8
Questo ha permesso di poter analizzare e sistematizzare una rilevante
quantità di dati e di notizie sulla gestione manageriale dei club e sul contributo
che la comunicazione svolge nella pianificazione e nello sviluppo della loro
attività di impresa.
Lo scopo di questa ricerca è quello di analizzare il ruolo della
comunicazione quale strumento essenziale per la pianificazione e la gestione
dei rapporti delle società calcistiche con i soggetti operanti all’interno della rete
di relazioni della quale esse sono parte integrante.
Questo obiettivo è stato raggiunto attraverso una attenta analisi delle
strategie di marketing e delle attività di comunicazione svolte nel mercato dalle
società calcistiche italiane nel corso degli ultimi due anni; in questo modo è
stato possibile evidenziare i progressi effettuati dai club fino ad oggi.
Con questo lavoro di ricerca, inoltre, sono stati evidenziati quei fattori nei
confronti dei quali lo sviluppo di precise strategie di marketing e di
comunicazione può contribuire al successo dei club. Questa attività riveste un
ruolo di importanza crescente, in quanto oggi il successo delle società
calcistiche non si misura più solo in base alle strategie agonistiche attuate sui
rettangoli di gioco, ma dipende in misura sempre maggiore dalla capacità dei
club di gestire le relazioni di marketing e i flussi di comunicazione che si
generano all’interno dello sport business.
L’attività di comunicazione ha acquisito ulteriore importanza nel momento
in cui per le società calcistiche italiane si è aperta la possibilità della quotazione
in borsa. Questo fattore, se da un lato consente ai club di poter acquisire
ulteriori risorse attraverso il proprio collocamento sui mercati finanziari, dall’altro
impone ad essi un’attività di gestione che sia capace di affrontare nuove sfide
imprenditoriali e di rispondere alle mutevoli esigenze del mercato, operando allo
stesso tempo la necessaria rivalutazione del ruolo sociale che le società di
calcio rivestono nel nostro Paese.
Da questo punto di vista è stato necessario analizzare le nuove frontiere
nell’attività di comunicazione svolta dalle società calcistiche più avanzate,
rappresentate dalla comunicazione finanziaria e dalla comunicazione di crisi.
9
L’attuale stato di salute delle società calcistiche italiane deve fare riflettere
sull’opportunità per i club di effettuare una corretta pianificazione della
comunicazione di crisi nel momento in cui essa diviene necessaria per
salvaguardare l’immagine del club e la sua rete di relazioni. In particolare,
questo lavoro di ricerca si propone di essere il primo contributo di analisi
disponibile in Italia sulla gestione della comunicazione di crisi delle società
calcistiche.
L’analisi dell’attività di comunicazione delle società calcistiche non può
prescindere da una ricostruzione che evidenzi i fenomeni principali che hanno
portato alla nascita del calcio e dei fenomeni sociali ad esso correlati.
Questo è l’obiettivo che si propone il capitolo 1; esso analizza la nascita
del calcio moderno partendo dall’evoluzione storica che ha visto protagonisti i
giochi prima ancora dello sport, per poi concentrarsi sulle caratteristiche delle
partite e della passione che anima, da sempre, i tifosi.
Nel secondo capitolo viene analizzato lo sviluppo dell’interesse sociale,
economico e mediatico nei confronti del calcio. Viene data particolare
attenzione al ruolo che i media hanno avuto nello sviluppo di questo sport e
nella crescita della visibilità delle società di calcio; viene successivamente
analizzata la nascita dell’interesse dell’industria nei confronti del calcio e lo
sviluppo delle relazioni che hanno contribuito a farlo diventare un importante
settore dell’economia. Infine, viene evidenziata l’evoluzione che sta portando le
società calcistiche a trasformarsi da semplici football club a vere e proprie
entertainment companies.
Nel terzo capitolo vengono analizzati i dati relativi alla diffusione globale
del calcio, inteso sia come pratica sportiva che come spettacolo fruibile
attraverso i media. Successivamente, vengono analizzati i fattori che stanno
alla base della crisi economico-finanziaria del calcio, con particolare riferimento
allo stato di salute attuale dei club. Viene inoltre evidenziato il ruolo del
marketing come fattore chiave dello sviluppo e la soddisfazione delle esigenze
dei club e dei soggetti appartenenti alla rete di relazioni creata dal mercato del
calcio.
10
Nell’ultimo capitolo, infine, vengono analizzate le strategie di
comunicazione effettuate dalle società calcistiche italiane, con particolare
riferimento alla gestione del marchio e della sua visibilità, all’utilizzo del co-
marketing quale fattore di sviluppo delle relazioni tra le società calcistiche e i
propri partner, nonché alle iniziative promosse dalle società calcistiche per
soddisfare le esigenze dei propri tifosi e all’impegno nelle iniziative di carattere
sociale, alle quale i club non possono rinunciare visto il ruolo che essi hanno
nella nostra società. Vengono infine prese in considerazione le attività di
comunicazione finanziaria e di crisi, che rappresentano le nuove frontiere
comunicative delle società calcistiche italiane, sempre più decise ad utilizzare la
comunicazione per vincere non solo sui rettangoli di gioco, ma anche nel
grande business dello sport.
Ulteriori fattori che hanno favorito l’attività di studio presentata in questo
lavoro di ricerca sono riferibili alla partecipazione in prima persona
all’organizzazione e alla realizzazione dei contenuti per i convegni “Chi
comunica vince”, “Be the Player” e “Lo spettacolo è sugli spalti”, organizzati da
Sport Up in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione,
nonché alla collaborazione con l’Ufficio Comunicazione della Divisione Calcio a
Cinque della Lega Nazionale Dilettanti – F.I.G.C., che hanno permesso di
approfondire le tematiche della comunicazione con particolare riferimento al
mondo del calcio.
11
1 – LA NASCITA DEL CALCIO IN ITALIA
1 - Il passaggio dai giochi dell’antichità allo sport
moderno
1.1 – Premessa
Il calcio moderno, così come esso viene giocato oggi nel mondo, è
profondamente diverso dagli sport che sono stati praticati nelle epoche
precedenti la sua nascita, avvenuta in Inghilterra circa due secoli fa.
1
Per capire la genesi e l’evoluzione di questo sport occorre percorrere le
tracce del passato, accennando brevemente alla nascita dei giochi e ai
fenomeni sociali che ne hanno dato origine ed impulso.
1.2 – Le caratteristiche dei giochi prima dello sport
Se Mandell afferma che “lo sport risale a molto prima del genere umano,
dato che gli animali giocano” (R. Mandell, 1989, pag. 3) osservando che nel
gioco si esplicano le caratteristiche peculiari di tutti gli esseri viventi, Huizinga è
convinto che le origini delle conquiste più alte dell’umanità in campo sociale e
scientifico possono essere fatte risalire al nostro innato impulso al gioco, che
permette di attivare le nostre capacità creative;
2
Elias, inoltre, intende il gioco
come l’espressione costitutiva della civiltà umana e tende a farlo coincidere con
la cultura in quanto tale.
3
In questo modo lo sport diviene il prodotto di un
processo secolare “iniziato nell’antichità e che prosegue fino ai giorni nostri” (N.
Porro, 1989, pag. 37).
Questi studiosi concordano nel ritenere che il gioco sia una pratica
essenziale per lo sviluppo della natura di base degli esseri viventi. In
1
In proposito, cfr. A. Papa – G. Panico, 2002, pag. 7.
2
In proposito cfr. Huizinga, J., 1973, cit. in Mandell, R., 1989, pag. 3.
3
In proposito cfr. Elias, N. Il processo di civilizzazione, Bologna, 1982.
12
quest’ottica, “i nostri sport sono le creazioni più splendide del non databile e
trans-specie impulso al gioco” (R. Mandell, 1989, pag. 4).
Sotto ogni latitudine ed in ogni epoca il cimento e l’esercizio del corpo si
sono intessuti con l’esistenza stessa dell’homo ludens, facendo divenire il gioco
una componente determinante delle antiche culture e civiltà.
Da sempre gli storici dello sport lamentano la scarsità di fonti dalle quali
risalire alle caratteristiche dei giochi praticati prima ancora della fondazione dei
grandi imperi, e “quasi tutte le poche conoscenze dello sport premoderno sono
inferite da un insieme impietosamente scarso di elementi”. (Mandell, R., 1989,
pag. 6).
Le prove finora raccolte dimostrano come alcune attività fisiche, che
esistevano già in epoca preclassica al tempo degli antichi Maya e dei Sumeri,
venivano praticate in occasione di riti religiosi allo scopo di propiziarsi gli astri o
gli dei
4
, mentre altre attività che potremmo definire χsportive χ e delle quali sono
rimaste tracce fino ai giorni nostri avvenivano negli ambienti paramilitari ed
aristocratici per stabilire, attraverso la dimostrazione della potenza e dell’abilità
fisica, la supremazia delle classi dominanti.
Il gioco, tuttavia, non era appannaggio esclusivo delle élite sociali; Mandell
afferma che già nell’antichità, dove era concesso del tempo libero, anche la
gente comune praticava giochi ed attività fisiche.
Queste attività spesso riuscivano a catalizzare l’attenzione e lo stupore
della gente, attratta dalle prestazioni fisiche e dalla destrezza dei primissimi
campioni sportivi, tanto da poter affermare che “molto prima della fondazione
dei grandi imperi ai quali facciamo risalire gli inizi della civiltà esisteva una
grande varietà di atleti e di spettatori, di sport e manifestazioni sportive” (R.
Mandell, 1989, pag. 16).
Ma è solo nella Grecia preclassica che lo sport si formalizza, “assumendo
profondi significati simbolici ampiamente integrati nelle usanze sociali e
religiose” (R. Mandell, 1989, pag. 34).
4
Mandell osserva come “quelle attività che sembrano assomigliare ai nostri giochi e gare, siano sempre
stati strettamente connessi agli ambiti della vita governati dal sacro e dal magico. Le gare sportive in
quasi tutte le società precedenti la nostra erano parte integrante, o concomitante, di tutte le
manifestazioni religiose”. In proposito cfr. Mandell, R – 1989, pag. 6.
13
E’ qui che nasce l’agon, “l’impulso interiorizzato alla ricerca della
supremazia personale che andava legittimata dal riconoscimento della vittoria in
una gara pubblica” (R. Mandell, 1989, pag. 33), termine dal quale deriverà la
moderna accezione di χagonismo χ, filosofia che è alla base delle competizioni
sportive moderne.
Una delle caratteristiche principali dei più importanti giochi della tradizione
classica era il “diffuso esercizio della violenza e della forza bruta” (S. Pivato,
1994, pag. 11).
Questo perché le gare dell’antichità classica, spesso rappresentate come
il grande paradigma dello sport, crebbero in condizioni molto diverse rispetto a
quelle delle nostre gare, e “il più elevato livello di violenza fisica nei giochi
dell’antichità era sintomatico delle caratteristiche specifiche dell’organizzazione
delle antiche società”
5
(A. Roversi – G. Triani, 1995, pag. 39).
A differenza dello sport moderno, “altamente organizzato e regolato” (A.
Roversi – G. Triani, 1995, pag. 43), gli antichi giochi come il pancration
assumevano spesso carattere sanguinario per la violenza delle loro
rappresentazioni, nelle quali però i contendenti non venivano puniti né
socialmente stigmatizzati per le eventuali ferite arrecate agli avversari, in
quanto le conseguenze anche gravi della lotta facevano χparte del gioco χ.
Non solo gli incontri di lotta ma anche i giochi con la palla, che venivano
praticati nelle campagne e nelle città d’Europa e che vedevano impegnate folte
squadre con decine di giocatori, spesso si trasformavano in violente zuffe tra gli
avversari che si contendevano le vittorie
6
, tanto da costringere in qualche caso
le autorità a vietarne la pratica. “Un così elevato grado di violenza era tollerato
5
A tale proposito Elias afferma che la valutazione dei livelli di violenza tra civiltà di epoche diverse deve
essere “guidata da un modello teorico chiaro come quello offerto dalla teoria dei processi di
civilizzazione”. Elias nota come la nostra interpretazione del livello di violenza delle gare del passato si
basi sugli standard di controllo propri della nostra attuale società, senza riferirsi invece agli standard
dell’epoca. In tal modo giudichiamo il comportamento delle civiltà del passato come χbarbaro χ o χnon
civilizzato χ, come se i membri di quella società fossero stati liberi di scegliere tra i loro standard e le loro
norme e le nostre e, avendo fatto la scelta, avessero preso la decisione sbagliata.
In proposito cfr. Elias N. – Dunning E., Sport e aggressività, 1989.
6
Basti pensare all’hurling to the country (“palla attraverso la campagna”, praticato in Cornovaglia), alla
Soule francese o al calcio fiorentino. Le cronache dell’epoca affermavano che, in quelle contese, si
vedevano i giocatori “tornare a casa come se rientrassero da una battaglia campale, con le teste
sanguinanti, le ossa rotte e slogate e con lividi tali da abbreviarne i giorni”. In proposito cfr. S. Pivato,
1994, pag. 12.
14
anche grazie alla mancanza o comunque alla indeterminatezza di regole, che
quasi mai erano codificate in norme scritte e, quando esse esistevano,
cambiavano spesso da regione a regione e persino da villaggio a villaggio” (S.
Pivato, 1994, pag. 13).
Tuttavia i giochi popolari, seppure praticati senza regole precise e solo nei
giorni in cui era possibile dedicarsi al leisure time, costituivano un fattore
profondamente aggregante per la popolazione, che trovava in queste pratiche
una valida parentesi alle fatiche del lavoro, tanto da dedicarvisi con grande
passione.
1.3 – La sportivizzazione del loisir
Tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 prende avvio un lento processo di
stigmatizzazione e delegittimazione del χgioco duro χ che, secondo Elias, “trova
la sua massima espressione nell’esperienza del gioco popolare, una pratica
nella quale la violenza si configurava come una componente costitutiva della
ludicità” (N. Porro, 1989, pag. 37).
Per Elias il passaggio dai giochi popolari alle competizioni sportive è il
“paradigma esemplare del processo di civilizzazione occidentale” (N. Porro,
1989, pag. 73). Nei giochi popolari il bisogno di excitement viene posto sotto
controllo attraverso un reticolo di prescrizioni e divieti sempre più formalmente
codificati in regole e statuti. L’esigenza primaria diviene quella di controllare la
tensione sportiva entro i confini di quella accettabilità della violenza che il
processo di civilizzazione è andato via via restringendo.
In questo modo inizia il processo di χsportivizzazione del loisir χ che, dalla
fine del Milleseicento fino alla seconda metà dell’Ottocento, ha determinato il
passaggio dalla pratica ludica a quella sportiva.
7
7
Secondo A. Guttmann, “il rituale ed il record rappresentano le polarità entro le quali si svolge la
vicenda secolare dello sport. Una vicenda riassumibile nella progressiva transizione dal modello
tradizionale – il cui archetipo è rappresentato per Guttmann dalle corse sacre degli Indiani delle pianure
americane, con la loro visione dualistica, religiosa, totalizzante e fortemente allegorica del mondo – a
quello industriale. Lo sport che si ispira alla cultura del record e al paradigma della società industriale
è, perciò, secolarizzato, non discriminatorio sul piano delle opportunità e del diritto di accesso,
specializzato tecnicamente, dominato dai criteri della misurazione scientifica (quantificazione,
precisione, comparabilità). Si potrebbe definirlo, perciò, come un perfetto prodotto della modernità
descritta da Weber, i cui caratteri dominanti sono la razionalizzazione e la burocratizzazione.” (Porro,
N., 1989, pag. 86). Inoltre, secondo Elias, lo sport rappresenta un paradigma esemplare del processo di
15
Durante il secolo dei Lumi molti pensatori individuarono nel gioco un
fattore potenziale di civilizzazione e di educazione; Montaigne, Locke e
Rousseau, tra gli altri, suggerirono un programma pedagogico nel quale l’attività
fisica doveva diventare “complemento di un più vasto disegno, mirante allo
sviluppo armonico dei sentimenti individuali e collettivi” (S. Pivato, 1994, pag.
16). In base a questo disegno il corpo, “allenato alla sua cura attraverso i
precetti dell’igiene e dell’educazione fisica, divenne fondamento di educazione
morale” (S. Pivato, 1994, pag. 17).
Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento l’interesse della cultura
intorno alle pratiche fisiche portò, nell’Europa continentale, alla nascita del
movimento ginnastico. Esso tese a marginalizzare ogni attività ludica all’aria
aperta, considerandola poco adatta alla formazione di una coscienza civica e
nazionale, e privilegiò le palestre e gli attrezzi ginnici perché ritenuti più adatti a
realizzare gli obiettivi del movimento.
Negli stessi anni, nei college inglesi prese avvio una regolamentazione
tesa a civilizzare i giochi tradizionali, formalizzandoli secondo precise norme
allo scopo di eliminarne gradualmente il ricorso alla violenza. Fu proprio qui che
vennero scritte le regole di gran parte dei giochi di squadra praticati ancora oggi
nel mondo; Essi, fino a quell’epoca occasione di risse e scontri fisici, divennero
strumenti utili a plasmare lo spirito di gruppo, il senso della disciplina e l’incontro
tra avversari.
In questo modo, nella seconda metà dell’Ottocento lo sport si venne
configurando come un sistema uniforme che razionalizzò l’attività ludica
caratteristica dei secoli precedenti. Scopo del gioco moderno, opportunamente
regolamentato e controllato, divenne essenzialmente quello di “produrre
situazioni simboliche che garantissero l’equilibrio in tensione tra la sfera
emozionale ed il controllo della stessa, in un contesto di accresciuta sensibilità
culturale alla violenza” (N. Porro, 1989, pag. 73).
civilizzazione occidentale, per la sua capacità di produrre equilibrio in tensione, canalizzando
costruttivamente le energie compresse attraverso il controllo ed il disciplinamento delle emozioni. In
particolare, cfr. Elias, N., il processo di civilizzazione.
16
Lo sport, e soprattutto gli sport di squadra che evolsero verso la forma
nella quale ci sono pervenuti, sono il frutto di questo processo secolare iniziato
nel periodo illuministico e completato nell’Inghilterra vittoriana della seconda
metà del Diciannovesimo secolo. Esso si venne configurando “come un insieme
di regole e di rigide formalizzazioni di giochi preesistenti, e divenne veicolo di
una compiuta ideologia: quella dell’athleticism” (S. Pivato, 1994, pag. 27).
Un altro contributo alla genesi dello sport moderno venne offerto dalla
misurazione come espressione del principio di prestazione. Ad essa si
connesse la nozione di record come portato tipico della modernità industriale.
La misurazione fu molto approssimativa nei giochi dell’antichità e solo con lo
sport moderno essa acquisì un rilievo assoluto che, insieme alla progressiva
universalizzazione delle regole sportive, contribuì ad esaltare il fascino del
record e della competizione sportiva che, da pratica ludica, divenne strumento
di confronto agonistico.
“Molti sport oggi praticati in modo più o meno uguale hanno avuto origine
in Inghilterra” (A. Roversi, – G. Triani, 1995, pag. 33) una nazione che, oltre ad
aver inventato il nuovo modo di produzione industriale, impose al mondo nuovi
costumi e stili di vita. Fare dello sport significò identificarsi con quell’idea di
modernità e di novità che la rivoluzione industriale e la sua patria evocavano, e
fu da qui che lo sport assunse il significato odierno e si sviluppò al resto
dell’Europa. Infatti, se “ancora fino alla metà del Diciannovesimo secolo il
termine indicava solo le aristocratiche attività del tempo libero” (S. Pivato, 1994,
pag. 20), le trasformazioni finora descritte ne fecero assumere il significato
attuale, ribadito anche recentemente nella carta sportiva europea del Consiglio
d’Europa
8
.
8
Tale carta afferma che “Per sport si intende qualsiasi forma di attività fisica che, attraverso una
partecipazione organizzata o meno, abbia per obiettivo l’espressione e il miglioramento della condizione
fisica e mentale, con la promozione della socializzazione e/o il conseguimento di risultati in competizioni
a tutti i livelli”. La Carta è stata sancita il 24 settembre del 1992 ed aggiornata il 16 maggio 2002. In
proposito cfr. il sito internet del Consiglio d’Europa http://cm.coe.int/ta/rec/1992/92r13rev.htm.
(settembre 2003).
17
Infine, tra la metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento la χnuova
mania del secolo χ si diffuse “all’esterno del territorio di origine seguendo, senza
apprezzabili eccezioni, gli itinerari del colonialismo” (N. Porro, 1989, pag. 78).
Lo sport si avviò così a diventare uno dei simboli più rappresentativi del
Ventesimo secolo, e la pratica sportiva che meglio di qualunque altra spiega le
dinamiche di diffusione del fenomeno sportivo è, per le dimensioni universali
che esso ha rappresentato, il calcio.
18
2 - Alle radici del calcio moderno
2.1 – Le origini del calcio nell’antichità
La pratica del calcio, come quella di ogni altro sport, ha origini antiche. Gli
studi finora effettuati hanno permesso di percorrerne le tracce nell'antichità e di
ricostruire la sua lenta evoluzione durante il Medioevo, con particolare
attenzione al Rinascimento italiano, fino alla genesi del moderno football.
Già nelle epoche antiche gli storici hanno trovato tracce consistenti di
giochi con la palla, che “furono praticati sotto tutte le latitudini e in tutti i tempi”
(A. Ghirelli, 1990, pag. 3). Infatti, Ghirelli nota come “l’antichità ci abbia lasciato
una enorme e insospettabile documentazione sui giochi di palla che si
praticavano, più o meno simili al nostro calcio, prima e dopo l’avvento di Cristo”
(A. Ghirelli, 1990, pag. 3).
Tra le primitive genti celtiche e per le popolazioni Maya ed artiche la palla
era venerata come un oggetto carico di significati magici e rituali; gli indiani
d’America avevano una grande varietà di giochi con la palla, ed esistono prove
storiche che essi venissero praticati anche in Cina e Giappone.
Il calcio moderno deve comunque le sue origini più antiche “ai giochi
greco-romani della palla e a quelli indigeni della Britannia” (AA.VV., 1990, pag.
17).
In Grecia e nel mondo latino la palla era un oggetto privilegiato di gioco,
tanto che “i maggiori documenti politici della civiltà greca nel periodo eroico,
Iliade e Odissea, conservano accenni alle sferomachie coltivate dalle genti
greche” (A. Ghirelli, 1990, pag. 3). Già Omero, nell’Odissea, allude al gioco
della palla come ad una occasione di svago che coinvolgeva uomini e donne,
ed il canto VI dell’Odissea contiene ciò che Ghirelli considera essere la prima
cronaca calcistica della quale si abbia memoria.
9
9
In particolare, ci si riferisce al Canto VI dell’Odissea, che riporta i seguenti versi: “La palla lanciò la
regina a un’ancella, fallì l’ancella, scagliò la palla nel gorgo profondo. Quelle un lungo grido gettarono:
e si svegliò Odisseo luminoso”. Secondo Ghirelli, “questo canto contiene la prima cronaca sportiva di cui
si abbia memoria, là dove scrive Nausicaa dalle bianche braccia che sbaglia una specie di goal a porta
vuota, mancando il passaggio all’ancella e mandando la palla a rotolare in un profondo vortice, e
sveglia con un grido l’avventuroso re d’Itaca”. In particolare, cfr. Ghirelli, A., 1990, pag. 4.
19
Gli elleni praticarono con crescente fervore qualsiasi tipo di gioco con la
palla: dall’episciro, alla feninda, all’appexaris. Tra le sferomachie greche,
combattimenti in cui due squadre con lo stesso numero di giocatori si
contendevano accanitamente una palla, il gioco che ebbe maggiore successo
fu l’episciro, che venne trapiantato nell’antica Roma come arpastum, con regole
pressoché identiche.
L’arpasto, come l’episciro, consisteva nello “strapparsi la palla attraverso
una folla di contendenti” (A. Ghirelli, 1990, pag. 5), e ciò conferma le
caratteristiche violente dei giochi che venivano praticati nell’antichità.
L’harpastum veniva spesso affiancato dall’aggettivo pulverulentum proprio
perché le squadre, azzuffandosi, sollevavano un gran polverone, specie quando
esse venivano praticate in luoghi aperti come il Campo Marzio. L’arpasto veniva
praticato anche nelle pubbliche terme e nei lussuosi sferisteri delle ville private,
ma esso si affermò soprattutto tra i legionari dell’impero romano, che lo
esportarono fino in Inghilterra. “I britanni impararono il gioco dalle truppe di
occupazione e vi ci si appassionarono tanto da continuare a praticarlo, mentre
nella patria dei legionari l’arpasto andò malinconicamente declinando” (A.
Ghirelli, 1990, pag. 5).
2.2 – I giochi con la palla nel Medioevo
Nell’Inghilterra del tardo Medioevo l’arpasto divenne un gioco molto
popolare. Esso conservò la sua carica di violenza specie nello hurling, una delle
forme più diffuse di mob football: il “football del popolaccio aveva un’alta carica
di violenza e di eccitamento, che aveva provocato numerose proibizioni da
parte delle autorità pubbliche” (Papa, A. - Panico, G., 2002, pag. 11).
10
Esistevano due diverse versioni dello hurling: lo hurling at goal e lo hurling
over country.
10
R. Denney nota come il football, nella sua primitiva forma inglese, era chiamato Dane’s head (Testa di
danese) e si giocava nel decimo ed undicesimo secolo come una gara di calcio tra città. La leggenda dice
che la prima palla fu un teschio e solo più tardi una vescica di vacca. In alcuni casi facevano da χporta χ le
città stesse, cosicché una squadra che entrava in un villaggio poteva darsi che avesse spinto la palla per
parecchie miglia di strada. Il re Enrico II nel 1554 vietò il gioco ma, continuato a giocare a Dublino anche
dopo il bando, il football divenne rispettabile e legale solo dopo che un editto di Giacomo I nel 1617 lo
ebbe riammesso. In particolare, cfr. R. Denney, il Football in America. Studio sulla diffusione della
cultura, in Roversi, A. – Triani, G., 1995, pag. 175.