudizi nei confronti dello stesso marchio.
Fig. 1.1 Concetti che ogni visitatore del sito ha associato al marchio “Samsung” (Fonte: www.brandtags.com).
6
Giampaolo Fabris e Laura Minestroni, Valore e Valori della marca, Milano, Franco Angeli, 2004, p.180.
7
Geoffrey Randall, consulente di marketing e pubblicità.
8
Geoffrey Randall, Branding, London, Kogan Page, 1997, p.14.
7
Questa connessione tra marche e associazioni genera una forte identificazione della marca
nei bisogni del consumatore che può portare benefici per l’azienda sia dal punto di vista
valoriale, cioè dei valori che l’azienda vuole trasmettere al consumatore e che vengono
cercati da quest’ultimo al momento dell’acquisto, sia dal punto di vista economico, cioè dal
ritorno che l’azienda avrà nella vendita di quel prodotto.
Per la costruzione dell’identità-distinguibilità, la marca si avvale sia della “brand
awareness”, ovvero della capacità del consumatore di riconoscere la marca e di mantenerla
viva nella sua mente prima, durante e dopo il processo di acquisto, sia della “brand image”,
ovvero di tutte quelle qualità di una determinata marca percepite dal consumatore.
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“Brand awareness” e “brand image” sono legate al concetto di “brand association”.
Secondo la definizione datane da Yoo e Donthu, professori di marketing rispettivamente
presso la St. Cloud State University” e la Georgia State University, la brand association
“attiene a quegli aspetti della Brand Equity facenti parte delle cosiddette “consumer
perception”, ossia a quell’insieme di impressioni, percezioni, idee, ricordi, emozioni che
legano il consumatore alla marca”
10
.
Il concetto di “Brand Equity” è un concetto molto dibattuto dagli esperti di marketing.
L’economista statunitense David Aaker
11
, parla della Brand Equity come di un insieme di
variabili correlate tra di loro che danno valore alla marca:
1. Fedeltà alla marca, cioè la misura dell’attaccamento al brand;
2. Notorietà del nome, capacità di un acquirente di riconoscere o ricordare la
marca;
3. Qualità percepita, la percezione da parte del consumatore della qualità del
prodotto o servizio;
9
Per un approfondimento dei concetti “brand awareness”, “brand image” e “brand equity” si veda: Kevin
Lane Keller, Bruno Busacca e Maria Carmela Ostillio, La gestione del brand, Milano, Egea, 2006.
10
Cfr. Boonghee Yoo & Naveen Donthu, Developing and validating a multidimensional consumer-based
brand equity scale, in “Journal of Business Research”, 2001, 52 (1), pp.1-14. Si veda inoltre Cathy J. Cobb-
Walgren, Cynthia A. Ruble & Naveen Donthu, Brand Equity, Brand Preference, and Purchase Intent, in
“Journal of Advertising”, 1995, 24 (3), pp.25-40.
11
David Aaker, Brand Equity. La gestione del valore della marca, Milano, Franco Angeli, 2002.