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Introduzione
Nella storia della filosofia morale la ricerca dei principi sui quali costruire o
verificare la legalità dei comportamenti ha seguito percorsi diversi. Nonostante
fosse un naturalista, anche Darwin si è impegnato in questa ricerca, in un modo
assolutamente originale e mai tentato da nessuno prima di lui. Questa tesi ha
l’obiettivo di mostrare le tappe del percorso darwiniano, un percorso che, sebbene
sia scandito da alcuni punti fermi, risulta essere privo di qualsiasi costruzione
ideologica artificiosa in quanto derivato dalla diretta osservazione sperimentale
della natura e degli esseri viventi. Partendo proprio da queste osservazioni, nel
primo capitolo si descrive la costruzione di una teoria rivoluzionaria basata sulla
convinzione che esista una radice unica in grado di spiegare la molteplicità di forme
di vita esistenti sulla Terra. Tramite il riconoscimento che anche gli animali (e alcune
piante) possiedono ragione ed emozioni, la teoria dell’evoluzione per selezione
naturale, oggetto del secondo capitolo, non fa che dimostrare come la storia delle
specie sia caratterizzata da continui aggiustamenti adattativi che non sempre sono
risultati utili ai fini della sopravvivenza. Tornando, quindi, a quella radice unica dalla
quale si sono evolute tutte le forme di vita è possibile superare la linea di
demarcazione che separa l’animale uomo dagli altri animali, distinzione derivante
dalla convinzione che l’uomo sia portatore di una ragione esclusiva che gli
garantirebbe la superiorità. La confutazione di questa visione, oggetto del terzo
capitolo, è affidata alla nuova teoria dell’istinto che Darwin elabora partendo dalle
riflessioni filosofiche di David Hume sulla ragione umana. La naturalizzazione della
ragione, cioè la ragione-istinto, porta, infine, a estendere la capacità morale a tutti
gli animali provvisti di un adeguato sviluppo cerebrale.
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L’origine della vita
I primi interrogativi e il viaggio sul Beagle
“La sera di lunedì 29 agosto 1831, arrivando a casa, trovò ad attenderlo un grande
plico che recava il timbro di Londra. […] Gli si offriva un passaggio per un viaggio
intorno al mondo” (Desmond & Moore, 1991, p. 110). Fu così che Darwin venne a
conoscenza della volontà del capitano FitzRoy di averlo a bordo del brigantino
Beagle, pronto a salpare per un viaggio di esplorazione della durata di due anni. Ciò
di cui necessitava FitzRoy era, in realtà, solamente la compagnia di un gentleman
per evitare la solitudine, ma il giovane Charles, appena ventiduenne, era ben felice
di partire alla ricerca di nuovi esemplari di esseri viventi sconosciuti in Europa ed
allargare, così, la sua collezione.
La prima sosta del Beagle fu l’isola vulcanica di Santiago nelle isole di Capo Verde.
Sceso a terra e iniziate le operazioni di osservazione, l’attenzione del giovane
naturalista fu subito catturata da una striscia bianca di conchiglie e coralli compressi
che correva orizzontalmente lungo le rocce, chiaro segno che una volta l’intera zona
si era trovata sott’acqua. Charles iniziò a riflettere su cosa avesse potuto
determinare questo cambiamento di condizioni dell’isola vulcanica. La geologia che
aveva studiato a Cambridge gli aveva insegnato che le modificazioni della Terra
avvengono tramite violenti movimenti della crosta terrestre, tuttavia l’osservazione
diretta di queste rocce sembrava confutare questa teoria: non c’era alcun segno di
violenza cataclismatica, bensì una linea costante. La teoria più adatta per spiegare la
storia geologica dell’isola sembrava allora essere quella di Charles Lyell, il quale
sosteneva che le forze che plasmano il mondo sono le stesse che hanno operato nel
passato e agiscono gradualmente e in modo pressoché costante su tempi molto
lunghi. Fu proprio in questa occasione che Darwin iniziò a pensare alla storia del
mondo come una storia di cambiamenti lenti e graduali. La conferma della teoria
geologica di Lyell arrivò nel febbraio del 1835 (il Beagle era ancora in viaggio e
sarebbe rientrato in patria solamente nel ’36 dopo un viaggio di cinque anni a
fronte dei due previsti) quando si verificò il terremoto “peggiore mai abbattutosi sul
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Cile” (Desmond & Moore, 1991, p. 184): le osservazioni di molluschi morti presenti
ben oltre la linea dell’alta marea dimostravano senza ombra di dubbio che la terra si
era sollevata di almeno un metro. Ecco dunque spiegata la formazione delle
montagne: esse non sono altro che il prodotto di migliaia di piccoli sollevamenti
appena percettibili che si succedono nei secoli, in un tempo che la mente non riesce
nemmeno a immaginare. Nessun salto, dunque, nella storia geologica della Terra,
nessun evento cataclismatico in grado di scaraventare fuori dall’acqua un’intera
montagna, come sosteneva Sedgwick. Se dunque era vero che il continente si stava
sollevando, era presumibile che il fondo dell’Oceano Pacifico si stesse abbassando
proprio come voleva la teoria di Lyell sulla crosta oscillante. L’unico modo per
dimostrarlo erano le isolette coralline che costellano il Pacifico. Era credenza diffusa
che le bocche vulcaniche colonizzate dai banchi di corallo si stessero sollevando:
anche Lyell era tra questi. A Charles, tuttavia, sembrava più plausibile rovesciare
completamente la teoria e pensare che fossero in realtà le cime colonizzate dai
banchi di corallo a sprofondare e, di conseguenza, gli stessi coralli, per rimanere ad
una profondità ottimale, si accumulassero per compensare la discesa. Quando il
Beagle raggiunse le isole Galàpagos la teoria presente nella testa del naturalista
poté trovare le conferme necessarie. Sulle spiagge della Tasmania, Charles passava
ore a raccogliere piante marine. Qui le alghe erano in grado di propagarsi per talea,
cioè erano in grado di svilupparsi partendo da frammenti di piante, solitamente
rametti. Anche per i coralli valeva la stessa cosa: questi “animali di pietra” potevano
svilupparsi da tronchi spezzati e costruire vere e proprie scogliere. Eccolo giunto al
punto zero, al punto di unione tra il mondo animale e vegetale dove si incontrano
mondo biotico e non biotico. È la soluzione agli interrogativi del periodo
edimburghese, quando nella baia di Prestonpans seguiva Robert Grant nella
raccolta e nell’analisi delle spugne. Studiando le spugne Grant era convinto di poter
risalire alla risoluzione di alcuni tra i problemi più complicati che si pongono
nell’analisi di animali più complessi, tra cui l’uomo: la semplicità delle spugne
permette infatti una più facile comprensione della loro struttura. Seguito nella
raccolta di questi organismi dal giovane Charles, Grant concentrò la sua attenzione
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sullo studio dei briozoi (letteralmente “animali muschio”), creature molto primitive
che lo portavano a chiedersi se si trovasse di fronte ad animali o piante. Grant riuscì
a dimostrare come in realtà queste creature fossero vicinissime alla radice del regno
animale ed espresse la convinzione che in esse si nascondessero gli indizi che
possono portare a scoprire il fondamento di tutta la vita. Darwin assisteva ai lavori
del suo mentore e assimilava tutto.
Oltre al nutrito equipaggio, a bordo del Beagle c’erano tre fuegini. Catturati dal
capitano FitzRoy come ostaggi in seguito al furto di una imbarcazione durante il
viaggio precedente del Beagle, aveva deciso di portare quattro di essi con sé. Aveva
avuto grande riguardo di questi, aveva affidato le loro cure a un ufficiale e aveva
voluto che fossero educati e cristianizzati, per essere poi riportati nelle loro tribù
per "civilizzarle". Vennero dati loro dei nomi: Fuegia Basket, Jemmy Button, York
Minster e Boat Memory (quest’ultimo morto poco dopo lo sbarco in Inghilterra
durante la vaccinazione contro il vaiolo). I selvaggi costituivano uno degli scopi di
questo secondo viaggio del Beagle, ma l’arrivo nella Terra del Fuoco sconvolse
profondamente il giovane Charles: non avrebbe mai potuto immaginare che i tre a
bordo del brigantino potessero essere stati così. “Com’è totale la differenza tra il
selvaggio e l’uomo civilizzato! Essa è più grande di quella che esiste tra un animale
selvatico e uno domestico (…) Io credo che se si frugasse nel mondo non si
troverebbe un più basso grado di umanità” (Desmond & Moore, 1991, p. 151): così
Darwin rifletteva scrivendo sul suo diario. Ripensava a Lyell e alla sua
preoccupazione che la teoria lamarckiana potesse distruggere la nobile genealogia
umana. Sebbene esistano differenze tra gli uomini, queste sono piccole deviazioni
rispetto a una norma comune: impossibile parlare quindi di discendenza dell’uomo
dalla scimmia. Ma Lyell non aveva mai lasciato l’Inghilterra, la sua era semplice
filosofia da tavolino. Charles invece si trovava di fronte a questi selvaggi ed era
costretto a constatare che c’è un mondo di differenza tra questi aborigeni e l’uomo
civilizzato. Eppure, malgrado tutte le loro deficienze, i fuegini non erano in via di
estinzione, e dunque bisognava constatare che il loro stile di vita sembrava adatto a
un ambiente così inospitale come la Terra del Fuoco. Ma allora, si chiedeva Darwin,