Lo sguardo del Viandante
Traduzione e commento di Fatal Revenge di Charles
Robert Maturin
Introduzione Matteo Sanesi
Charles Robert Maturin. In pochi oggi conoscono questo nome, e coloro che ne hanno sentito
parlare, sicuramente hanno avuto a che fare con Melmoth the Wanderer, considerata la sua opera più
importante. Ma Maturin non scrisse soltanto Melmoth; anzi, esso fu un punto d'arrivo, una matura
conseguenza di scelte stilistiche raffinate e temperate sia da Maturin stesso, sia da grandi autori del
calibro di Walter Scott, il quale, dopo aver letto le sue prime produzioni, lo esortò a perseverare, a
trovare il suo posto nel pantheon degli scrittori. Melmoth fu il quinto romanzo della carriera del
pastore protestante irlandese. La carica primigenia della sua narrativa, profondamente gotica e ricca
di mistero, si trova però pienamente espressa nella sua prima opera: Fatal Revenge. Da molti,
questo libro fu interpretato come un manifesto di polemica religiosa; da altri, come un tentativo di
affiliarsi a un filone (quello del gotico appunto) che ormai aveva raggiunto il suo apice e che stava
vivendo un inevitabile declino. Altri ancora, in tempi più recenti, hanno rilevato nel testo tematiche
di stampo sessista.
Una cosa è certa: Fatal Revenge è un'opera controversa, geniale e godibile quanto banale e
prevedibile, che presenta soluzioni nuove e vecchie in una commistione che può lasciare perplessi o
incantare. In questo "magma goticheggiante", Fatal Revenge è stato spesso, e sfavorevolmente,
comparato a Melmoth che, come già detto, è un'opera molto più matura. Proprio per questo motivo,
penso che i paralleli fra i due romanzi, per quanto importanti, non debbano distogliere i lettori e i
critici dalla ricchezza narrativa di Fatal Revenge, che ha il merito indiscusso di essere un'opera più
che mai impulsiva, pregna, scritta da un uomo che stava in quel momento toccando, con meraviglia,
i temi del gotico. Ma come si può analizzare nel dettaglio questo manoscritto? Come si possono
penetrarne i segreti, capire appieno le scelte stilistiche di Maturin e formare un giudizio coerente e
attendibile? In realtà, un modo c'è: la traduzione. Mi sono cimentato proprio in questa nobile arte,
cercando di individuare i punti focali della trama, quelli che sorreggono tutta l’impalcatura
narrativa, e li ho esaminati con occhio critico, cercando di restituirne il senso in italiano. Maturin
amava le perifrasi, le circonlocuzioni, i periodi fumosi e ampollosi, ed è stato spesso impossibile
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tradurre letteralmente in italiano alcune delle soluzioni più geniali e creative adoperate in Fatal
Revenge. In questa dissertazione intendo analizzare l’opera in modo critico e imparziale, con un
occhio di riguardo al contesto storico, all’uomo che fu Maturin, alle tematiche affrontate e,
ovviamente, alla traduzione. Il mio scopo è affrontare questo artista da una prospettiva diversa,
ovvero attraverso la sua opera meno conosciuta e apprezzata; un’opera che si inserisce di diritto
nell’ambito del gotico e che segna l’esordio di colui che si firmava, sotto mentite spoglie, come
Dennis Jasper Murphy.
-Matteo Sanesi
1. Charles Robert Maturin – l’artista
Charles Robert Maturin nacque il 25 settembre 1782 a Dublino. Fu scrittore e drammaturgo. La
tematica religiosa era fondamentale per lui e si manifestava spesso attraverso parole di condanna
per una fede che sembrava aver perso la sua pienezza e che era ormai usata come mero strumento
dai poteri temporali d’Europa.
Fu l’unico figlio sopravvissuto di William Maturin e Fidelia Watson, che gli impartirono i precetti
del calvinismo. La sua famiglia era ugonotta e le sue radici erano in Francia; nel 1685, i Maturin
dovettero abbandonare quella terra, in seguito alla revoca dell’Editto di Nantes ad opera di Luigi
XIV. Tale Editto garantiva il diritto di professare la religione protestante.
Maturin frequentò il Trinity College a Dublino, dove ottenne una laurea in arte nel 1800. Tre anni
dopo, divenne parroco di Loughrea a Galway. Nel 1806 ottenne la curia di San Pietro a Dublino,
che gestì fino alla morte il 30 ottobre 1824. Durante il periodo a San Pietro, Maturin conobbe la
cantante Henrietta Kingsbury, sorella di Sara Kingsbury, la cui figlia Jane Francesca fu la madre di
Oscar Wilde. Ne consegue che Maturin fu prozio del grande scrittore. Wilde nutriva una stima così
grande per Maturin che, quando andò a Dieppe in Francia, usò lo pseudonimo di Sebastian
Melmoth, mutuando il nome dell’eroe eponimo di Melmoth the Wanderer scritto dal prozio.
La prima opera di Maturin, Fatal Revenge, or the Family of Montorio, fu scritta nel 1807, sotto lo
pseudonimo di Dennis Jasper Murphy. Si servì di tale nome per la pubblicazione dei primi tre
romanzi, per proteggere la sua posizione ecclesiastica, dal momento che la religione è un tema
assolutamente basilare e controverso sia in questo, che in altre sue opere. Il romanzo fu un totale
fallimento e fu accusato di essere farraginoso e anacronistico, poiché il genere gotico stava ormai
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tramontando. Walter Scott si interessò all’opera
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; neanche lui fu entusiasta di Fatal Revenge, né
incontrò mai dal vivo il pastore irlandese, ma, scorgendo in lui la scintilla del talento, spronò
Maturin a continuare a scrivere e a migliorarsi, arrivando persino a parlare di lui a Lord Byron. La
prima opera teatrale di Maturin, Bertram, composta nel 1816, fu rappresentata proprio grazie
all’appoggio di Scott e Byron; il personaggio di Bertram fu interpretato da Edmund Kean.
L’attenzione e l’incitamento di Scott, come indica Jonathan Cutmore
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, furono indispensabili per
Maturin che, ispirato da una figura così grande, perseverò in ambito letterario, scrivendo The Wild
Irish Boy nel 1808, The Milesian Chief nel 1812, Women, or Pour et Contre nel 1818, Melmoth the
Wanderer nel 1820, The Albigenses nel 1824, e Leixlip Castle, pubblicato postumo nel 1825. Come
già accennato, Maturin si rivelò prolifico anche sul versante teatrale: oltre al sopracitato Bertram,
scrisse Manuel nel 1817, Fredolfo nel 1819 e Osmyn the Renegade nel 1922; produsse anche il
poema The Universe nel 1821.
Melmoth the Wanderer, pubblicato anonimo, fu la sua opera principale, riconosciuta da tutti come la
“maturità di Maturin”. Si tratta del racconto gotico di un uomo, il Viandante, che attraversa il tempo
e lo spazio alla ricerca di un capro espiatorio attraverso il quale rompere il suo faustiano patto col
demonio: la sua anima in cambio dell’immortalità. L’eco di quest’opera fu tale che Honoré de
Balzac, nel 1835, scriverà un sequel, Melmoth réconcilié. La fortuna di Melmoth the Wanderer non
si è mai estinta: nel 2018, Sarah Perry ha scritto Melmoth
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, la storia di una donna che nega di aver
visto Gesù dopo la resurrezione. Il tema del “pellegrino demoniaco” è caro a Maturin e si ritrova
anche in Fatal Revenge. Quest’opera si rifà alla ricca tradizione gotica del diciottesimo secolo,
insieme a quella del romanticismo inglese contemporaneo.
Maturin fu spesso definito eccentrico, ma fu anche un uomo profondamente acuto e attento al
contesto socio-politico e religioso del suo tempo. Le sue opere presentano sempre un velo di
protesta (che diventa una vera e propria condanna in Fatal Revenge), ma anche un sentore di
inevitabilità e ineluttabilità, che conferiscono ai suoi romanzi un’atmosfera ancora più malinconica
e misteriosa.
1.1. Fatal Revenge– la trama
Fatal Revenge, il primo romanzo di Charles Robert Maturin, si presenta come una storia raccontata
1 Walter Scott, Quarterly Review, Maturin’s Fatal Revenge, London, John Murray, 1810, 3:6
2 Jonathan Cutmore, Conservatism and the Quarterly Review: A Critical Analysis, Abingdon, Pickering & Chatto
(Routledge), 2007.
3 Sarah Perry, Melmoth, New York, Harper Collins, 2018.
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da un generale italiano. Al tempo dell’assedio francese di Barcellona, nel 1697, due misteriosi
fratelli si battono con una furia disperata e devastante, fino a perire. Il generale, di cui non sappiamo
il nome, sostiene di conoscere i due ragazzi e comincia a raccontarne la storia.
Siamo in Italia, a Muralto, un paese governato dalla famiglia Montorio, alloggiata in un massiccio
castello semidiroccato, che contrasta con la ridente campagna circostante. Fin da subito, ci viene
detto che c’è stato un qualche misterioso evento che ha segnato il declino della casata e ha reso il
conte Montorio meditabondo e crudele. Facciamo poi la conoscenza di Ippolito e Annibale, due dei
figli di Montorio; uno è impetuoso e audace, l’altro riflessivo e prudente. La prima parte del libro ha
la forma di uno scambio epistolare fra i due; entrambi sono determinati a fare luce sugli strani
eventi che si verificano al castello e a scoprire cosa ha afflitto la loro famiglia. Annibale, aiutato
prima da Michelo e poi da Filippo, entrambi servi della casa, si trova a fronteggiare Padre
Schemoli, confessore del conte, un monaco dall’aspetto terribile, che dice di essere morto da tempo
ma di essere costretto a vagare sulla terra. Egli sembra immune al veleno e al dolore e pare essere
onnipresente. Schemoli sostiene che Annibale e Ippolito hanno un destino da compiere, e li
tormenta e li vessa senza sosta, poiché il destino si può rimandare, ma mai evitare. Nel corso
dell’opera, i due fratelli avranno a che fare con ogni sorta di ostacolo (persino l’Inquisizione),
mentre nell’aria aleggia il nome di Orazio, fratello del conte, morto in circostanze misteriose
insieme alla moglie Erminia. I due fratelli trovano anche Ildefonsa, una donna inspiegabilmente
identica a Erminia. Ma il monaco demoniaco ha la meglio e, usando i suoi poteri infernali, riesce a
piegare la volontà di Annibale e Ippolito e uccide Ildefonsa. Il loro destino è finalmente manifesto:
dovranno assassinare il loro stesso padre. Poco prima dell’omicidio, però, il conte Montorio si
confessa a Padre Schemoli. Il monaco, atterrito, cerca ora di fermare il braccio dei due ragazzi, che
non riescono neanche a sentirlo e compiono il terribile atto.
Nelle ultime pagine del libro, Schemoli scrive una dichiarazione: egli è Orazio, tornato per
vendicarsi del fratello che lo aveva spinto a uccidere il presunto amante della moglie con l’inganno,
causando la morte di lei. Durante l’ultima confessione, il conte aveva rivelato che Annibale e
Ippolito erano i figli di Orazio ed Erminia, e Ildefonsa la figlia di Erminia e del presunto amante (in
realtà, il precedente marito). Angosciato per aver spinto i figli a diventare assassini, Orazio si
assume tutte le responsabilità di quei terribili avvenimenti e muore abbracciando i figli. Il romanzo
si chiude con la famiglia Montorio che perde la dignità e il titolo, i giovani della casa cercano
fortuna all’estero e le figlie si chiudono in convento.
1.2. La struttura del testo
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Fatal Revenge appartiene senz’altro al genere gotico, commisto ad alcuni elementi romantici che
analizzeremo in seguito. Si segue il filo logico di una narrazione romanzesca, nella cornice di un
lungo flashback narrato da un uomo dell’esercito durante una guerra in Spagna. La struttura è
arricchita da un impianto epistolare (corrispondenza fra Annibale e Ippolito e lettura delle lettere
all’Inquisizione da parte di padre Angellini); a volte i personaggi stessi prendono la parola e
raccontano fatti e vicende funzionali alla storia. Questo è il caso di Filippo, che parla della sua
esperienza nel bosco coi banditi, e della confessione finale di Schemoli/Orazio.
Fatal Revenge si compone di tre libri; il primo conta 15 capitoli, il secondo 17, e il terzo 23, di
lunghezza variabile.
Le diverse tipologie di narrazione -- allodiegetica nel caso del generale spagnolo, autodiegetica
nelle lettere e nei racconti dei diversi personaggi che narrano le loro esperienze -- permettono di
ampliare l'orizzonte conoscitivo del lettore, mantenendo la partecipazione emotiva della narrazione
omodiegetica, indispensabile per creare suspense e identificazione nel lettore.
L’unica sezione del racconto che non è affidata alla figura onnipresente del generale di Spagna
coincide con l’introduzione, in cui il discorso prende le mosse, nelle primissime pagine, grazie a un
narratore non definito, onnisciente, al quale viene subito affidata la parola e la relazione della storia
e che potrebbe verosimilmente coincidere con l’autore implicito . Importantissimo è anche il
flashback di Orazio durante la sua sofferta confessione, che finalmente spiega l’inspiegabile che
aleggia in tutto il romanzo.
La struttura del romanzo, quindi, si presenta piuttosto complessa, sebbene non quanto quella di
Melmoth, universalmente considerato il capolavoro di Maturin. In quell’opera si trova il cosiddetto
sistema a “scatole cinesi”, come lo chiama anche Mario Turello
4
. Esso è di più difficile definizione
poiché, come ricorda Melanie Maria Lörke
5
, la costruzione di questi strati narrativi non è
assolutamente lineare. Non ci sono, infatti, molti racconti indipendenti raccolti sotto una trama
principale, bensì una serie di racconti dentro ai racconti, strettamente legati uno all’altro, poiché
ciascuno prende le mosse dal precedente. Il filo conduttore che lega il tutto è Melmoth stesso, che
sembra possedere il dono dell’ubiquità.
Il narratore di primo grado in Melmoth è onnisciente ed eterodiegetico, una voce incorporea che ci
introduce le vicende della storia. Quando cominciano i racconti e l’impianto a scatole cinesi,
abbiamo narratori di diverso grado: dal primo al secondo, dal secondo al terzo e così via. Nella Tale
of the Spaniard la parola viene lasciata a Monçada, narratore omodiegetico a focalizzazione interna;
4 Mario Turello, L'ebreo che si accordò con Satana: un classico della letteratura gotica, Udine, Il Messaggero Veneto,
2008.
5 Melanie Maria Lörke, Liminal Semiotics: Boundary Phenomena in Romanticism, Berlin, Akademie Verlag, 2013.
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nella Tale of the Indians Monçada riporta ciò che c’è scritto sui papiri di Adonijah, affidando la
narrazione a un ignoto scrittore. Allo stesso modo, The Lovers’ Tale prende le mosse da The Tale of
Guzman’s Family, creando un impianto singolare e molto complesso. Solo l’arrivo di Melmoth
l’Errante, sul finale, sembra poter rompere la catena narrativa; la sua comparsa silenzia ogni
congettura, e ogni filo narrativo viene lasciato cadere. Come indica Felicitas Meifert-Menhard
nell’Handbook of British Romanticism
6
, in Melmoth the Wanderer si ha una prospettiva plurima,
unita a una narrazione inaffidabile. Tutto questo concorre a un’ambiguità morale ed epistemologica;
non si può comprendere il mondo da un unico punto di vista, ma serve lo sguardo d’insieme.
1.3. Questioni di prospettiva
I due romanzi hanno in comune la narrazione a più prospettive.
Esiste una sola verità, ma per raggiungerla, bisogna unire i puntini, mettere insieme le
testimonianze, rendersi conto del quadro generale. Questo è vero sia per Melmoth che per Fatal
Revenge, e ogni personaggio vive gli eventi che accadono in modo assolutamente personale. Come
si può leggere Fatal Revenge e riuscire a comprendere la rabbia e il dolore di Orazio senza
conoscerne il retroscena? Come compatire le forti emozioni che Erminia e Ildefonsa suscitano nel
conte Montorio, senza sapere del terribile delitto? Davvero possiamo essere d’accordo con la scelta
di Ippolito di affidarsi all’Inquisizione in modo volontario, senza sapere che per lui seguire
Schemoli sarebbe un destino ancora peggiore?
Come ci si può approcciare a Melmoth e sperare di penetrare i segreti del Viandante, senza aver
compreso gli effetti devastanti che lui stesso porta a quanti lo circondano? Come possiamo
compatire Monçada, vessato dal Padre Superiore, senza essere a conoscenza del suo desiderio di
libertà dai sacri voti ecclesiastici? Milbank
7
, giustamente, vede qui una critica sferzante al
cattolicesimo. Il povero Monçada deve pagare per i peccati carnali dei suoi genitori, una punizione
insensata e crudele; le torture che subisce nel monastero sono terribili quasi quanto quelle
dell’Inquisizione, senza appello e senza apparente via d’uscita.
Sempre la Meifert-Meinhard, citando Vera Nünning
8
, ci dice che è difficile stabilire la presenza
effettiva di un narratore inaffidabile, dal momento che siamo molto abituati ad avere a che fare con
l’inaffidabilità, persino nella vita reale. Ritengo, però, che l’inaffidabilità non si riscontri tanto nel
6 Ralf Haekel, Handbook of British Romanticism, Berlin, De Gruyter, 2017.
7 Alison Milbank, God & the Gothic: Religion, Romance, & Reality in the English Literary Tradition, Oxford, Oxford
University Press, 2018.
8 Vera Nünning, Unreliable Narration and Trustworthiness: Intermedial and Interdisciplinary Perspectives, Berlin, De
Gruyter, 2015.
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rapporto fra lettore e narratore, quanto fra personaggio e personaggio. Se in Melmoth the Wanderer
Melmoth stesso è inaffidabile, poiché promette ricchezze, glorie e libertà mentre vuole solo
qualcuno che si sobbarchi al suo posto la dannazione eterna, in Fatal Revenge abbiamo Padre
Schemoli che cerca di convincere i due fratelli Montorio di essere un’entità soprannaturale, araldo
di un destino inevitabile. Ma tutto ciò riguarda, appunto, i rapporti fra coloro che vivono in questo
mondo fittizio e se l’inaffidabilità narratoriale può avere merito in una trama difficile come quella di
Melmoth, non ce l’ha in Fatal Revenge, dal momento che ogni possibile dubbio viene fugato alla
fine dalla confessione di Schemoli/Orazio, il quale promette e fornisce schiettezza e verità, pur di
salvare i propri figli.
1.4. L’eccesso
Maturin adora l’eccesso e il dettaglio. Spesso ci troviamo dinanzi spiegazioni estremamente
esaustive del perché un personaggio pensa in un certo modo, oppure descrizioni molto dettagliate di
sfondi e paesaggi, o troviamo eventi decisamente poco plausibili e tortuosi. Questa è una delle
caratteristiche portanti della narrativa di Maturin che, se da una parte conferisce un’inusuale
ricchezza ai suoi romanzi, dall’altra rischia di danneggiarne la qualità. Spesso, infatti, non serve
sapere il retroscena di ogni singolo pensiero di ogni personaggio, così come è superfluo descrivere
ampiamente un paesaggio che non ha rilievo ai fini della trama e in cui vedremo i personaggi in
un’unica occasione.
Maturin sembra esprimere l’anima del gotico attraverso una narrazione tortuosa, difficile, buia. Se
le apparizioni di Schemoli sono plausibili per via della sua conoscenza dei segreti del castello, e se
il racconto delirante della città di fuoco appare come una trovata geniale per convincere una mente
indebolita di trovarsi dinanzi a un mostro, altre soluzioni risultano decisamente poco efficaci. Ad
esempio, la cripta col falso cadavere del conte Montorio e la maschera di cera riguardano una
sezione molto confusa e senza dubbio esagerata. Le eccessive complicazioni rendono a tratti il testo
oscuro e di difficile comprensione. Fatal Revenge, dai più considerato l’esperimento di uno scrittore
alle prime armi, soffre specificamente di questo, mentre in Melmoth the Wanderer, Maturin sembra
aver imparato a padroneggiare questa “matassa” narrativa. Non c’è da stupirsi di questo: a quel
punto il pastore irlandese aveva già maturato una consapevolezza stilistica più raffinata, e infatti
Melmoth, per quanto intricato, risulta quantomai chiaro a un occhio attento. Ma, come andremo a
vedere, i meriti di Fatal Revenge sono comunque molteplici.
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