Introduzione
«Tutta la storia dei colori può essere soltanto una storia sociale. È la società
che fa il colore, che gli attribuisce una definizione e un significato, che
costituisce i suoi codici e i suoi valori, che stabilisce i suoi utilizzi e l'ambito
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delle sue applicazioni». È da questa frase che è scaturita la riflessione che
costituirà il corpo del nostro elaborato: il colore come specchio della società
nei luoghi e nei tempi di essa, nella quotidianità del popolo e nella simbolica
del potere. La connotazione simbolica del colore porta infatti con sé le
differenze e le divergenze proprie dell'ambiente societario: assisteremo a
lotte cromatiche, a vittorie e sconfitte; avremo colori che infamano e che
innalzano, colori che accusano o che sono accusati, avremo colori della
quiete e del moto, colori della luce e dell'oscurità. Come il linguaggio
permette di ricostruire storie altrimenti dimenticate, il colore diventerà una
grammatica visuale che ci consentirà di codificare il nostro mondo alla luce
dei mondi passati. Questo è ciò che da sempre fa il colore, dà un'identità a
ciò che tinge: quasi con auto-consapevolezza la natura ha tinto con
funzionalità e senso estetico i suoi figli e nell'artificio del colore, l'uomo tenta
di imitarla, di mascherare la strategia che si nasconde dietro le colorazioni dei
nostri oggetti. Quello che ci proponiamo di indagare è appunto l'intento
subliminale che sta dietro le strategie di comunicazione proprie della
propaganda pubblicitaria e politica. Esploreremo il potere del colore
servendoci di alcuni strumenti e ponendoci alcune domande cui tenteremo di
dare una risposta più o meno implicita passando attraverso le varie sezioni
dell'elaborato.
Ci rifaremo prevalentemente a Goethe nelle sezioni iniziali ponendoci una
prima fondamentale domanda: “Da dove nasce il colore?”, scopriremo come,
per quanto la risposta a questa domanda sia assodata, si svilupperanno una
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M. Pastoureau, Blu. Storia di un colore (2000), tr. it. di F. Ascari, PONTE ALLE GRAZIE,
Milano, 2002.
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serie di studi, primi fra tutti quelli di Goethe, cui si rifaranno molti degli autori
che prenderemo in esame, paralleli alla risposta empirico-scientifica data da
Newton a metà Seicento. La strada che percorreremo sarà appunto quella
alternativa tracciata dal letterato tedesco che nell'Ottocento pubblicherà La
teoria dei colori, testo che sarà il nostro riferimento soprattutto per quanto
riguarda il concetto di polarità: il lato del più e del meno, colori della luce e
dell'oscurità. Il grande apporto che ha dato Goethe allo studio dei colori è
stato quello di attribuire loro caratteristiche universali, non solo nel campo
percettivo, come già aveva teorizzato Newton, ma nel campo della
sensazione. La quiete provata in una stanza verde, l'agitazione alla vista del
rosso, la profonda spiritualità che può regalarci un cielo blu-notte possono
essere quindi considerate scaturenti in tutti gli uomini anche in condizioni
spazio-temporali molto distanti tra loro. Lo studio della simbolica da un punto
di vista storico e geografico si è stratificata su questa universalità di base
teorizzata da Goethe e ha aggiunto ulteriori elementi all'analisi che
renderanno l'approccio più contestuale, quindi meno universale: per ogni
colore si opererà una sintesi dei vari punti di vista che, come vedremo,
formeranno un composto densamente significativo. Dalla commistione di
elementi che scaturiscono naturalmente, le sensazioni pure alla vista di un
colore, e quelli indotti arbitrariamente, le sensazioni composite che
assommano dati storico-simbolici e innati, nascerà un parallelismo con il
linguaggio. Verrà analizzata la grammatica del colore attraverso le sue
componenti e le sue regole; essendo le parole di una lingua assimilabili alle
varie tinte, queste andranno composte sintatticamente, declinate e
coniugate; non dovremo però dimenticarci che le sensazioni di cui parlava
Goethe nascono da un colore auto-referenziale che ha in sé le caratteristiche
per suscitarle: esistono parole auto-referenziali in grado di fare lo stesso?
La risposta è chiaramente negativa, ci domandiamo quindi se le regole, di
armonia e composizione e categorizzazione, che, come vedremo, saranno il
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persistente grattacapo degli studiosi, convinti, forse, che senza regole non
esista scienza, abbiano senso di sussistere in un campo in cui si parla anche
di emozioni e sensazioni, di ambiti, quindi, non prettamente scientifici.
Il nostro pensiero a proposito è che le regole siano fondamentali nella
trattazione del colore come linguaggio, quando il colore veicolerà un
messaggio di referenti altri, quando si comporterà come una parola, dovremo
applicarle per raggiungere la massima efficacia di esso; quando il colore sarà
usato come referente di se stesso, le regole si trasformeranno in consigli che,
lungi dall'essere considerati universali, potranno essere interpretati.
Stratificheremo nuovamente le nozioni apprese con una sezione dedicata alla
psicologia del colore, riprendendo da una parte le sensazioni ed emozioni
fondamentali appartenenti a tutti gli uomini, dall'altra indicando come la
preferenza per un colore, che si compone di tutti gli elementi derivanti dalla
simbologia storica, ma anche dei ricordi individuali, delle conoscenze e dalle
esperienze che ne vengono fatte, possa far emergere tratti della personalità
o aspettative o reazioni alle situazioni; per questa sezione ci rifaremo
prevalentemente a Lüscher e al suo Test dei colori. Esplorando anche questa
nuova prospettiva potremo avere quindi le conoscenze necessarie per
analizzare le applicazioni strategiche del colore, per indagarne lo
sfruttamento a fini non estetici.
Il nostro lavoro si proporrà, quindi, di mettere a nudo l'ambivalenza delle
varie tinte e del concetto di colore stesso. Infatti, come ci suggerisce
Pastoureau, contemporaneo studioso della storia del colore, nelle lingue
moderne la parola “colore” ha un significato estremamente positivo; nel
francese antico, invece, era associato all'idea di involucro, di trucco, di
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inganno. L'ambivalenza è infatti ciò che meglio si presta a raccontare una
lotta, che sia tra polarità interne ed esterne alle tinte: tra bandiere, tra
prodotti, tra idee e tra uomini. Quello che ci proponiamo è raccontare una
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Etimologicamente, la parola latina può essere messa in relazione con la famiglia del
verbo celare.
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color
battaglia combattuta con armi colorate, una guerra nella quale è tanto facile
avere una tregua quanto è impossibile da concludersi: chiudendo gli occhi
potremmo avere pace, perché un colore che non viene guardato è un colore
che non esiste; ma, ogni volta che li riapriremo la meravigliosa e insoluta
lotta dei colori sarà davanti a noi con il suo carico di storia, di simboli, di
significati, di emozioni, di idee e ricordi.
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Capitolo I
TEORIA DEL COLORE
I.1 Da dove nasce il colore?
“Senza luce gli occhi non possono vedere
Forma, colore, spazio, movimento”.
R. Arnheim
Tra la domanda posta nel titolo e una possibile risposta si frappone una
nuova domanda: che cos’è il colore?
Le risposte possono variare di molto a seconda della formazione culturale e
professionale della persona a cui si rivolge la domanda. «Il pittore, il fisico, lo
psicologo, il chimico, l’astronauta, il fiorista, l’uomo della strada, il bambino e
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per finire il daltonico possono dare tutti risposte molto diverse tra loro».
La variabilità delle risposte possibili dipende dall’esperienza: a seconda
dell’interlocutore verrà, di volta in volta, considerata una forma particolare di
esperienza del colore. Lo studio a cui Goethe darà vita, infatti, non si
propone di essere una teoria del colore per il pittore o per il chimico ma,
piuttosto, di produrre una scienza che assuma l’intera esperienza che l’uomo
fa del colore, inclusi i suoi diversi momenti e le sue diverse componenti, dalla
sua struttura materiale fino alla sua valorizzazione in direzione immaginativa
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e simbolica.
Già nell’assunzione dell’esperienza come di un tutto dal quale individuare le
qualità salienti possiamo misurare la distanza tra Goethe e Newton.
Possiamo dire che la Teoria dei colori nasca sì da un interesse per Goethe
verso il problema del colorito ma anche dalla convinzione che la teoria di
Newton fosse falsa. Prima di analizzare su quali basi Goethe affermasse ciò
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G. Di Natale, Il colore dipinto, EINAUDI, Torino, 2006, p. 126.
4
R. Troncon, Goethe e la filosofia del colore, cit., p. 224 (appendice alla Teoria dei colori)
J. W. Goethe, La teoria dei colori (1810) IV ed. 1991 a cura di R. Troncon, con introduzione
di G. C. Argan, 6 voll. IL SAGGIATORE, Milano, 1991.
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presenteremo brevemente la teoria dello spettro cromatico che Newton
pubblicò nel 1660. Nel famoso esperimento del prisma a dei colori Isaac
Newton, facendo passare un fascio di luce bianca (solare) attraverso un
prisma, osservò che dall’altra faccia usciva non più il singolo raggio rifratto,
bensì una serie di raggi colorati diversamente uno dall’altro. Newton osservò
così che la luce non era un qualcosa di unitario ma che era composta da
diversi colori; egli non attribuì questo fenomeno al fatto che ciascuna
lunghezza d’onda ha un indice di rifrazione diverso, bensì alla differenza delle
masse dei corpuscoli che compongono la luce; a prescindere da questo
l’osservazione di base era corretta. La serie di colori che fuoriescono dal
prisma costituisce lo spettro visibile dei colori.
I colori non sono (come si ritiene volgarmente) qualificazioni della luce
derivanti dalle rifrazione o dalle riflessioni dei corpi naturali, ma proprietà
innate e congenite, diverse in diversi raggi, vi sono dunque due generi di
colori, alcuni sono semplici e primitivi, altri composti da questi. I colori
primitivi sono il rosso, il giallo, il verde, il blu e il violetto […] tutti i colori
separati dal prisma quando vengono fatti convergere e in questo modo si
mescolano così com’erano nella luce prima che incidesse nel prisma
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mostrano di nuovo una luce perfettamente bianca.
Newton quindi immaginava la luce composta da particelle di diversa massa
ed energia; a questo modello corpuscolare se ne affianca nel 1690 uno
ondulatorio, postulato da Christiaan Huygens, il quale afferma che quando la
luce viene a contatto con la materia essa può assorbire tutte le radiazioni
luminose e apparire scura o assorbirne alcune e riflettere le altre, apparendo
in questo caso colorata.
Questo excursus nel mondo della fisica ci fa giungere a due conclusioni
fondamentali: al buio, quando non c’è luce, non c’è neppure colore, ma
anche nel vuoto, dove non c’è materia, non si ha colore. Dunque è essenziale
che la luce interagisca con la materia perché sia la luce che la materia, se
considerate indipendentemente l’una dall’altra, risultano oscure e invisibili.
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Lettera di I. Newton al Direttore delle Philosophical Translation, Cambrige, 6 febbraio 1672,
in G. Di Natale, Il colore dipinto, cit., p. 130.
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